Charles de Foucauld: fratello di tutti

Il personaggio

La chiusura della recente Enciclica di papa Francesco, prima della Preghiera al Creatore, è dedicata al ricordo di un una persona di profonda fede che «a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti: mi riferisco al Beato Charles de Foucauld» (286). «Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo deserto africano. In questo contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello. […] Voleva essere in definitiva il “fratello universale”. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi» (287).

La sua esperienza ha dato vita a numerosi gruppi e ordini religiosi diffusi in tutto il mondo. Dal sito dell’Associazione Famiglia spirituale Charles de Foucauld abbiamo ricavato la traccia della sua biografia.

Figlio di una famiglia cristiana (1858 – 1873)

Charles Eugène de Foucauld, visconte di Pontbriand, nacque in Francia, a Strasburgo, il 15 settembre 1858 e venne battezzato due giorni dopo la nascita. Visse la prima infanzia a Wissembourg, ma la mamma, il papà e la nonna paterna morirono nel 1864, dopo la nascita, tre anni prima, della sorella Marie. Il nonno materno accolse perciò i due bambini presso di sé. Il 28 aprile 1872, ricevette la Prima Comunione e la Cresima.

Giovane in un mondo senza Dio (1874 – 1876)

Charles è intelligente e studia senza difficoltà, ama molto i libri e legge di tutto. A poco a poco si allontana dalla fede, continua a rispettare la religione cattolica, ma non crede più in Dio.

Militare senza convinzione (1876 – 1882)

Nel 1876 entrò all’École Spéciale Militaire de Saint-Cyr e dopo due anni di studi diventò ufficiale. Suo nonno morì in quel periodo ed egli ricevette la sua eredità, che gli consentì di vivere alla ricerca del piacere nel cibo e nelle feste: venne infatti soprannominato il “Gros Foucauld”. Ma nell’ottobre del 1880 fu inviato in Algeria. Il Paese gli piacque e gli abitanti suscitarono il suo interesse. Però, per una questione legata a una donna, rifiutò i consigli dei suoi superiori e venne sollevato dall’incarico. Appena rientrò in Francia seppe che il suo reggimento era stato inviato in Tunisia. Il 28 gennaio 1882, presentò le dimissioni dall’esercito.

Viaggiatore impegnato (1882 – 1886)

Charles decise quindi di stabilirsi ad Algeri allo scopo di preparare dei viaggi, studiando altresì l’arabo e l’ebraico. Il Marocco era molto vicino, ma era un luogo proibito per gli europei. Egli era attratto da questo paese così poco conosciuto. Dopo una lunga preparazione durata 15 mesi, partì per il Marocco in compagnia dell’ebreo Mardocheo che gli fece da guida.

Per 11 mesi Charles visse in modo avventuroso, travestito da ebreo, viaggiando senza sosta, ricevendo spesso ingiurie e sassate, rischiando più volte di essere ammazzato. Di tutto il viaggio tenne un dettagliato diario, documentando gli spostamenti con l’aiuto di bussola e sestante. Il 23 maggio 1884 un povero mendicante arrivò al posto di frontiera con l’Algeria, a piedi nudi, magro e sporco. Questo povero ebreo era Charles de Foucauld. Dei 3.000 chilometri percorsi in quel paese pressoché sconosciuto pubblicò un libro del quale il mondo scientifico dell’epoca fu entusiasta: la relazione di una vera esplorazione. Fu un momento di gloria, premiato nel 1885 con una medaglia d’oro assegnatagli dalla Società francese di geografia.

Cercatore di Dio (1886 – 1890)

Ma Charles non era interessato alla gloria. Lasciò l’Algeria e ritornò a Parigi in famiglia. La sua vita ebbe la svolta decisiva, quando sentì il bisogno di riavvicinarsi alla fede e alla Chiesa: famosa è la sua invocazione «Mio Dio, se esisti, fa’ che Ti conosca». E così avvenne che Dio si lasciò conoscere. Come ricordò egli stesso un giorno: «Non appena ho creduto che ci fosse un Dio, ho capito che non potevo vivere che per lui». Alla fine dell’ottobre 1886, infatti, Charles entrò nella chiesa di Sant’Agostino, a Parigi, incontrò un confessore, padre Huvelin, avendo con lui un lungo colloquio, il primo di una serie che lo accompagnò fino alla morte del sacerdote. Ne uscì turbato, ma deciso a dedicare tutta la sua vita alla vita perfetta, evangelica «abbandonando per sempre una famiglia che è tutta la mia gioia ed andando lontano, lontano a vivere e a morire»: così scrisse nel suo diario. Iniziò così un autentico cammino di conversione, le cui tappe furono costantemente seguite e consigliate dallo stesso Huvelin, diventato il suo vero padre nella fede.

Su suo consiglio compì un viaggio spirituale a Nazareth, deciso a imitare la povertà e l’oscura vita di Gesù. Rientrò a Parigi con la ferma decisione di farsi religioso.

Monaco in un’abbazia trappista (1890 – 1897)

Ormai la decisione era presa: donò tutti i suoi beni alla sorella e decise di farsi trappista. Si ritirò per brevi giorni nella trappa di Soligny, quindi in quella di Fontgombaut e per sei mesi a Notre Dame des Neiges; poi il successivo passaggio all’abbazia di Akbès, in Siria, una delle più povere della congregazione, dove, concluso il noviziato, emise i primi voti con il nome di frère Marie Albéric.

Charles visse felicemente per sette anni nei conventi, imparando molto, pregando, ricevendo molto. Nel 1986 venne inviato a Roma per proseguire gli studi.

La vita nella trappa significò anche il distacco dalla famiglia e dagli amici, che rappresentavano un fattore importante nella sua esistenza, soprattutto dalla cugina Marie de Bondy, alla quale era legato da grande affetto; i due proseguirono il loro rapporto grazie a una fitta corrispondenza: le lettere a lei inviate, come pure le molte altre che avevano altri amici come destinatari, rappresentano una fonte di conoscenza dell’autore e descrivono una straordinaria storia spirituale.

Ma gli mancava ancora qualche cosa: vivere integralmente e radicalmente la sequela di Gesù, a partire dai luoghi della sua vita e della sua missione, insieme all’abbandonare la sicurezza di un’esistenza passata al riparo delle mura della trappa, per quanto povera fosse. Il termine di confronto al quale guardava erano gli operai, i braccianti che lavo­ravano anche al servizio del monastero e che gli sembravano molto più vicini a quella che doveva essere la vita povera e senza assicurazioni di Gesù a Nazaret. Maturò quindi la decisione di lasciare la trappa.

Eremita nella terra di Gesù (1897 – 1901)

Il 23 gennaio 1897 il Superiore Generale assecondò la vocazione e la volontà di Charles annunciandogli che avrebbe potuto lasciare l’abbazia per seguire Gesù, povero artigiano di Nazareth. Partì per Israele, dunque, stabilendosi proprio a Nazareth, dove trovò un’occupazione come domestico presso un convento di suore Clarisse, abitando in una capanna nel loro giardino, svolgendo il suo lavoro e dedicando lunghissimi tempi alla preghiera e alla meditazione, soprattutto del Vangelo. Scelse come motto «Jesus Caritas» e come simbolo un cuore sormontato da una croce: un motto e un simbolo che diventeranno un giorno il contrassegno che distinguerà tutte quelle famiglie spirituali che si ispireranno a lui. Charles sentiva di voler condividere questa vita di Nazareth con altri, per questo nell’agosto del 1900 scrisse la Regola dei Piccoli Fratelli. Subito dopo rientrò in Francia per ricevere il sacramento dell’ordine. In una prima fase egli rifiutò l’ordinazione, considerandola un “innalzamento” sociale, contrario al suo desiderio di “abbassamento”, invece mutò parere nella prospettiva dell’apostolato, della partecipazione all’opera salvifica, come possibilità di portare l’eucaristia, e con essa Gesù stesso, anche e soprattutto dove Egli è assente.

Fratello di tutti a Béni Abbès (1901 – 1904)

Ma Charles era inquieto: desiderava sempre più ardentemente di vivere in mezzo ai più poveri e lontani per diffondere il Vangelo, non gridando alla conversione come il Battista, ma con una presenza silenziosa, frutto di preghiera e di contemplazione. Avendo visto che i musulmani del Marocco e del Sahara algerino erano i più poveri e abbandonati, chiese di essere mandato a Béni Abbès, una piccola oasi al confine tra i due Paesi, dove arrivò il 28 ottobre 1901, iniziando una vita conforme allo “stile di Nazareth”, basata su preghiera, silenzio, lavoro manuale, assistenza ai poveri. Indossò da allora una tunica bianca sulla quale cucì il suo simbolo: il cuore di stoffa rossa con la croce. Ogni giorno trascorreva lunghe ore ai piedi del Tabernacolo, ma sempre qualcuno bussava alla sua porta. Per questo creò uno spazio dedicato all’accoglienza e iniziò a studiare la lingua dei Tuareg, anche per poterla insegnare ai futuri missionari, realizzando, anni dopo un dizionario di lingua francese-Tuareg utilizzato ancor oggi. In questa regione scoprì inoltre la schiavitù e ne fu scandalizzato.

Sempre ritenendo opportuno coinvolgere altri si dedicò alla redazione del Regolamento dei piccoli fratelli del Sacro Cuore di Gesù, nel quale espresse le sue convinzioni. La Fraternità era costruita, ma Charles aspettò invano altri compagni; si recò anche tre volte in Francia, tra il 1901 ed il 1913, nell’intento di fondare l'”Unione dei fratelli e delle sorelle del Sacro Cuore”, associazione di laici per l’evangelizzazione dei popoli.

Nel giugno del 1903, il vescovo del Sahara trascorse qualche giorno a Béni Abbés, arrivando da sud, dove aveva reso visita ai Tuareg. Charles si sentiva attratto da questo popolo che vive nel cuore del deserto e venne a sapere che non vi erano preti disposti a recarsi laggiù. Considerando anche le sue competenze linguistiche si rese disponibile.

Amico dei Tuareg (1904 – 1916)

Il 13 gennaio 1904, Carlo partì con il comandante della guarnigione francese Laperrine, che l’accompagnò per tutto il viaggio fono al villaggio Tuareg di Tamanrasset, dove si stabilì, anche grazie all’amicizia maturata con un loro capo, Musa Ag Amastan. Lì visse in quei lunghi anni, proseguendo lo stile adottato a Béni Abbès, costruendo un eremo composto da una capanna per sé e una piccola cappella in muratura dove conservare il pane eucaristico. Realizzò poi un secondo romitaggio sul massiccio montuoso dell’Hoggar. Nella zona diventò l’amico, il fratello, di questo popolo abbandonato, visitando accampamenti e villaggi, considerato non un missionario, bensì un “marabutto cristiano”, un uomo di Dio per la sua bontà e la grande comunione con Dio.

I vicini sperimentarono la sua grande carità, che ebbe anche un contraccambio. Infatti, nell’inverno tra il 1907 e il 1908, l’Hoggar subì una drammatica carestia: siccità, vegetazione che scompare, i pochi animali, le capre in particolare, che danno ai Tuareg il latte, l’elemento base della loro alimentazione, non ne hanno più, o quasi. Charles diede tutto quello che aveva, e lui stesso iniziò a patire la fame: si ammalò di scorbuto, e si trovò vicino alla morte. Furono i vicini a salvarlo: fecero il giro di tutte le capre che si trovavano nei dintorni, munsero quel poco di latte recuperato e glielo portarono, perché potesse ristabilirsi. Questa vicenda rappresentò una svolta fondamentale agli occhi di Charles, perché entrò in quella dimensione per la quale non era più sol­tanto lui a dare, fosse pure tutto se stesso, la sua stessa vita, ma imparò a ricevere, a potersi «salvare» grazie alla carità e alla fraternità di altri. È una svolta che segnò gli ultimi anni della sua vita.

La conoscenza della lingua gli consentì di tradurre diversi brani dei libri sacri e a dedicarsi alla raccolta di canti, poesie e tradizioni di questo popolo, testi che rappresentano uno dei pochi materiali posseduti, ancora oggi, per conoscere la storia e la cultura Tuareg,

Si impegnò inoltre nella difesa dai predoni: infatti nel 2016 costruì attorno all’eremo di Tamanrasset un fortino come zona di rifugio.

La morte (1916)

Negli anni si sparse la voce che Charles custodisse un “prezioso tesoro”. Era così che lui chiamava il Tabernacolo nel quale conservava le ostie consacrate. I predoni interpretarono la cosa in un modo ben differente e il primo dicembre del 1916, nel tentativo di impadronirsene, una banda attaccò l’eremitaggio. Charles venne legato con le mani dietro la schiena e fu spogliato di tutte le povere possedute. Un predone fece partire inavvertitamente un colpo di fucile che lo colpì alla nuca. Charles scivolò lentamente su un fianco, cadde a terra e morì.

Una versione meno suggestiva e agiografica della sua uccisione, ma molto probabilmente più fondata sul piano storico e sulla realtà dei fatti, si colloca nel contesto generale della Prima guerra mondiale e, in particolare, nel tentativo di destabilizzare il Sahara algerino controllato dalla Francia, condotto da turchi e tedeschi mediante le confraternite senussite, che si servivano di predoni, i cosiddetti fellaghas. In questo ambito maturò l’attacco nel quale fu fatto prigioniero. L’uccisione fu in buona misura accidentale e avvenne per l’arrivo di due soldati o due cammellieri francesi che mise in allarme gli aggressori, i quali ingaggiarono una sparatoria che ebbe Charles tra le vittime.

Non fu la fine

Morì solo, in quanto nessun compagno era con lui e dunque non era riuscito a fondare i “Piccoli fratelli del Sacro Cuore”, come aveva sperato di fare. In Francia l’associazione da lui creata, e che aveva ricevuto il riconoscimento ecclesiale, contava allora solo 49 iscritti.

Ma il seme morto ha dato i frutti desiderati. La pubblicazione della biografia di René Bazin nel 1921, la diffusione dei suoi scritti e la fama sulla radicalità della vita condotta nel deserto hanno spinto tante donne e uomini credenti a seguirne l’esempio, infatti sono numerosi i gruppi organizzati di laici, religiosi e preti che nel tempo si sono diffusi in tutto il mondo: una vasta e articolata famiglia di sorelle e fratelli che, nella diversità delle scelte, seguono la sua spiritualità.

Pochi anni dopo, René Voillaume ne raccolse l’eredità, fondando quella congregazione, chiamata dei Piccoli fratelli di Gesù, che l’eremita aveva invano sognato di fondare. Sull’esempio di Voillaume, Madeleine Hutin diede vita all’analogo istituto femminile, le Piccole sorelle di Gesù. Si realizzava così quanto lui stesso aveva scritto pochi mesi prima della morte a René Bazin: «I missionari isolati come me sono molto rari. Il loro compito consiste nel preparare la via, in modo che le missioni che li sostituiranno trovino una popolazione amica e fiduciosa, delle anime un poco preparate al Cristianesimo e, se è possibile, qualche cristiano».

Il 13 novembre del 2005 Charles de Foucauld, fratel Carlo di Gesù, è stato proclamato beato da papa Benedetto XVI, il quale durante la cerimonia ha affermato che la sua vita è «un invito ad aspirare alla fraternità universale». Il 27 maggio 2020 papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le cause dei Santi a promulgare il decreto sull’attribuzione di un miracolo alla sua intercessione, condizione essenziale per la sua canonizzazione e, recentemente, come ricordato, lo ha citato a modello nella Fratelli tutti.

 

 

Il commento

Charles de Foucauld è stato davvero un testimone. Della fede, del Vangelo vissuto. Testimone di una coerenza contro ogni avversità. In apparenza la sua vita è stata un fallimento: nessuna conversione al cristianesimo, salvo qualche bambino battezzato, nessuna persona che si unisse a lui nella congregazione che desiderava fondare, una morte violenta. Eppure proprio quello svuotamento, quel dimenticarsi di sé era la meta da raggiungere. «Dio – scriveva – costruisce sul nulla. È con la sua morte che Gesù ha salvato il mondo; è con il niente degli apostoli che ha fondato la Chiesa; è con la santità e nel nulla dei mezzi umani che si conquista il cielo e che la fede viene propagata». Da questo nulla e da questa morte, a somiglianza del detto evangelico sul seme e dell’esperienza di Gesù stesso, è nata una spiritualità che ha generato i gruppi e le famiglie religiose che si ispirano a lui, fino al riconoscimento di «fratello universale» espresso da papa Francesco.

E lo è stato veramente, cercando di costruire una fraternità che riguardasse tutta l’umanità, non solo come profezia, progetto, vocazione teorica, bensì nella concreta pratica quotidiana di una casa come luogo in cui tutti, a prescindere dall’appartenenza religiosa, o altro, si sentissero accolti, e nell’identificarsi con gli ultimi.

Un’esistenza piena

Tutta la sua vita era stata dominata da quelli che Voillaume avrebbe definito i suoi due grandi misteri, il Santissimo Sacramento, che contiene e realizza la più profonda unione d’amore che esista, e l’Incarnazione quale si rivela a Nazareth, dove Dio, divenuto nostro fratello, viene a incontrare qualunque uomo nelle manifestazioni più quotidiane e più ordinarie della vita.

La sua spiritualità è fortemente cristocentrica, “innamorata” della persona di Gesù, e fondata sulla sua presenza sacramentale nell’Eucaristia, presenza vivente che diventa non più solo sacramento dell’altare, ma sacramento del prossimo, dei poveri: un amore che porta a camminare con tutti.

Osservando il complesso della sua esistenza, il suo percorso, si è colpiti dalla capacità di sapersi mettere in discussione, di mettersi in gioco, di vivere la gioia della conversione, la convinzione che ci può essere un modo diverso di vivere, di andare controcorrente con coraggio, allo scopo di tentare una realizzazione di se stessi alla ricerca del disegno di Dio per ciascuno. In questo senso sono significativi alcuni passaggi: il servizio militare nell’Africa del nord, l’anno da esploratore in Marocco, la scelta del monachesimo e del sacerdozio, lo stabilirsi nel deserto. Tutto ciò è caratterizzato da profondi elementi di continuità: ha sempre avuto una personalità molto forte, molto ricca, che si è evoluta nel tempo senza mai contraddirsi veramente.

La sua esperienza monastica solitaria ha un significato paradossale, poiché ha unito il desiderio della “fuga dal mondo” con un inserirsi in esso ancora più profondamente. Si tratta della «forma di Nazaret», composta da condivisione umile e semplice, quotidiana, incentrata principalmente su molta preghiera, molta adorazione, molta povertà, facendo della sua esistenza un “Vangelo vivente”, dove ha preso sempre più forma precisa il senso della fraternità.

La versione della sua morte, sopra riportata, emersa dalla biografia realizzata dopo lunghissimo studio da fratel Sourisseau, citata più avanti nelle fonti, fa affermare all’autore che «date le circostanze, è improprio parlare di martirio. La sua morte fu in buona misura accidentale […]. Ciò non toglie che tutta la sua vita fu testimonianza del Vangelo, e quindi martirio in un senso più ampio.

La missione della testimonianza

L’idea di poter convertire il popolo presso cui si era stabilito lasciò lentamente il posto al desiderio di essere un autentico testimone del Vangelo, di indurre i suoi amici a pensare quanto dovesse essere buono il suo Dio, il suo padrone, se aveva un servo così buono. Infatti, della sua missione nel deserto Charles parlava come di una preparazione all’evangelizzazione. Prima ancora di predicare il Vangelo avvertiva la necessità di conoscere gli abitanti e la terra in cui si trovava, apprendendone la lingua e imparando a rispettarne le usanze. Si rendeva conto, nel suo contesto, di avere a che fare con popolazioni nomadi dall’indole bellicosa, che faticavano a comprendere il messaggio di pace che sta al cuore del cristianesimo. Per questo occorreva anzitutto educare i Tuareg al rispetto di alcune regole di convivenza civile e a un ideale di giustizia che andasse al di là delle consuetudini tribali.

Charles maturò una visione particolare della missione apostolica. La dimensione che lo portò verso gli altri è la preoccupazione per la «salvezza delle anime», e specialmente di quelle più abbandonate e dimenticate, quelle tra le quali Gesù è meno conosciuto e meno amato. Meditando i vangeli trovò la risposta nel mistero della Visitazione, colta nel gesto di Ma­ria che porta ad altri un Gesù che rimane invisibile e pure, con la sua presen­za, santifica coloro verso i quali è portato. Si tratta di un apostolato che avviene non attraverso la predicazione e altre forme esplicite dell’annuncio, ma nel nascondimento, nella preghiera, nell’abiezione, come amava ripetere: un apostolato che non è in contrasto con lo stile di vita di Nazaret, ma lo richiede e lo valorizza, specialmente in tutte quelle situazioni nelle quali l’annuncio diretto ed esplicito è impossibile o prematuro.

La preghiera e altro

Egli è stato una persona assorbita dalla preghiera, un’esperienza che significa tanto parlarne, ma viverla, che vuol dire un rapporto di confidenza, di fiducia, di abbandono; il farsi portare da Lui, farsi guidare su strade che forse non avrebbe mai immaginato di percorrere. In realtà non ha elaborato una spiritualità, ha dato un messaggio spirituale attraverso la sua vita.

È possibile educare alla fraternità, seguendo l’esempio di Charles, innanzitutto uscendo da se stessi, abbandonando il proprio egocentrismo, con la consapevolezza che si deve camminare insieme e non ci si salva da soli. La strada è andare incontro all’altro, come lui ha testimoniato, costruire insieme un cammino comune a partire dalle piccole cose per arrivare poi a quelle più importanti. Charles de Foucauld ha testimoniato questa capacità di entrare in empatia con le persone: non ha accolto, si è fatto accogliere, si è fatto “prossimo”.

Le linee generali della fondazione della congregazione che immaginava, presenti fin dai primi appunti da lui stesi, riguardava l’imitazione di Cristo, l’adorazione del Santissimo Sacramento, l’amore per il prossimo, la preghiera per la conversione, la fuga dall’ozio.

Forse un messaggio singolare che proviene dalla sua esperienza di vita può essere rivolto a tutti i “falliti” della storia, a chi si sente di aver realizzato “niente”, quel “nulla” che lui aveva invece cercato.

Alcuni spunti teologici

L’esperienza di Charles de Foucauld fornisce anche indicazioni prettamente teologiche. Il primo è relativo alla cristologia: nel nostro testimone si fondono bene il Gesù prepasquale col Cristo risorto, la vita ordinaria a Nazareth diventa parabola del mistero del Regno, culminante sulla croce.

Il secondo elemento è ecclesiologico: la sua vita offre un’indicazione significativa per una Chiesa dell’amicizia, fraterna, che vive con gli altri e per gli altri, una Chiesa che, seguendo l’esempio di Gesù, si mette «all’ultimo posto», come ripeteva Charles.

Un terzo filone è sulla missione. Egli è stato un missionario, ma di una particolare tipologia: è stato un precursore, uno che prepara la strada, che fornisce una testimonianza in forma nascosta, umile, semplice, fraterna, perché chi lo incontrava imparasse a vedere il volto autentico del Vangelo, trovandolo in tali modalità di vita. Oggi, di fronte a tante dimostrazioni di forza, una testimonianza e un annuncio non realizzati con la potenza dei mezzi, ma con la debolezza e la riscoperta del mistero di Nazareth, al quale tanto si è dedicato Charles, potrebbero essere significativi.

La nuova evangelizzazione del nostro ambiente potrebbe partire proprio da qui.

 

 

 

Le fonti

L’Association Famille spirituelle Charles de Foucauld conta 20 gruppi comprendenti oltre 13.000 membri ed è possibile conoscerla attraverso il portale web da essa gestito, disponibile anche in versione italiana. Per essere informati sulla spiritualità del movimento e delle congregazioni vi sono siti e una quantità notevole di materiale. Tra questo citiamo i classici volumi del fondatore dei Piccoli fratelli di Gesù, René Voillaume e di Carlo Carretto, religioso italiano dei Piccoli fratelli del Vangelo.

Per percepire la straordinaria esperienza di vita del nostro testimone probabilmente la biografia “definitiva” è quella scritta da Pierre Sourisseau dopo trent’anni di studio del materiale relativo alla sua vita, lettere, diari, articoli di giornale, dispacci militari: se c’era qualcosa da leggere, lui l’ha letto, annotato, considerato in prospettiva storica. Il risultato di tanta dedizione è Charles de Foucauld. 1858-1916, tradotta in italiano dalla comunità delle Discepole del Vangelo e da padre Andrea Mandonico per Effatà. Classica è poi quella di René Bazin dal titolo Charles de Foucauld. Esploratore del Marocco, eremita nel Sahara, pubblicata nel 1921, ma disponibile ancora oggi in edizione italiana a cura delle Paoline. Molti altri libri e articoli sono stati dedicati alla sua figura e non è difficile rintracciarli.

Come sopra citato, Charles de Foucauld intraprese lo studio della lingua berbera dei Tuareg, inizialmente con lo scopo di tradurre i Vangeli, ma in seguito per conoscere a fondo la ricca cultura orale di quel popolo.

Le opere da lui composte sulla lingua berbera sono: il Dizionario Tuareg-francese (dialetto dell’Ahaggar), un’opera monumentale in quattro volumi, che costituisce una sorta di enciclopedia della società di quella zona desertica; Poesie Tuareg, due volumi contenenti centinaia di versi nel testo originale con traduzione e commenti che permettono di coglierne meglio valore e significato; Testi Tuareg in prosa, un libro dove si trovano soprattutto testi etnografici che descrivono i vari aspetti della vita nell’Ahaggar; Note per servire a un saggio di grammatica Tuareg (dialetto dell’Ahaggar), una piccola e densa opera che rappresenta uno strumento preciso e di valore per avvicinare la grammatica della lingua Tuareg.

Oltre a tale produzione vi sono numerose opere a lui riconducibili. La mia fede. Charles de Foucauld. Testi scelti a cura di un Piccolo fratello, Città nuova, Roma 1972; Meditazioni. Meditazioni sui passi dei Vangeli relativi a Dio solo, fede, speranza, carità, 1897-98, Città nuova, Roma 1973; Ritiri. La vita nascosta: ritiri in terra santa, 1897-1900, Città nuova, Roma 1974; Ritiri. All’ultimo posto: ritiri in terra santa, 1897-1900, Città nuova, Roma 1974; Ritiri. Solitudine con Dio: ritiri per le ordinazioni e nel Sahara, 1900-1909, Città nuova, Roma 1975; Meditazioni. Piccolo fratello di Gesù: meditazioni, 1897-1900, Città nuova, Roma 1975; Per una fraternità universale: scritti scelti, Queriniana, Brescia 2001; La fraternità a costo della vita: 100 pagine di Charles de Foucauld, Città nuova, Roma 2004; Pensieri e parole di Charles de Foucauld, Paoline, Milano 2006.

Vi sono numerosi video dedicati a Charles de Foucauld disponibili a questo indirizzo, anche con il testo nella nostra lingua. Nel tempo sono stati realizzati anche dei film su di lui, soprattutto in lingua francese.

Come spesso accaduto, terminiamo la presentazione con alcune citazioni.

 

«Tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere deve gridare il Vangelo sui tetti; tutta la nostra persona deve respirare Gesù, tutta la nostra vita deve presentare l’immagine della vita evangelica; tutto il nostro essere deve essere una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi Gesù, che faccia vedere Gesù, che risplenda come un’immagine di Gesù.»

«Il Buon Dio è migliore giudice di noi; noi siamo portati a mettere al primo posto le opere, i cui effetti sono visibili e tangibili; Dio dà il primo posto all’amore e poi al sacrificio ispirato dall’amore e all’obbedienza derivante dall’amore».

«L’imitazione è figlia, sorella, madre dell’amore: imitiamo Gesù per amarlo di più!»

«La vista stessa del mio nulla, anziché affliggermi, mi aiuta a dimenticarmi e a pensare soltanto a colui che è tutto.»

«Il mio apostolato deve essere quello della bontà.»

«Chi oserà dire che la vita contemplativa è più perfetta della vita attiva, o viceversa, dal momento che Gesù ha condotto sia l’una che l’altra? Una sola cosa è veramente perfetta, è il fare la volontà di Dio.»
«Avere veramente la fede, la fede che ispira tutte le azioni. Quella fede nel soprannaturale che dappertutto ci fa vedere soltanto lui, che toglie al mondo la maschera e mostra Dio in tutte le cose, che fa scomparire ogni impossibilità, che rende prive di senso parole come inquietudine, pericolo, timore, che fa camminare nella vita.»

«Tu parli, mio Dio, agli uomini in due modi: ad alta voce, oso dire, e a bassa voce… ad alta voce nei tuoi libri ispirati, nella Sacra Scrittura; a voce bassa in tutto ciò che la tua grazia infonde, in tutte le parole interiori che ispiri ai tuoi fedeli.»

«È amando gli uomini che si impara ad amare Dio.»

«Il deserto mi riesce profondamente dolce; è bello e salutare porsi nella solitudine di fronte alle cose eterne; ci si sente invasi dalla verità.»

«Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvi, per ricevere la grazia di Dio; è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio e che si svuota completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo.»

«Ci vorrebbero molti buoni preti (e anche buoni cristiani) non per predicare, ma per prendere contatto, farsi amare, ispirare stima, fiducia, amicizia, rendere possibile un avvicinamento, dissodare la terra prima di seminare.»

«Se la vita interiore è nulla, per quanto si abbia zelo, buone intenzioni e tanto lavoro… i frutti sono nulli.»

«Tutta la nostra vita deve essere una predicazione del Vangelo attraverso l’esempio. Tutta la nostra esistenza, il nostro essere devono proclamare il Vangelo.»

«Leggere e rileggere incessantemente il santo Vangelo per avere sempre dinanzi alla mente gli atti, le parole, i pensieri di Gesù, al fine di pensare, parlare, agire come Gesù.»

«Voglio gridare il Vangelo con tutta la mia vita: se non viviamo il Vangelo, Gesù non vive in noi. Torniamo alla povertà, alla semplicità cristiana. Dopo diciannove anni passati lontano dalla Francia, ciò che mi ha colpito al ritorno è il fatto che in tutte le classi sociali e soprattutto nella classe meno ricca, anche in famiglie cristiane, sono enormemente cresciuti il gusto e l’abitudine alle cose inutili e costose, insieme a una grande leggerezza e abitudine alle distrazioni frivole e mondane.»

«Rallegriamoci di non possedere, ma di avere per poter donare.»

«Quando si parte dicendo che si va a fare una cosa, non bisogna ritornare senza averla fatta.»