Il fatto
Il “fatto” del mese si riferisce alla ricorrenza che puntualmente si propone a fine aprile di ogni anno, ricordando eventi occorsi alcune decenni orsono. Col passare del tempo si ha l’impressione di una perdita di senso, di dimenticare la storia e i significati della “liberazione”, se non, addirittura, dell’emergere di prospettive e di forzature da parte delle forze politiche, e non solo, in particolare da quelle alla guida del Paese in quel momento.
Il primo invito è ad andare alla ricerca di una ricostruzione storicamente corretta degli eventi, a partire dalle loro radici.
Il 25 aprile fu dichiarato festa nazionale già dall’anno successivo, il 22 aprile del 1946, con decisione del presidente del Consiglio Alcide de Gasperi e del principe regnante Umberto II, c’era infatti ancora la monarchia. La data fu fissata in modo definitivo con la legge n. 269 del maggio 1949, presentata da De Gasperi in Senato nel settembre 1948.
Il 25 aprile è il giorno in cui si celebra la Festa della Liberazione dal nazifascismo, avvenuta nel 1945. L’occupazione tedesca e fascista non terminò in un solo giorno, ma si considera il 25 aprile come data simbolo, perché coincise con l’inizio della ritirata da parte dei soldati della Germania nazista e di quelli fascisti della repubblica di Salò dalle città di Torino e di Milano, dopo che la popolazione si era ribellata e i partigiani avevano organizzato un piano coordinato per prendere il controllo delle città. La guerra in Italia quindi non finì il 25 aprile 1945, continuò ancora per qualche giorno, fino agli inizi di maggio.
Ma prima cos’era successo?
Il crollo del fascismo era avvenuto il 25 luglio 1943. Dopo molte battaglie finite male, la prospettiva di una guerra ormai persa e un malcontento diffuso, il re Vittorio Emanuele III destituì Mussolini dopo il Gran Consiglio del Fascismo, tenutosi in quel giorno, che lo sfiduciò. Il Duce venne imprigionato sul Gran Sasso, mentre il suo posto fu occupato da Pietro Badoglio.
Il 3 settembre Badoglio firmò l’armistizio con gli alleati: niente più guerra contro inglesi e americani. Mentre Badoglio e il Re si rifugiavano a Brindisi, nella zona già controllata dagli Alleati, l’annuncio dell’avvenuto armistizio venne reso noto agli italiani solo l’8 settembre. La reazione dei nazisti fu immediata: occuparono il resto dell’Italia e liberarono Mussolini.
Contemporaneamente prese il via la Resistenza, coordinata dal Comitato di Liberazione Nazionale nato a Roma il 9 settembre 1943, nel quale erano rappresentati i partiti sorti e ricostituitisi durante il 1943, con lo scopo quello di terminare la guerra e sconfiggere il fascismo e il nazismo.
Iniziarono a operare gruppi di partigiani, il cui scopo era lo stesso, la cacciata dei nazi-fascisti che governavano l’Italia settentrionale sotto la Repubblica di Salò, ai quali si affiancarono lavoratori, operai, contadini.
Al centro dell’Italia la resistenza durò poco, poiché nel 1944 gli alleati iniziarono a controllarlo. Al nord invece, la resistenza ebbe modo di svilupparsi in quanto durò dal 1943 al 1945.
Le bande partigiane diedero vita a una resistenza armata contro l’occupazione nazista e contro il collaborazionismo fascista, per cui la lotta fu nel contempo una guerra di liberazione e una guerra civile.
Le formazioni partigiane si distinguevano per orientamento politico: vi erano le brigate Garibaldi (comuniste), Matteotti (socialiste) e Giustizia e libertà (del partito d’azione). Nel giugno 1944 si costituì anche il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), e grazie all’attività di questi gruppi, a cui si affiancò la partecipazione diretta della popolazione civile, molte zone furono liberate dai partigiani prima dell’arrivo degli alleati.
Le formazioni partigiane agivano soprattutto lontano dai centri abitati per sfruttare i vantaggi offerti dalla natura montagnosa del paese, lanciando attacchi improvvisi a reparti nemici o a strutture di interesse militare. Le rappresaglie tedesche furono feroci, come testimoniato ad esempio dai 335 civili massacrati a Roma nelle Fosse Ardeatine e dalla strage di Marzabotto dove si contarono 1830 vittime.
Come accennato, la popolazione, in generale, ebbe un ruolo, mettendo in atto altre forme di resistenza, come il grande sciopero generale del marzo ’44, l’unico nell’Europa occupata dai nazisti, che bloccò la produzione del triangolo industriale Torino-Genova-Milano.
Il 10 aprile il Partito Comunista diffuse alle organizzazioni locali con cui era in contatto la “Direttiva n. 16”, in cui si affermava che era giunta l’ora di «scatenare l’attacco definitivo»; il 16 aprile il CLNAI emanò simili istruzioni per un’insurrezione generale. I partigiani organizzarono e avviarono attacchi verso i centri urbani. Bologna, ad esempio, fu aggredita dai partigiani il 19 aprile e definitivamente liberata con l’aiuto degli alleati il 21.
Il 24 aprile 1945 gli alleati superarono il Po, e il 25 aprile i soldati tedeschi e della repubblica di Salò cominciarono a ritirarsi da Milano e da Torino. Anche Mussolini e i gerarchi rimasto con lui, abbandonarono Milano la sera del 25 per dirigersi verso Como.
Le fabbriche furono occupate e presidiate, i partigiani continuarono a giungere a Milano nei giorni tra il 25 e il 28, sconfiggendo le residue e limitate resistenze. Una grande manifestazione di celebrazione della liberazione si tenne a Milano il 28 aprile. Gli americani arrivarono nella città il 1° maggio.
Infine, è significativo citare che anche altri paesi europei celebrano la fine dell’occupazione straniera durante la Seconda guerra mondiale, ma in date diverse dalla nostra: Olanda e Danimarca la ricordano il 5 maggio, in Norvegia è festa l’8 maggio, in Romania il 23 agosto. Anche in Etiopia si festeggia il 5 maggio: ma in quel caso per ricordare la liberazione dall’occupazione italiana, avvenuta nel 1941.
Il commento
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.» Così recita l’articolo 11 della nostra Costituzione, nata dopo il percorso avviato con la fine del secondo conflitto mondiale e la liberazione dal nazifascismo.
L’Italia con essa diventa una democrazia compiuta, seppure sempre migliorabile, dopo il ventennio di dittatura e una fase, successiva all’unificazione del Paese, ancora di parziale democratizzazione.
È paradossale che se non avessimo perso la guerra, perché come Stato eravamo tra gli sconfitti, oggi forse parleremmo di una storia diversa, di un mondo diverso, sotto il Terzo Reicht.
La Resistenza ha consentito a noi italiani di rimediare a un periodo in cui, almeno esteriormente, se va bene, la maggioranza si era fatta attrarre dal fascismo. Certo sotto il profilo militare essa è stata una briciola nella grandiosa e tragica epopea che è stata la Seconda guerra mondiale, costata 50 milioni di morti, e l’Italia venne liberata, e sconfitta, dagli Alleati: fu però il riscatto morale portato avanti da una minoranza di donne e uomini.
Col passare degli anni la ricorrenza è stata probabilmente stravolta nel suo senso. Il ricordo della Liberazione è oscillato tra la celebrazione di una vittoria, che non c’è stata, e il “derby” tra comunisti e fascisti, come recentemente è stato affermato.
Il 25 aprile dovrebbe essere un’occasione per fare i conti con noi stessi e con il nostro passato, con le dinamiche che hanno portato al supporto popolare al fascismo, alle modalità che hanno condotto Mussolini alla guida del Paese, alla deriva dittatoriale, alla guerra. Misurarsi con la storia consente di interpretare meglio il presente, di comprendere quali potrebbero essere gli sviluppi futuri, di non commettere gli stessi errori.
Il 25 aprile ci ricorda poi il grande valore della libertà, senza la quale non è possibile vivere un’esistenza piena; non si tratta, come qualche deriva suggerisce, di scegliere tra una democrazia senza libertà o una libertà senza democrazia: è indispensabile affermare che l’una è indissociabile dall’altra, da perseguire insieme e con l’uguaglianza e la fraternità.
Siccome alcuni valori di riferimento sono questi, la Festa della Liberazione dovrebbe essere un’occasione per ribadire il nostro essere una comunità, nata e cresciuta attorno a tali valori. Se oggi viviamo nella nostra Repubblica, pur in presenza di fatiche e difficoltà, potendo esprimere le nostre opinioni, potendo votare, avendo una Costituzione come riferimento, dobbiamo anche considerare che una volta questo non era possibile. Non dobbiamo commettere l’errore della persona sana che apprezza il suo stato di salute solo quando comincia ad ammalarsi.
Il 25 aprile deve essere l’occasione per ripensare e riproporre, in chiave attuale, gli ideali del dopoguerra e la distanza tra alcuni modelli di oggi e tali riferimenti. Può aiutarci a capire se c’è ancora del “fascismo” tra noi, nei comportamenti guidati dall’egoismo, dall’individualismo, dalla sopraffazione; può indicarci percorsi che superino una politica ridotta a pura lotta per il potere, a sollecitazione delle paure e degli istinti più bassi.
Ricordare la fine della Seconda guerra mondiale è prestare attenzione ai conflitti sparsi per il mondo, al fatto che si combattano con armi prodotte e venduta da noi; significa pensare a tutte le donne e gli uomini che vivono in situazioni non degne dell’essere una persona e domandarsi cosa è possibile fare per portare più giustizia nel mondo e, in primo luogo, nella nostra Italia.
Le fonti
L’invito che facciamo è innanzitutto di documentarsi e riflettere sul senso della ricorrenza.
È interessante andare alla riscoperta della situazione e di fatti legati al 25 aprile nel territorio torinese, visto che la scelta della data ha riguardato anche il capoluogo piemontese. Due riferimenti possono essere i siti di “Torino storia” e di “Rotta su Torino”.
In sintesi, tutto parte dal piano E 27, elaborato nell’autunno 1944 e variamente modificato sino all’ordine esecutivo del 24 aprile nel quale c’era scritto: «Aldo dice 26 x 1. Nemico in crisi finale. Applicate Piano E 27. Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga. Fermate tutte le macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette. Comandi Zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strada Genova-Torino et Piacenza-Torino».
La strategia si basava su quattro concetti. Innanzitutto, Torino deve liberarsi da sola, prima dell’arrivo degli alleati, per consentire agli organi di autogoverno locali di assumere i poteri. In secondo luogo, l’insurrezione deve avvenire con il concorso delle formazioni locali, che devono occupare gli obiettivi fissati e stabilire attorno alla città posti di blocco. Ancora, le formazioni operaie e le squadre partigiane antisabotaggio si devono occupare della difesa degli impianti e delle vie di comunicazione. Infine, i gruppi partigiani all’esterno della città devono disturbare i movimenti delle truppe tedesche in ritirata, senza affrontarle per l’inferiorità numerica e delle armi. Il piano risponde a necessità militari e politiche, poiché la questione della liberazione del territorio è inseparabile da quella del suo controllo. Non si potevano aspettare le armate alleate, perché altrimenti il movimento della resistenza non avrebbe avuto alcun ruolo.
È da porre in evidenza il peso dei cattolici, anche in Piemonte, nella resistenza: nel 2017 Famiglia Cristiana ha pubblicato un articolo che può essere un buon punto di partenza per conoscerlo.
Riportiamo tre brevi frasi sul 25 aprile e alcune tra le poesie più belle dedicate al tema dell’impegno dei partigiani e agli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
“25 Aprile. Una data che è parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Una certa Resistenza non è mai finita.” (Enzo Biagi)
“Dopo venti anni di regime e dopo cinque di guerra, eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà.” (Norberto Bobbio)
Sul 25 aprile si sono scritti trattati, pensieri, frasi, poesie, ciò che rimane è la conquista dell’uomo della sua libertà spinto, più che mai a ribellarsi a ideali in cui non credeva, ad una soppressione anacronistica. Dovremmo tutti imparare dalla storia, per trovare la forza di dire “no” e lottare per la libertà.” (Stephen Littleword)
Aprile 1945 – Dino Buzzati
Ecco, la guerra è finita.
Si è fatto silenzio sull’Europa.
E sui mari intorno ricominciano di notte a navigare i lumi.
Dal letto dove sono disteso posso finalmente guardare le stelle.
Come siamo felici.
A metà del pranzo la mamma si è messa improvvisamente a piangere per la gioia,
nessuno era più capace di andare avanti a parlare.
Che da stasera la gente ricominci a essere buona?
Spari di gioia per le vie, finestre accese a sterminio,
tutti sono diventati pazzi, ridono, si abbracciano,
i più duri tipi dicono strane parole dimenticate.
Felicità su tutto il mondo è pace!
Infatti quante cose orribili passate per sempre.
Non udremo più misteriosi schianti nella notte
che gelano il sangue e al rombo ansimante dei motori
le case non saranno mai più così immobili e nere.
Non arriveranno più piccoli biglietti colorati con sentenze fatali,
Non più al davanzale per ore, mesi, anni, aspettando lui che ritorni.
Non più le Moire lanciate sul mondo a prendere uno
qua uno là senza preavviso, e sentirle perennemente nell’aria,
notte e dì, capricciose tiranne.
Non più, non più, ecco tutto;
Dio come siamo felici.
Uomo del mio tempo – Salvatore Quasimodo
Sei ancora quello della pietra e della fionda;
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
-t’ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
“Andiamo ai campi!”. E quell’eco fredda, tenace
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Alle fronde dei salici – Salvatore Quasimodo
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Avevo due paure – Giuseppe Colzani
La prima era quella di uccidere
La seconda era quella di morire
Avevo diciassette anni
Poi venne la notte del silenzio
In quel buio si scambiarono le vite
Incollati alle barricate alcuni di noi morivano d’attesa
Incollati alle barricate alcuni di noi vivevano d’attesa
Poi spuntò l’alba
Ed era il 25 Aprile
La madre del partigiano – Gianni Rodari
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.
Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.
Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.
Per i morti della resistenza – Giuseppe Ungaretti
Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce.