Il Rapporto “Giorgio Rota”: un bilancio di 20 anni su Torino

Il fatto

Sabato 26 ottobre 2019 è stato presentato l’ultimo Rapporto “Giorgio Rota” su Torino dal titolo Il futuro rinviato, realizzato dal Centro di Ricerca e Documentazione “Luigi Einaudi”.

Il lavoro, giunto alla sua ventesima edizione, oltre a fotografare, come gli altri, la situazione nell’area del capoluogo piemontese, opera una sorta di bilancio di questi quattro lustri di storia torinese. Lo fa attraverso una mole significativa di dati e indicatori che non riguardano solo la città, ma anche le altre grandi zone urbane italiane, allo scopo di permettere un confronto.

Il testo analizza tutto ciò nella prima parte, prendendo in esame sei vaste tematiche: persone, economia, tessuto urbano, cultura, coesione sociale e ambiente.

Nella seconda presenta e valuta i progetti maturati nel corso del ventennio preso in esame, completando il lavoro con una terza parte dedicata all’evoluzione del rapporto stesso, dalla prima edizione a oggi, e a una sintetica conclusione.

Sulla base degli indicatori esposti il bilancio finale mostra una situazione indubbiamente migliorata.

Rimandando gli approfondimenti alla lettura del Rapporto stesso, disponibile e scaricabile, del quale è anche fruibile una sintesi, e a una serie di post che pubblicheremo sulla pagina Facebook delle Piccole Officine Politiche dedicati a molti dei dati contenuti nella ricerca, l’elemento essenziale è la positività, per quanto concerne la realtà torinese, dei circa due terzi tra la cinquantina di indicatori di “efficienza urbana”, con qualche ombra, però.

In particolare è cresciuta la capacità di attrarre turisti, ad esempio per ciò che riguarda la visita ai musei, di richiamare studenti universitari, di migliorare i parametri ambientali ed economici. Riguardo all’ultimo aspetto emerge la trasformazione dal suo passato di città fabbrica al presente legato al terziario.

Torino è ben posizionata anche nel campo dell’innovazione (brevetti, esportazioni e manodopera qualificata) e della sostenibilità (verde, raccolta differenziata e piste ciclabili), perdendo però terreno rispetto alle altre metropoli in tali settori.

L’elemento ora evidenziato è importante. In termini locali la situazione è cambiata in meglio, ma se si supera il contesto torinese e lo si confronta con le altre aree urbane il quadro appare meno brillante e favorevole. Nel ventennio esaminato il capoluogo subalpino non è stato fermo, ma le altre, in molti indicatori, hanno avuto una velocità maggiore.

Nel posizionamento tra le 15 metropoli italiane, in relazione ai dati considerati, il torinese occupa spesso posizioni di metà classifica, rappresentando quasi l’anello di congiunzione tra le aree del nord e del centro, generalmente collocate più in alto, e quelle del sud.

In merito alla progettualità, alla quale è dedicata come abbiamo accennato la seconda parte, emerge un’indubbia ricchezza. Torino è stata la prima area urbana italiana a dotarsi di un Piano strategico, nel 2000, seguendo l’esempio di altre città europee come Barcellona, Lione, Glasgow e Bilbao. Nei quindici anni successivi ne sono stati varati altri due e attualmente è in fase di approvazione da parte del Comune un Piano d’azione con orizzonte il 2030. Nel contempo sono state elaborate altre progettualità tematiche, sovente con forti elementi di intersettorialità, come quelle per la mobilità sostenibile, l’energia, la smart city.

Una caratteristica importante di questi percorsi è stata il coinvolgimento di numerosi attori locali, l’attivazione di risorse umane ed economiche, i processi di partecipazione che hanno consentito di costruire visioni condivise.

Una nota non favorevole riguarda appunto la quantità di tali iniziative e il moltiplicarsi di strumenti, insieme alla sovrapposizione dei progetti e a una scarsa capacità di coordinamento, che hanno provocato fenomeni di disinteresse e fatica nel condurre avanti le iniziative: «forse, nel complesso, sono stati lanciati molti più piani e progetti di quelli che il sistema locale fosse in grado di realizzare, specie tenendo conto della crescente carenza di risorse pubbliche», sottolinea il Rapporto.

Un ulteriore elemento critico, che caratterizza in generale il nostro Paese, è l’insufficiente capacità di monitorare le iniziative, di verificarne i risultati per rimodulare i piani e migliorarne l’efficacia.

Inoltre è necessario sottolineare come almeno il 75% dei progetti abbiano riguardato solo il territorio del capoluogo.

Il Rapporto risulta ampio e articolato, ricco di informazioni per comprendere la situazione dell’area torinese e la sua evoluzione nel corso degli ultimi vent’anni. L’invito è di accostarsi agli aspetti che più interessano e, magari, leggerlo nella sua totalità, senza dimenticare le informazioni e gli strumenti disponibili nel sito WEB.

 

 

 

 

Il commento

La prima considerazione è l’importanza della conoscenza, della ricerca quindi, per prendere decisioni. Ciò vale per chi deve operare scelte importanti, come i politici, gli amministratori, i manager, ma è un valore per chiunque: nella vita è fondamentale giungere a delle conclusioni sulla base di una coscienza matura e informata. Ribadire l’importanza di questi aspetti è ancora più utile oggi, col fenomeno dell’analfabetismo funzionale sempre più diffuso, con la sovrabbondanza di informazioni che rende difficile orientarsi senza strumenti in grado di fornire dati affidabili e sintesi comprensibili, con una politica che spesso procede a slogan e per semplificazioni.

Il lavoro dei ricercatori, in questo senso, è di un’importanza notevole, è un servizio indispensabile per la collettività. I dati sono tutt’altro che aridi numeri, dovrebbero essere l’alimento di qualsiasi scelta, dovrebbero fornire le indicazioni per decidere le strade da intraprendere, dovrebbero misurare i risultati raggiunti per valutare, a posteriori, la bontà delle cose fatte, delle politiche.

In relazione alla raccolta delle informazioni è utile riprendere un’osservazione, presente nel Rapporto, in merito alla gestione e alla diffusione degli «open data» presenti nelle amministrazioni locali e non solo, che potrebbero fornire ulteriori elementi di analisi per tutti. La loro divulgazione non è ancora una realtà consolidata, malgrado le linee guida internazionali e nazionali, indirizzate a sollecitare la loro propagazione, soprattutto on line, in modo trasparente e chiaro.

Di pari importanza è la capacità di monitorare, di verificare i risultati, individuare i punti deboli e, a partire da tali elementi, essere in grado di progettare il futuro. Dal lavoro del Rapporto abbiamo avuto indicazioni che mostrano la difficoltà, nei vari piani elaborati, di fare tutto ciò. Come modificare questo vizio diffuso è certamente un grosso interrogativo di difficile soluzione, ma dovrebbe essere un dovere per i decisori, in tutti gli ambiti, esaminare periodicamente l’avanzamento dei progetti e renderne conto. I cittadini devono pretenderlo, anche perché si tratta di conoscere, nella gran parte dei casi, come vengono spesi i soldi dei contribuenti.

Uno spunto interessante delle ricerche effettuate è il rilievo attribuito al fare sistema, alle reti di partecipazione, al dare vita a occasioni strutturate e durature di riflessione, confronto e progettazione. Questi strumenti dovrebbero diventare modalità abituali, ed è necessario che la politica abbia la capacità di organizzarli, utilizzarli e renderli capaci di produrre proposte e seguire l’andamento dei piani. In giro per il mondo vi sono delle buone pratiche che potrebbero essere replicate e migliorate.

Emerge dal Rapporto, ma oramai è un luogo comune, la carenza di risorse della pubblica amministrazione e, in particolare, quella del Comune di Torino. Gli enti locali non possono evitare di investire, dunque ci vogliono più risorse. È indispensabile aggredire il drammatico problema dell’evasione fiscale, con azioni decise e facendo crescere la consapevolezza culturale e civica del fenomeno: «chi non paga le tasse danneggia anche te, digli di smettere», parafrasando lo slogan una volta utilizzato per il fumo. Ci sarebbero poi gli spazi che potrebbe aprire quella che viene chiamata spending review. È un po’ che non se ne parla, ma un’attenta analisi della spesa pubblica, una sua razionalizzazione, l’abbattimento dei cosiddetti rami secchi, e tutto ciò che è possibile fare per spendere bene i soldi dei contribuenti andrebbe perseguito senza tentennamenti.

Ma non bastano queste considerazioni, in sede locale occorrerebbe ulteriormente incentivare i contributi privati, seriamente ottenuti e seriamente utilizzati; diffondere i valori, il modello e le pratiche delle economie non oggi dominanti, come quelle civile o di comunione, che promuovono l’uso sociale dei profitti; dare vita a strutture dedicate, quali le fondazioni di comunità.

Le problematiche legate alla scarsità dei fondi pubblici sollecitano l’attenzione a ulteriori elementi, emersi anche dal Rapporto: l’importanza di privilegiare alcuni settori, scelti dopo attente analisi, e la selezione dei progetti. Si tratta, proprio a partire dalle ricerche, di leggere le situazioni e prendere delle decisioni: tale è un precipuo compito della politica, supportata dalla capacità di consultare le organizzazioni della società civile, gli esperti, i cittadini.

Un aspetto centrale è poi costruire politiche di largo respiro. Anche questo è un elemento fortemente carente in Italia, solo per guardare al nostro Paese. Le progettualità dovrebbero possedere orizzonti lontani, per declinarsi in iniziative di più corto respiro. Solo così è possibile aggredire le complesse questioni che si presentano, solo così è possibile costruire il futuro, solo così è possibile ottenere risultati consolidati.

I dati da soli non bastano a fondare visioni, prospettive e progetti a medio e lungo termine, risulta indispensabile cogliere e farsi guidare da uno sguardo proiettato verso l’avvenire, per costruirlo e non per subirlo.

 

 

 

Le fonti

Il Rapporto “Giorgio Rota” ha compiuto vent’anni: infatti la prima edizione risale al 2000. Nella premessa del testo inaugurale veniva esplicitato l’obiettivo, ancora attuale, che non è di «costituirci a giudici di una realtà della quale noi per primi siamo e vogliamo essere parte, [bensì] più modestamente quello di fornire uno strumento di lavoro, di informazione e di aggiornamento a chi come noi in questa realtà opera».

Il senso è di descrivere la città e i suoi mutamenti, raccogliendo una massa di informazioni, sia quantitative sia qualitative, mediante dati statistici, sondaggi, interviste.

Il percorso aveva preso avvio nel 1999 grazie all’impegno di due associazioni culturali, il Comitato Giorgio Rota e L’Eau Vive, con il sostegno della Compagnia di San Paolo e, più di recente, della Banca del Piemonte e della Reale Mutua. Il Comitato Rota, trasformato in fondazione, nel 2012 è confluito nel Centro Einaudi, come pure l’organizzazione e lo staff del Rapporto.

Sotto il profilo metodologico il lavoro si è sviluppato come un work in progress, allargando progressivamente l’ambito e il territorio, da quello della città all’area metropolitana, confrontando anche altri contesti simili, oltre all’ampliamento delle tematiche affrontate. Dal 2003, a seguito di tale prospettiva, sono stati realizzati approfondimenti monografici che hanno costituito una costante nella stesura del Rapporto.

Nel corso degli anni i temi maggiormente seguiti sono stati le politiche, le imprese, il lavoro, i servizi, i grandi eventi, le trasformazioni urbane.

Il Rapporto ha svolto, e sta svolgendo, il ruolo di strumento di analisi dell’area metropolitana torinese, avendo scelto di occuparsi di essa, come l’IRES è impegnata su scala regionale. In questo senso rappresenta l’esempio più longevo e significativo, insieme al rapporto su Milano della fondazione Ambrosianeum.

L’attività di analisi, a partire dal 2010, è disponibile anche sul sito WEB www.rapporto-rota.it, del quale all’inizio è stato fornito il collegamento, che offre aggiornamenti e analisi sintetiche, una bibliografia e una banca dati statistica organizzata in otto aree tematiche e arricchita di tabelle corredate di commenti esplicativi, scaricabili liberamente per elaborazioni personali. In tali tabelle è confluito il lavoro di molti anni teso a selezionare gli indicatori più significativi e affidabili. Lo scopo è diffondere la ricerca perché sia disponibile a tutti, in particolare ai decisori pubblici e ai portatori di interesse e dar vita a reti di collaborazione.

La cadenza annuale consente di mettere a disposizione una fotografia sempre aggiornata, al fine di supportare gli orientamenti e le scelte di chi ha le più varie responsabilità nel territorio, in particolare gli organismi amministrativi e la politica. Sotto il profilo dello studio sociologico, dunque, il Rapporto si presenta come una sintesi tra scientificità e inchiesta, uno strumento di analisi per comprendere la realtà ed elaborare strategie di sviluppo.

Esso si rivolge in particolare ad alcuni settori della società, decisori pubblici, mondo produttivo, associazioni, ambito accademico e della ricerca, ma soprattutto negli ultimi anni si può notare un’attenzione speciale nell’utilizzo di un linguaggio e di modalità comunicative che facilitino l’accesso a tutti coloro che sono interessati alle vicende e alla crescita della città.

Il lavoro di ricerca prende il nome da Giorgio Rota, economista e docente universitario, nato e vissuto a Torino dal 1944 al 1984, anno della sua prematura scomparsa. Sul sito del Rapporto è accessibile una presentazione della sua figura.

Da qualche anno il Rapporto si è arricchito di due nuove edizioni, dedicate a Napoli, pubblicate nel 2014 e nel 2016, e a Roma, con un testo datato 2014.

Il Centro Einaudi, oltre al Rapporto, ha un ampio ventaglio di ricerche e iniziative che invitiamo a conoscere.