Il personaggio
Nel 2020 si festeggia il centenario della nascita di Gianni Rodari e i 40 anni dalla sua scomparsa, ma leggendo i suoi libri si coglie una modernità che supera il tempo trascorso: sono attuali anche perché ci propongono un mondo a misura di bambino del quale, soprattutto nel momento che stiamo vivendo, c’è un grande bisogno.
Ecco una sintetica biografia tratta dal sito dedicato alla ricorrenza, i cui promotori ringraziamo per la collaborazione e il materiale messoci a disposizione.
Gianni Rodari è nato a Omegna nel 1920. Dopo aver conseguito il diploma magistrale, per alcuni anni ha fatto l’insegnante. Al termine della Seconda guerra mondiale ha intrapreso la carriera giornalistica, che lo ha portato a collaborare con numerosi periodici, tra cui «L’Unità», il «Pioniere», «Paese Sera». A partire dagli anni Cinquanta ha iniziato a pubblicare anche le sue opere per l’infanzia, che hanno ottenuto fin da subito un enorme successo di pubblico e di critica. I suoi libri hanno avuto innumerevoli traduzioni e hanno meritato diversi riconoscimenti, fra cui, nel 1970, il prestigioso premio «Hans Christian Andersen», considerato il «Nobel» della letteratura per l’infanzia.
Negli anni Sessanta e Settanta ha partecipato a conferenze e incontri nelle scuole con insegnanti, bibliotecari, genitori, alunni. E proprio dagli appunti raccolti in una serie di questi incontri ha visto la luce, nel 1973, Grammatica della fantasia, che è diventata fin da subito un punto di riferimento per quanti si occupano di educazione alla lettura e di letteratura per l’infanzia. Gianni Rodari è morto a Roma nel 1980. Tra le sue opere più significative: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, C’era due volte il barone Lamberto.
Il commento
Rodari morì nel pomeriggio del 14 aprile del 1980, i colleghi giornalisti lo seppero in serata e quindi non riuscirono a scrivere qualcosa da pubblicare il 15 per ricordarlo. In questa data scomparve anche Jean-Paul Sartre, considerato uno dei principali intellettuali del ‘900: il 16 furono quindi pubblicati articoli a lui dedicati, piuttosto che allo scrittore di Omegna. Oggi si può affermare, però, che è stato un torto, e forse un esempio di esterofilia, perché se la cultura è debitrice del filosofo transalpino lo è anche di Gianni Rodari.
La persona
Il suo approccio al mondo, il suo metodo, caratterizzato dall’uso dell’immaginazione per leggerlo, comprenderlo, valutarlo e tentare di trasformarlo, è un lascito considerevole. Oggi è ritenuto, per questo, un classico tra gli autori; qualche critico lo affermava anche prima della sua prematura scomparsa, suscitando nel diretto interessato un sorriso ironico.
Rodari fu molte cose, partigiano, maestro, giornalista, poeta, scrittore, divulgatore, pedagogista, politico; un artista ricco e complesso, una persona riservata, ma dotata di grande sensibilità e curiosità. Come spesso succede a quelli che trasmettono allegria e leggerezza era malinconico e introverso, schivo e facile ad adombrarsi.
Influirono sulla sua personalità l’ambiente nel quale crebbe, lo splendido lago d’Orta e le belle montagne del varesotto, dove la famiglia si trasferì alla morte del padre; le prime letture fatte alla luce del lampione nel cortile, dai fumetti ai classici; i genitori: il padre, antifascista, che chiudeva «gli occhi per non vedermi vestito da Balilla», ma che lo lasciò presto morendo giovane, e la madre, donna di fede, ma un po’ rigida, che crebbe lui e il fratello da sola.
Fu, come uomo, giornalista e scrittore, sempre attento ai tempi in cui ha vissuto, che osservò con preoccupazione, ma anche con fiducia: dagli anni della guerra fredda all’epoca, decisamente meno inquietante, dell’irruzione dei cartoni animati giapponesi, che difese, poco prima di morire, allo stesso modo con cui nel 1951, aveva sostenuto i fumetti: per lui piuttosto che vietarli era più importante spronare gli insegnanti a far amare la lettura come strumento di scoperta, mentre spesso riuscivano a far odiare i libri.
Si impegnò attivamente in politica, nel Partito comunista, ma sempre con la cifra che lo contraddistingueva; operò nel Movimento di cooperazione educativa, e con altri soggetti della scuola ha immaginato una nuova figura di insegnante all’interno di un’istituzione rinnovata; lavorò alla costruzione di un diverso modello di genitore dirigendo Il giornale dei genitori. Come giornalista, anche nelle sue rubriche sul Corriere dei Piccoli, guardò alle novità senza pregiudizi, accogliendole, criticandole, ma mai condannandole in quanto tali. Da editorialista, si occupò di svariati temi, culturali e politici, raccontando l’Italia di quei decenni del dopoguerra, un Paese che cambiava.
Lo scrittore, e non solo
Rodari inventò un nuovo modo di guardare il mondo, usando gli strumenti della lingua, della parola, del gioco, e così facendo portò l’elemento fantastico nel cuore della crescita democratica dell’Italia repubblicana.
Insegnò il metodo dell’utopia, il senso dell’utopia, che, secondo lui, sarebbe stato un giorno riconosciuto tra i sensi umani alla pari dei cinque tradizionali, e nell’attesa di quel giorno è compito delle favole mantenerlo vivo, e servirsene, per scrutare l’universo fantastico e il mondo.
I suoi libri divennero pietre miliari nella costruzione dell’identità di tanti bambini e bambine del baby boom. Essi lo resero famoso e anche la Rai lo volle come collaboratore, prima alla radio dove scrisse il programma Tante storie per giocare, poi alla tv dove fu autore e ospite di rubriche per ragazzi.
Per un lungo periodo girò per la Penisola incontrando alunni e insegnanti, per confrontarsi, comunicare direttamente con i suoi lettori; manifestando una singolare abilità di far divertire e riflettere, di far emergere anche dai più restii la capacità di utilizzare la fantasia ed esprimersi.
Rodari cercò di parlare e di scrivere per tutti, con una lingua chiara, un pensiero limpido, sempre con l’obiettivo di cambiare, di migliorare, se stessi e quanto ci circonda. In una realtà che lascia poco spazio alla fantasia, anche nell’invasione del virtuale, e di fronte a una politica con poca vision, è più che mai attuale e importante il suo messaggio sul carattere liberatorio e democratico dell’immaginazione, sul ruolo che i bambini possono svolgere, sul grande rilievo da attribuire alla scuola e alla formazione, sulla libertà di espressione.
Considerò sempre importante il ruolo degli insegnanti e fondamentale il protagonismo dei giovani nella scuola e nella sua evoluzione. Al centro collocò l’alunno, i bambini, proponendo una società nuova, amica dell’infanzia.
Intuì il potenziale dei mezzi di comunicazione di massa, che hanno aperto l’accesso a una quantità enorme di informazioni a tutti e in particolare alle giovani generazioni, pur osservandoli con spirito critico, denunciandone i rischi e gli aspetti negativi.
Classico pur nella confusione tra scrittore per bambini e scrittore a tutto tondo, per tutti, un disorientamento provocato dall’essere stato, contemporaneamente, il più grande autore di favole e filastrocche del secolo scorso in Italia e giornalista, direttore di periodici, attivo protagonista, in più, dell’impegno sociale e politico, dello sviluppo democratico del Paese nel lungo dopoguerra.
Rodari è da considerare, come peraltro faceva lui, uno scrittore per tutti: significativa è la collocazione di una delle sue “storie”, nella collana degli Struzzi di Einaudi, tra Bertolt Brecht ed Edgar Lee Masters, con il numero 14.
La forza della fantasia
Per interpretare la realtà e andare alla ricerca del senso utilizzò lo strumento dell’immaginazione, esprimendola attraverso un uso rivoluzionario della parola, come mezzo di espressione e di liberazione, facendo in modo che fosse disponibile a tutti, come manifestazione della democrazia e perché nessuno fosse schiavo, similmente a quanto sosteneva don Milani con le sue famose «500 parole». Diffuse l’idea che la dissacrazione dei luoghi comuni e un uso “libero” del linguaggio possono contribuire alla liberazione dal conformismo e dai pregiudizi.
Rodari fu rivoluzionario nell’uso delle parole, nella struttura delle frasi, nella ricerca che fece del nonsense; creò immagini, come un giocoliere, ebbe la capacità di esprimersi in modo semplice e far arrivare a tutti un pensiero vitale e stimolante che può cambiare il modo di pensare. Nei suoi giochi di parole e in alcuni dei suoi lavori si denota un’attenta conoscenza delle persone e del loro quotidiano che descrisse nei suoi racconti con espressioni semplici.
Le sue creazioni, filastrocche, poesie, racconti, sono surreali, divertenti, fantasiosi, poetici, scritti usando un linguaggio chiaro e originale, che fa presa diretta sui bambini, e non solo; contengono messaggi di tolleranza, integrazione, pacifismo, solidarietà, ambientalismo. Seppe trovare la creatività dappertutto, anche e soprattutto negli errori; amò giocare coi bambini, ascoltarli e ricevere da loro lo spunto per creare le sue indimenticabili storie. Nei loro confronti ebbe sempre profonda considerazione e rispetto, dimostrando di conoscerli in modo autentico e profondo. Con gli adulti, invece, fu spesso beffardo, ironico e pungente.
Le sue opere hanno sempre un richiamo ai temi sociali, a questioni serie e di grande importanza, trattate con apparente leggerezza.
Violò alcune convenzioni della letteratura rivolta ai ragazzi, come ad esempio che debba avere una morale impartita dall’alto in basso; per lui adulto e bambino vivono in una realtà comune, perciò possono parlare la stessa lingua e capirsi: una complicità sul terreno della fantasia.
Rodari imparò un po’ per volta ad ascoltare quello che i grandi non stanno mai a sentire, prendendo sul serio il destino toccatogli in sorte, cioè scrivere per bambini, in modo che tutti potessero ascoltarli come lui.
Favole e filastrocche non sono banali, raccontano un paese complesso, con personaggi dalle caratteristiche differenti, nel quale possono esserci prepotenti, piccoli vagabondi, fatti quali l’alluvione del Polesine, vari mestieri che hanno odori e colori, ferrovie che servono per viaggiare e scoprire l’Italia a volte bella, a volte no.
La critica
Per alcuni critici Rodari ha rappresentato nel dopoguerra la persona di maggior livello culturale in Italia, in quanto nessuno come lui è riuscito a incidere in maniera così incisiva sul settore letterario nel quale si è impegnato. Eppure la sua opera non è stata sufficientemente considerata nella storia della cultura e della letteratura italiana. Per la maggior parte dei critici, infatti, che dissertavano di strutturalismo e filosofia hegeliana, di Thomas Mann e Heidegger, che si sentivano i numi tutelari della scrittura, fu difficile prendere sul serio un tipo che compone una novella sul Commendator Mambretti che «possiede trenta automobili e 30 capelli…» o che parla del «L’ago di Garda». Rodari soffrì nell’essere spesso considerato un intruso dal mondo della cultura; aveva successo e, come spesso accade, la popolarità era considerata un segno di scarsa qualità: successe a Collodi, Guareschi, Svevo, e addirittura a Proust; oppure oggi macari a Camilleri.
Malgrado ciò il provinciale che si era fatto strada nella capitale andò avanti, con la consapevolezza del suo valore e del gradimento dei lettori, in particolare dei bambini e dei maestri.
In ogni caso il tempo ha rimediato e Rodari è stato ed è considerato un intellettuale a tutto tondo, inoltre i suoi libri sono ancora esposti e comprati. E se un intellettuale è una persona in grado di dare un senso a quello che sta sotto gli occhi di tutti, legandolo al passato e al futuro, allora Gianni Rodari è stato un meraviglioso intellettuale.
Le fonti
I 100 anni dalla sua nascita hanno generato molte iniziative, tra le quali particolarmente importante, e utile, è il sito che li celebra: miniera per avvicinare l’uomo e la sua opera. Oltre alla biografia, arricchita da un percorso interattivo che segue gli sviluppi della sua vita, è presente una presentazione della vasta bibliografia, giochi, le iniziative programmate per il centenario e molto altro, come alcuni video tratti dalle Teche Rai e alcuni contenuti audio.
In rete è presente un sito che porta il suo nome con un’ulteriore biografia e altre informazioni.
Il materiale su di lui è ampio e facilmente accessibile.
Leggere le sue opere, tradotte in tutto il mondo, è il modo migliore per conoscerlo, apprezzarlo e cogliere le ricchezze seminate nelle innumerevoli pagine. Tra le tantissime ricordiamo Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, La torta in cielo, e soprattutto La grammatica della fantasia, una sorta di manifesto teorico e di manuale sui meccanismi che sottendono l’arte di inventare storie.
Alcune sue poesie sono state messe in musica, la più famosa è Ci vuole un fiore, del cantautore Sergio Endrigo e del compositore Luis Enriquez Bacalov.
Nel 1970 ricevette, primo e finora unico italiano, il Premio Hans Christian Andersen, considerato alla stregua di un Nobel alla narrativa per l’infanzia, il più prestigioso riconoscimento internazionale del settore.
Numerosi i luoghi, le strade, i parchi e le biblioteche a lui intitolati, il più celebre è il Parco della fantasia di Omegna.
Ecco un breve video per “vederlo in faccia”.
Come di consueto terminiamo con alcune citazioni.
«Certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova.»
«Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo.»
«La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo.»
«Non c’è vita dove non c’è lotta.»
«Tutti gli usi della parola a tutti, non perché tutti siano artisti ma perché nessuno sia schiavo.»
«Bisogna che il bambino faccia provvista di ottimismo per sfidare la vita.»
«È inutile parlare di libertà a uno schiavo che pensa di essere un uomo libero.»
«Chissà perché quelli che hanno il cuore buono davvero si sforzano sempre di non farlo sapere agli altri.»
«Sbagliando s’impara, è un vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe essere che sbagliando s’inventa.»
«Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?»
«Nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco. L’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere.»
«E alla povera gente che non ha da campare darei tutta la mia speranza senza fargliela pagare.»
«Se facessi il fornaio vorrei cuocere un pane così grande da sfamare tutta la gente che non ha da mangiare Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame Il più bel giorno della storia!»
«Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma, all’uomo intero, e non solo al fantasticatore.»
«Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.»
«Io vorrei che nella Luna ci si andasse in bicicletta per vedere se anche lassù chi va piano non va in fretta.»
«Tanta gente non lo sa e dunque non se ne cruccia: la vita la butta via e mangia soltanto la buccia.»
«Se io avessi una botteguccia fatta di una sola stanza vorrei mettermi a vendere sai cosa? La speranza.»
«Ogni occhio si prende ogni cosa e non manca mai niente: chi guarda il cielo per ultimo non lo trova meno splendente.»
«In cuore abbiamo tutti un cavaliere pieno di coraggio, pronto a rimettersi sempre in viaggio.»
«Or che i sogni e le speranze si fan veri come fiori, sulla luna e sulla terra fate largo ai sognatori.»
«Indovina se ti riesce: la balena non è un pesce, il pipistrello non è un uccello; e certa gente, chissà perché, pare umana e non lo è.»
«Le bugie non le posso soffrire. Nel calamaio le lascio a marcire!»
«Pelle Bianca come la cera Pelle Nera come la sera Pelle Arancione come il sole Pelle Gialla come il limone tanti colori come i fiori. Di nessuno puoi farne a meno per disegnare l’arcobaleno. Chi un sol colore amerà un cuore grigio sempre avrà.»
«Spiegatemi voi dunque, In prosa od in versetti, perché il cielo è uno solo e la terra è tutta a pezzetti?»
«Chiedo scusa alla favola antica se non mi piace l’avara formica io sto dalla parte della cicala che il più bel canto non vende… regala!»