Il personaggio
Gesù disse che «nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (Lc 4,24): questa espressione è certamente vera per don Lorenzo Milani. È il prete di Barbiana, degli ultimi, il “testimone” che desideriamo presentare.
Un uomo probabilmente troppo avanti per i suoi tempi, come tutti i profeti autentici, che ci spinge a provare a essere anche noi “avanti”, coerenti come persone e discepoli del Signore.
Molto della sua personalità, delle sue idee e della sua attività è comprensibile a partire dalla breve e intensa esperienza di vita: ecco quindi la biografia tratta dalla pagina del sito della Fondazione a lui dedicata, nella quale, oltre alle righe che seguono, si trovano ulteriori contenuti utili a comprendere la sua figura.
Don Lorenzo nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una colta famiglia borghese. È figlio di Albano Milani e di Alice Weiss, quest’ultima di origine israelita.
Nel 1930 da Firenze la famiglia si trasferì a Milano dove don Lorenzo fece gli studi fino alla maturità classica. Dall’estate del 1941 Lorenzo si dedicò alla pittura iscrivendosi dopo qualche mese di studio privato all’Accademia di Brera.
Nell’ottobre del 1942, causa la guerra, la famiglia Milani ritornò a Firenze. Sembra che anche l’interesse per la pittura sacra abbia contribuito a far approfondire a Lorenzo la conoscenza del Vangelo.
In questo periodo incontro don Raffaello Bensi, un autorevole sacerdote fiorentino che fu da allora fino alla morte il suo direttore spirituale.
Nel novembre del 1943 entrò in Seminario Maggiore di Firenze. Il 13 luglio 1947 fu ordinato prete e mandato in modo provvisorio a Montespertoli ad aiutare per un breve periodo il proposto don Bonanni e poi, nell’ottobre 1947 a San Donato di Calenzano (FI), cappellano del vecchio proposto don Pugi.
A San Donato fondò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia.
Il 14 novembre 1954 don Pugi moriva e don Lorenzo fu nominato priore di Barbiana, una piccola parrocchia di montagna. Arrivò a Barbiana l’7 dicembre 1954. Dopo pochi giorni cominciò a radunare i giovani della nuova parrocchia in canonica con una scuola popolare simile a quella di San Donato. Il pomeriggio faceva invece doposcuola a in canonica ai ragazzi della scuola elementare statale.
Nel 1956 rinunciò alla scuola serale per i giovani del popolo e organizzò per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari una scuola di avviamento industriale.
Nel maggio del 1958 dette alle stampe Esperienze pastorali iniziato otto anni prima a San Donato.
Nel dicembre dello stesso anno il libro fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perché ritenuta “inopportuna” la lettura.
Nel dicembre del 1960 fu colpito dai primi sintomi del male (linfogranuloma) che sette anni dopo lo portò alla morte,
Il primo ottobre 1964 insieme a don Borghi scrisse una lettera a tutti i sacerdoti della Diocesi di Firenze a seguito della rimozione da parte del Cardinale Florit del Rettore del Seminario Mons. Bonanni.
Nel febbraio del 1965 scrisse una lettera aperta ad un gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato avevano definito l’obiezione di coscienza “estranea al Comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà”. La lettera fu incriminata e don Lorenzo rinviato a giudizio per apologia di reato.
Al processo, che si svolse a Roma, non poté essere presente a causa della sua grave malattia. Inviò allora ai giudici un’autodifesa scritta. Il 15 febbraio 1966, il processo in prima istanza si concluse con l’assoluzione, ma su ricorso del pubblico ministero, la Corte d’Appello quando don Lorenzo era già morto modificava la sentenza di primo grado e condannava lo scritto. Nel luglio 1966 insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana iniziò la stesura di Lettera a una professoressa.
Don Lorenzo moriva a Firenze il 26 giugno 1967 a 44 anni.
Il commento
Nella vita di don Milani ci sono alcuni aspetti che superano il tempo trascorso, scavalcano le differenze di contesto e sono da porre in risalto ancora oggi.
Egli fu innanzitutto un uomo di fede, una fede lucida, esigente, senza alcuna superficialità, senza mezze misure: abbracciata, scelse di viverla nel modo che gli sembrò più radicale, diventando un prete, ma conservando le radici ebraiche della sua appartenenza familiare. Don Bensi, il suo padre spirituale, affermava che «era un cristiano, ma anche un ebreo: un piede, a suo modo, nel Vecchio Testamento l’ha sempre tenuto. Di qui il suo rigore, le sue collere, la sua spaventosa intransigenza», la trasparenza, la coerenza, la lotta alla mediocrità.
Scelse di lanciare un messaggio attuale e scomodo: quello dell’attenzione agli ultimi, agli esclusi, vi è quindi una profonda convergenza con uno degli elementi più cari a papa Francesco.
Un altro messaggio famoso è quello che campeggia su una parete della povera scuola di Barbiana, «I care», «mi interessa», «mi sta a cuore» il suo motto, ripreso nel corso dei decenni e attuale ancora oggi, ispirato a quello fascista «me ne frego», del quale è l’esatto contrario. E don Lorenzo ha avuto nel cuore tutte le persone che ha avvicinato, a partire dai suoi ragazzi, a partire dai primi parrocchiani di San Donato, che lo colpirono per la loro incoerenza religiosa, per la sostanziale mancanza di fede, seppure esibita sotto le forme e le devozioni della religiosità popolare: per lui se la fede non cambia la vita non è fede.
Per rinnovare il suo approccio don Lorenzo si dedicò a un lavoro di analisi sulle cause di questa situazione e sulle ragioni del distacco dei credenti dalla Chiesa istituzionale, producendo un’originale ricerca sociologica, ricca di statistiche e dati sui quali impostare le azioni di aggiornamento. Tutto questo e il nuovo metodo per l’annuncio del Messaggio sono contenuti nel libro «Esperienze pastorali», che fu accolto con gravi riserve dalla gerarchia (a questo link è presente un approfondimento sul tema). Per chi oggi studi pastorale e teologia morale non è possibile, però, prescindere da questo testo e dai metodi utilizzati.
Si impegnò, dunque, per un rinnovamento dell’evangelizzazione e della catechesi, su base biblica, ma si accorse che, per preparare all’accoglienza del messaggio cristiano, bisognava dare la precedenza alla promozione umana, innanzitutto attraverso una seria istruzione.
Da qui nacque il suo straordinario e insolito impegno per la scuola, mirata per prima cosa a dare dignità ai poveri, da non strumentalizzare, neppure in vista del Vangelo, ma mezzo utile per aprire degli spiragli, porre grandi domande, turbare le coscienze, come approccio all’annuncio della fede; proposta fatta in primo luogo con il contatto personale con lui: la testimonianza e la vita come annuncio silenzioso della buona novella di Gesù.
Vi sono messaggi importanti che emergono da questa testimonianza. L’interezza, l’essere se stessi, non fare compromessi con i propri ideali; poi l’indicazione che la vita deve essere dedicata agli altri, alla loro crescita, alla loro liberazione, strumento indispensabile per liberarsi a nostra volta; l’insegnamento a non sciupare la propria esistenza in cose superficiali e secondarie, ma a impiegare ogni energia e tutto il proprio tempo in modo utile e fattivo. Ancora, che nessuno si può liberare da solo, è necessario praticare la solidarietà: «il problema degli altri è uguale al nostro», per cui «uscirne da soli è l’avarizia, uscirne insieme è la politica».
È necessario, per don Milani, studiare, essere informati, avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici, essere schierati dalla parte dei più deboli, non essere interclassisti, impegnarsi per elevare il povero a un livello superiore, come scrisse don Lorenzo in Esperienze pastorali: «non dico a un livello pari dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più di tutto». È indispensabile avere la volontà di incidere, di modificare la realtà, essere di esempio rispetto alle cose che sosteniamo, disponibili a rischiare, ad andare contro corrente, rimboccarsi le maniche e partire anche dalle piccole cose.
Per usare un’espressione biblica, tutto ciò può riassumersi nel ricercare la giustizia, quella espressa nel Magnificat: servire il Dio che rovescia «i potenti dai troni e innalza gli umili» e ricolma «di beni gli affamati» e rimanda «a mani vuote i ricchi». Non semplicemente «impegnandosi per», bensì vivendo ciò in prima persona, diventando umile e povero, come fece don Lorenzo a vent’anni nel 1943, spogliandosi delle vesti del privilegio derivante dalla sua condizione.
Egli declinò la povertà in un modo tutto particolare, non solo interpretandola sotto il profilo economico, ma misurandola sul grado di cultura e sulla funzione sociale.
La passione educativa nacque da qui: praticare la giustizia, dando ai poveri la parola e offrire la Parola. Detto questo, don Milani rivendicò con forza la laicità della sua scuola, sinonimo di libertà e di apertura: per lui significò soprattutto «non presupporre nel ragazzo null’altro che d’essere uomo», come spiegò nella Lettera a una professoressa, e avere come scopo il «fine giusto», dedicarsi al prossimo.
Don Lorenzo amò la scuola, e i suoi ragazzi, fino a quando li lasciò. Il suo fu un approccio maieutico, di dialogo e coinvolgimento, valorizzando ogni studente, proponendo iniziative pionieristiche, per l’epoca, quali la lettura e il commento delle notizie dei giornali quotidiani in classe, esperienze all’estero, educando alla cooperazione anziché alla competizione. Utilizzando una didattica che parte dalla realtà, dall’incontro con i problemi veri e sentiti, che pratica l’inclusione, una didattica non frontale, il superamento del concetto di libro di testo, la ricerca e la valorizzazione delle competenze
Al tempo di don Milani gli ultimi erano i contadini e gli operai, oggi sono gli immigrati e i sempre presenti poveri: l’elemento di attualità è la scuola come strumento di elevazione sociale, il sapere per crescere, il sapere per interrompere lo sfruttamento dei privilegiati sui meno fortunati.
Egli credette che ogni ragazzo potesse avere un suo percorso per diventare un cittadino consapevole e responsabile: in grado di fare politica, di non dare ascolto alle promesse («la demagogia porta facili consensi ma non risolve alcun problema»), ma di giudicare solo dai fatti, sempre in grado di essere critici e propositivi.
Criticò i voti, le interrogazioni, le promozioni, le bocciature, come espressione del principio del merito contro quello del diritto: a Barbiana veniva proposto di studiare per tutt’altri motivi, primo fra tutti la dignità personale che significa essere sempre in grado di decidere noi cosa fare o non fare.
La sua lotta contro la discriminazione fu in realtà una battaglia più ampia per i diritti.
Oggi, nonostante progetti specifici, in Italia abbiamo la percentuale più alta di NEET (non impiegati e non in formazione) di tutta Europa: la scuola è ancora quell’ospedale che con i sani funziona benissimo, con i malati un po’ meno, come riteneva don Lorenzo.
Ai suoi ragazzi lasciò un testamento che si conclude così: «Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto. Un abbraccio, vostro Lorenzo».
È l’incitamento, per noi, a impegnarci e amare, sempre, qualcuno e qualcosa.
I documenti
Il modo migliore, a nostro parere, per conoscere e lasciarsi interpellare e provocare da don Lorenzo è leggere direttamente i suoi scritti. È passato mezzo secolo da quell’epoca, il mondo è cambiato notevolmente, ma le sue parole rimangono di grande attualità, come succede ai profeti autentici.
L’invito è dunque di procurarsi, se non sono già presenti nella propria biblioteca, libri quali Esperienze pastorali, L’obbedienza non è più una virtù, Lettera a una professoressa.
La Fondazione che porta il suo nome ha pubblicato inoltre dei suoi scritti inediti, oltre alla riedizione di alcune opere, il cui elenco è fruibile a questo link.
Sono poi disponibili numerosi volumi nei quali la sua figura è dipinta e commentata.
La Fondazione è una importante fonte di documentazione tramite il suo sito e mette a disposizione una grande possibilità: quella di visitare e vivere Barbiana.
In rete sono reperibili servizi filmati che forniscono anche l’opportunità di vedere alcune rare immagini sue e dei ragazzi della scuola.
Sul sito della Fondazione è presente un video che illustra una mostra fotografica realizzata dalle ACLI delle Marche e alcune immagini d’epoca.
Sempre nel sito una pagina ha per titolo “L’ha detto Don Lorenzo”: sono riportate brevi frasi che possono spingere a consultare i testi prima citati.
Eccone un assaggio.
- Quando ci si affanna a cercar apposta l’occasione di infilar la fede nei discorsi, si mostra di averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita e non invece modo di vivere e di pensare.
- Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola. […] Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi dicome bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola
- Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti ma schierati.
- Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.
- Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
- Ho insegnato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia.
- Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati.
- Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.
- Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o con la scuola?
- Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa.
- Se dicessi che credo in Dio direi troppo poco perché gli voglio bene. E capirai che voler bene a uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza.
- La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale […]. La distinzione in classi sociali non si può dunque fare sull’imponibile catastale, ma su valori culturali.
- Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola […]. Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere […]. Io non era così e perciò non potrò mai dimenticare quel che ho avuto a loro.
- Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali.