Altiero Spinelli: l’avventura europea

Il personaggio

Il “testimone” del mese ci avvicina alla prossima scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo, giacché Altiero Spinelli è stato tra i “padri fondatori” dell’Europa comunitaria.

Proponiamo innanzitutto la sua biografia tratta dal sito a lui dedicato in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita.

 

Altiero Spinelli nasce a Roma il 31 agosto 1907. Dopo i primi anni passati con la famiglia in Sud America, dove il padre, laico e socialista, era vice console, nell’estate del 1912 rientra a Roma, e qui frequenta le elementari, il ginnasio e il liceo classico. Già negli ultimi anni di scuola comincia a interessarsi alla politica, in questo influenzato dal padre e dalle letture di testi socialisti. Dopo la fondazione dei Partito comunista sceglie la militanza in questo partito: infatti nel 1924 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma e, contemporaneamente, al gruppo universitario comunista e alla cellula di quartiere Trionfale della Federazione giovanile comunista, di cui diviene, dopo poche settimane, segretario. Da questo momento partecipa attivamente all’attività antifascista clandestina del partito, che lo nomina, nell’autunno del 1925, nel Comitato della federazione laziale e poi, un anno dopo, segretario interregionale. Arrestato nel 1927 a Milano, viene condannato a sedici anni e otto mesi dal tribunale speciale per cospirazione contro i poteri dello stato. Avendo beneficiato di alcune amnistie parziali, sconta dieci anni di carcere (nei penitenziari di Roma, Lucca, Viterbo e Civitavecchia), ma, al momento di essere rilasciato, viene inviato per sei anni al confino, prima a Ponza (dal 1937 al 1939) e poi a Ventotene. Nel frattempo matura il distacco dal Partito comunista, iniziato durante gli anni del carcere, che diviene definitivo negli anni dei sanguinosi processi staliniani contro i dissidenti del regime. A Ventotene, tra l’inverno del 1941 e la primavera del 1942, dopo un’approfondita elaborazione, cui partecipa un gruppetto di confinati – tra i quali Eugenio Colorni – scrive, in collaborazione con Ernesto Rossi, il Manifesto per un’Europa libera ed unita (Manifesto di Ventotene), il documento di base del federalismo europeo. Caduto il fascismo, viene liberato il 19 agosto 1943 e dieci giorni dopo fonda a Milano, insieme a una trentina di reduci dal confino, dal carcere e dall’esilio, il Movimento Federalista Europeo.

Dopo l’8 settembre si rifugia in Svizzera, dove organizza le prime riunioni federalista sovranazionali a Ginevra, a conclusione delle quali viene approvato un documento che sarà la base di alcuni programmi della Resistenza europea, soprattutto in Francia. Chiamato da Leo Valiani a Milano, alla segreteria politica del Partito d’Azione Alta Italia, partecipa per alcuni mesi alla Resistenza.
Nel marzo dei 1945 organizza, insieme a Ursula Hirschmann vedova di Eugenio Colorni, trucidato dai fascisti pochi giorni prima della liberazione di Roma, il primo congresso federalista internazionale a Parigi, cui partecipano, tra gli altri, Albert Camus, George Orwell, Emmanuel Mounier, Lewis Mumford, André Philip. Terminato il congresso rientra in Italia riprendendo il suo posto nella Resistenza e nel giugno 1945 segue Ferruccio Parri, nominato presidente del Consiglio. Nel febbraio 1946, a seguito delle conclusioni del I Congresso, lascia il Partito d’Azione insieme a La Malfa, Parri, Reale e un gruppo di azionisti con i quali fonda il Movimento per la democrazia repubblicana, che abbandona alla vigilia delle elezioni alla Costituente.

Dopo una breve parentesi nell’impegno federalista durante il quale lavora come fiduciario nell’Azienda Rilievo Alienazione Residuati (ARAR), nel 1948 viene eletto segretario dei Movimento federalista europeo, successivamente membro del Bureau Executif e delegato generale dell’Union Européenne des Fédéralistes (UEF). Per quattordici anni è l’animatore di tutte le più importanti battaglie in favore della federazione europea, in particolare quella della Comunità europea di difesa (CED) e della Comunità politica.

Abbandonate, nel giugno 1962, tutte le cariche federaliste, fra il 1962 e il 1965 fa parte della redazione de «il Mulino» ed è tra i promotori dell’«Associazione di cultura e di politica “il Mulino”», l’istituzione di controllo di tutte le attività promosse dal gruppo bolognese. Dal 1962 al 1966 è Visiting Professor al Centro di Bologna della School for Advanced European Studies dell’Università Johns Hopkins, ove tiene corsi sulla Comunità europea. Nel 1963 crea il Comitato italiano per la democrazia europea (CIDE) e nel 1965 fonda l’Istituto Affari Internazionali (IAI), per promuovere ricerche e studi sul ruolo e le responsabilità dell’Italia nella Comunità europea e di questa nel mondo.

Dal dicembre 1968 al luglio 1969 è consulente per gli affari europei del ministro degli Esteri Pietro Nenni. Dal 1970 al 1976 è membro della Commissione esecutiva della Comunità europea, che tenta di trasformare nel vero motore politico del processo di integrazione sovranazionale.

Eletto deputato al Parlamento italiano nel giugno 1976, come indipendente nelle liste del PCI, è presidente del gruppo misto alla Camera, e nello stesso anno viene nominato al Parlamento europeo. Nel 1979 gli è riconfermato sia il mandato al Parlamento italiano (dove è membro del gruppo misto), sia quello al Parlamento europeo (eletto per la prima volta a suffragio universale). Qui svolge un ruolo di particolare rilievo, facendosi soprattutto promotore, nel luglio 1980, dell’iniziativa istituzionale il – Club del Coccodrillo – che porta alla formulazione del progetto di trattato di Unione europea da lui elaborato e approvato a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo, il 14 febbraio 1984, con l’appoggio di deputati europei di tutti i gruppi politici e di diversi Paesi.
Rieletto nel 1984 al Parlamento europeo – dopo l’affossamento del progetto di trattato fatto dai Vertici di Milano e di Lussemburgo –, rilancia nella primavera dei 1986 una nuova iniziativa costituente, ma qualche giorno dopo, il 23 maggio 1986, muore in una clinica romana.

 

 

Il commento

Cosa può trasmetterci l’esperienza di Altiero Spinelli? Un primo aspetto da porre in risalto, partendo dalla sua biografia, è la capacità di mettere in discussione le proprie opinioni e cambiare idea, per essere fedeli ai valori e alle convinzioni profonde. Un secondo elemento evidente è il pagare di persona per ciò in cui si crede, un terzo è la capacità di utilizzare ogni situazione, anche la peggiore, per essere attenti, riflettere e agire: il Manifesto di Ventotene venne elaborato dopo la reclusione e in una condizione di privazione della libertà a causa del confino nella piccola isola laziale. Un ulteriore aspetto è la necessità di operare, di impegnarsi, anche facendo politica, per il bene comune e per dare concretezza alle proprie convinzioni.

Naturalmente il messaggio più forte che arriva da lui ha per tema l’Europa.

Egli aveva del continente una visione conforme a una delle possibili etimologie greche del nome: lo sguardo (òps) che spazia in lungo e in largo (eurùs), dunque la necessità di andare oltre i propri ambiti e confini.

Il Manifesto auspica la nascita di un’Europa unita sotto la spinta dell’integrazione politica in senso federalista. Come scrisse Spinelli in un commento allo stesso documento, la prima idea politica fondamentale «era che la federazione (europea) non era presentata come un bell’ideale, cui rendere omaggio per poi occuparsi d’altro, ma come un obiettivo per la cui realizzazione bisognava agire ora, nella nostra attuale generazione. Non si trattava di un invito a sognare, ma di un invito ad operare».

Nel testo è avanzata una netta e innovativa discriminante politica: la vera linea di divisione fra progressisti e reazionari passa fra chi si pone come obiettivo prioritario la federazione europea e chi intende invece lavorare per la restaurazione degli stati nazionali dotati di sovranità assoluta.

È importante sottolineare come lo stato federale venga giudicato indispensabile per una ragione in primo luogo umanistica, spirituale, di valori profondi: offrire ai cittadini europei, e tramite loro a quelli del mondo intero, un più alto grado di civiltà, fondato sulla libertà dell’individuo, sulla piena espressione delle singole potenzialità umane e sul rispetto del diritto legittimato dalla democrazia. Per il perseguimento di tali scopi era necessario procedere ad azioni coraggiose e lungimiranti, quali unire i singoli popoli sotto comuni istituzioni rappresentative, aprire le frontiere alla circolazione dei cittadini e dei beni, creare l’unità economica e monetaria, dotarsi di una capacità di difesa e di una politica estera unica.

L’idea alla base di tali convinzioni era che la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie, delle disuguaglianze e dello sfruttamento, è l’esistenza di stati sovrani, che considerano gli altri come concorrenti e potenziali nemici.

Spinelli intuì con molto anticipo che l’Europa si sarebbe dovuta misurare con potenze sovrane di dimensioni superiori a quelle degli stati nazionali e con problematiche da affrontare in una prospettiva globale: l’indipendenza ha bisogno di una visione più ampia, di tipo federale, e l’indipendenza così intesa è la condizione per la libertà. Già negli anni Cinquanta sosteneva che la sovranità dei piccoli stati europei era fittizia.

Quale tipo di Europa aveva in mente? Era un’idea radicalmente democratica: l’Europa dei cittadini, che non si limita a federare degli stati, ma unisce un popolo. Gli Stati Uniti europei non devono essere solo una potenza continentale, ma prima ancora una cosa pubblica (res publica dalla quale deriva il termine repubblica), un insieme complesso, formato dai cittadini della federazione e dai popoli degli stati federati. In questo modo il potere appartiene ai cittadini due volte: in quanto cittadini europei e in quanto cittadini degli stati membri. Il messaggio per l’attualità è che per ricostruire l’Europa si deve partire dalle fondamenta, dalla cittadinanza europea, dal senso di appartenenza; e poi dai “beni comuni continentali”, quali un’unione economica e monetaria completa, un sistema di perequazione finanziaria e di misure a sostegno delle situazioni di povertà per attenuare le disuguaglianze.

Da membro della Commissione europea Spinelli lavorò per costruire una politica della società europea: ricerca, cultura, ambiente, innovazione, industria, dotandola di risorse finanziarie adeguate. Da deputato europeo propose l’emissione di Eurobond, idea rilanciata dieci anni dopo da Delors e venti anni dopo da Tremonti, e aprì il cantiere delle riforme europee che hanno portato dal “suo” progetto del 1984 al Trattato di Lisbona del 2009. Molte delle riforme proposte sono state gradualmente inserite negli accordi: il principio di sussidiarietà, la ripartizione delle competenze fra Stati e Unione, la cittadinanza europea, la pari dignità fra Parlamento e Consiglio, la Carta dei diritti fondamentali, la personalità giuridica dell’Unione, la sospensione di un paese che viola valori e principi comuni.

Un principio rifiutato è stato invece quello secondo cui la costruzione di un’Europa democratica può essere realizzata solo con un metodo democratico e cioè affidando a un’assemblea di eletti dai cittadini il compito di elaborare la Legge Fondamentale dell’Unione sottoponendola poi a un referendum pan-europeo e non alla somma di ratifiche nazionali.

Per Spinelli l’unificazione europea era una rivoluzione pacifica, da condurre con la forza della ragione. Chi vuole veramente la pace deve costruire istituzioni sovranazionali. Oggi il mondo è caratterizzato da due tipi di conflitti: le tensioni e le guerre locali, combattute con le armi, e quelle finanziarie ed economiche, con i contraccolpi per le persone: fughe, povertà, disoccupazione. Il modo per affrontare tale situazione per molti sembra essere l’arroccamento nazionalistico, per Spinelli, invece la risposta politica consisteva nella tenace costruzione dell’unità di popoli, nazioni, religioni e culture differenti.

Rilanciare oggi l’eredità culturale e politica di Spinelli significa riproporre il suo progetto di una politica per la società europea fatta di capacità di governo di beni comuni, di mezzi finanziari per garantirli in una dimensione continentale, di strumenti politici e istituzionali per le relazioni internazionali.

Si tratta di superare la resistenza dei governi nazionali a condividere la sovranità sui temi essenziali, da cui dipende il futuro dei cittadini europei: la fiscalità e l’economia; l’intelligence e la lotta al terrorismo; il controllo delle frontiere, la politica dell’asilo e la gestione dei flussi migratori; la politica estera, di sicurezza e di difesa.

Molte delle analisi di Spinelli mantengono intatta la loro validità e attualità. A partire dall’impossibilità strutturale per gli Stati nazionali europei di avere un ruolo centrale in un mondo in cui sono necessarie dimensioni continentali per essere grandi potenze. Oggi più che mai la scelta per gli europei è unirsi o perire, schiacciati dalle potenze di dimensioni continentali come USA, Cina, India, Russia, Brasile, e inesorabilmente diretti verso il declino se divisi.

Ancora, il messaggio è che non si può costruire l’Europa di nascosto, dall’alto o sul terreno burocratico, senza un grande dibattito e senza un coinvolgimento e il consenso dei cittadini. Oggi si critica l’Europa esistente, disunita, incapace di affrontare i problemi, paralizzata dai veti dei governi nazionali, gestita da un gruppo di funzionari estranei a un controllo democratico. Spinelli ha sempre criticato duramente l’Europa che c’era, e certamente criticherebbe l’Europa che c’è, ma non per distruggerla e tornare all’illusione della sovranità nazionale, bensì per individuarne i limiti e porvi riparo rafforzando l’unità europea.

La salvezza della civiltà europea dipende dalla capacità dei cittadini e delle forze politiche di prendere in mano la bandiera dell’Europa e di portare a compimento questo grande progetto sociale, politico ed economico.

Qualcuno, il professor Briguglia, sul sito giornalistico Il Post, ha scritto recentemente un articolo con tre “semplici” proposte di iniziative concrete europee: un’ora di “Europa” nelle scuole, una rete di Università Europee e un canale televisivo europeo. Tre idee che sarebbero piaciute ad Altiero Spinelli: forse una strada è quella di individuare azioni che mettano in pratica le prospettive europeiste e diano gambe ai valori in cui lui credeva.

 

 

I documenti

Su Altiero Spinelli è possibile accedere a una documentazione estremamente ampia. Spinelli stesso ha lasciato molti scritti e sulla sua opera sono disponibili libri e articoli in grande quantità. Per un primo accostamento sono presenti sul WEB due siti a lui dedicati, il primo è dell’Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli e il secondo è del Comitato Nazionale per le celebrazioni del centesimo anniversario della nascita di Altiero Spinelli, in entrambi è presente del materiale documentale vasto e utile.

Il testo più significativo di Spinelli è il già citato Manifesto per un’Europa libera ed unita (Manifesto di Ventotene), scritto, tra l’inverno del 1941 e la primavera del 1942, in collaborazione con Ernesto Rossi e altri confinati nell’isola tirrenica. Malgrado sia stato redatto in un contesto profondamente diverso da quello attuale, la Seconda guerra mondiale era nel pieno del suo sviluppo e il nazi-fascismo aveva mostrato il suo volto più terribile, i contenuti rimangono attuali e da meditare, in una fase nella quale molto si discute di nazionalismo, futuro dell’Europa e nuovi equilibri mondiali.

Invitiamo quindi a una sua lettura e ad approfondire il pensiero e le azioni di Altiero Spinelli.

Per conoscere dal vivo Spinelli proponiamo il video con l’ultimo discorso da lui tenuto al Parlamento Europeo e dalle Teche RAI un’intervista di Guglielmo Zucconi a Spinelli per la rubrica “Perché sì, perché no”.

In conclusione, mettiamo a disposizione alcuni numeri del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa riconducibili alle tematiche toccate in questa pagina.