Fratelli tutti: una lezione anche per la democrazia e la politica

Il fatto

Il 3 ottobre sulla tomba di San Francesco il Papa ha firmato la sua terza enciclica che, per bocca dello stesso autore, viene inserita nell’alveo delle encicliche sociali e porta un contributo decisamente importante alla Dottrina della Chiesa in questo campo. Diventa quindi un riferimento imprescindibile per aiutarci a comprendere in mondo in cui viviamo, a operare in esso nel segno della fede perché sia sempre più germe del regno di Dio.

Il testo si apre con il titolo Lettera enciclica Fratelli tutti del Santo Padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale, che indica già il “taglio” del documento, e un’introduzione nella quale egli apre immediatamente i confini del suo sguardo al mondo intero e al superamento delle barriere religiose con due riferimenti all’Islam. Significativi sono l’affermazione di considerare l’Enciclica «un umile apporto alla riflessione» aperto «al dialogo con tutte le persone di buona volontà», il riferimento alla pandemia che ha messo in luce «l’incapacità di agire insieme» dei diversi paesi, e il desiderio, ispiratore di tutto il documento, di riconoscere «la dignità di ogni persona umana» e di «far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità».

Il primo capitolo pone in risalto, senza la pretesa di essere esaustivo, «alcune tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale». Innanzitutto la difficoltà che attraversano le aspirazioni e le forme concrete di integrazione tra i popoli, come l’Unione europea, colpite da conflitti, nazionalismi esasperati ed egoismi; con le spinte all’apertura collegate solo agli interessi economici e finanziari, alla possibilità per i loro poteri di muoversi senza vincoli. Poi la mancanza del senso della storia e di un «progetto con grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità», fenomeni quali lo «scarto», il gettare via cibo, beni ed esseri umani, la mancanza di equità, i diritti non rispettati, il «deterioramento dell’etica».

Il secondo capitolo ha lo scopo di lasciarsi guidare dalle sollecitazioni della Scrittura e, in particolare da una parabola evangelica, il Buon Samaritano, che «ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale», e spenderci per il perseguimento del bene comune.

L’ispirazione di fondo di tale atteggiamento è la carità che, come proposto nel terzo capitolo, deve allargarsi, globalizzarsi in un «mondo aperto», come recita il titolo, diventare «amicizia sociale» e «fraternità universale», garantendo «diritti senza frontiere» e uno sviluppo alla portata di tutti.

Il capitolo quarto mette in luce «una serie di sfide che ci smuovono ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte» che consentono di concretizzare «l’affermazione che come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle», a partire dal fenomeno delle migrazioni, del rapporto tra aree diverse del globo, riscoprendo valori quali il dono, la gratuità, valorizzando le dimensioni del locale e del globale.

«Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivono l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso»: ecco la frase che introduce il capitolo quinto dedicato proprio alla politica. Affrontata in un modo sereno e pacato, ma allo stesso tempo chiaro e netto, considerando i fenomeni contemporanei quali il populismo, la visione liberale, i poteri internazionali, il ruolo delle organizzazioni mondiali; insieme ai contenuti e ai valori che dovrebbero ispirare una buona politica, a partire dalla carità sociale, efficace, capace di integrare e non dividere, che guarda agli ultimi per considerare tutti, capace di «fecondare». Francesco propone i caratteri di una politica ispirata dall’amore fraterno ed efficace, capace di costruire comunità.

Il sesto capitolo approfondisce alcuni aspetti da ritrovare. A cominciare dalla capacità di dialogo, che non può fare a meno del rispetto per il punto di vista degli altri, condizione essenziale per «costruire insieme»; finalizzata alla ricerca della verità, guidata da principi e dall’etica, non dal semplice consenso. Tutto ciò dovrebbe potenziarsi e diventare «cultura», qualcosa «che è penetrato nel popolo, nelle sue convinzioni più profonde e nel suo stile di vita», riconoscendo il diritto di un altro di essere se stesso e di essere differente dagli altri, superando l’individualismo imperante e recuperando atteggiamenti a volte dimenticati come la gentilezza.

Quali i contenuti e i percorsi per questo incontro rinnovato? Li illustra il capitolo successivo, a partire dalla riproposizione della centralità della verità, della pace e dell’amicizia sociale, che deve basarsi sull’attenzione nei confronti dei «settori più impoveriti e vulnerabili», capace di riscoprire il senso del perdono a fronte dell’inevitabilità dei conflitti, delle lotte legittime davanti alle ingiustizie.

L’ultimo capitolo, l’ottavo, richiama l’importanza e il ruolo delle «religioni al servizio della fraternità nel mondo» e «per la difesa della giustizia nella società». Il fondamento per i credenti è il Padre, di tutti, e la ricerca di un rapporto con Lui comporta l’identica ricerca degli altri come appartenenti all’unica famiglia umana. La Chiesa, pur rispettando l’autonomia della politica, è necessario sia attenta e si occupi di tale dimensione, spronando alla ricerca del bene comune e dello sviluppo integrale della persona.

 

 

Il commento

Ciò che desideriamo tentare è una lettura dell’Enciclica che ponga in risalto gli spunti per una «buona politica» (176) e per una persona che desideri impegnarsi in essa, accettando, da laici, di essere interpellati in modo diretto.

Un’indicazione di fondo che viene chiaramente suggerita deriva dal titolo stesso. Fra i tre valori classici della democrazia, ereditati dalla Rivoluzione francese, molto si è dibattuto su libertà e uguaglianza, a volte utilizzandoli per distinguere differenti visioni della democrazia stessa, ma poco  è stata messa invece in risalto la fraternità. A nostro parere essa è in grado di sintetizzare bene il cuore del sistema democratico e fornire una prospettiva di valutazione e di concretizzazione delle altre due. Significativa, in tal senso, è l’espressione «fraternità e amicizia sociale» (5) proposta dal Papa, che supera i confini familiari e delle relazioni amicali per abbracciare, con un accento particolare, una dimensione universale, e politica.

Se la Laudato si’, pur nella sua ottica di ecologia integrale strettamente connessa col sociale, riflette in particolare sul versante dell’ambiente e della casa comune naturale, Fratelli tutti approfondisce, senza dimenticare ciò, il sociale e il politico, proponendo lo scenario di una «società fraterna» (4), che ispiri tutte «le persone di buona volontà» (6).

Nel corso dell’Enciclica il Papa ripropone i riferimenti della Dottrina sociale della Chiesa nei confronti della politica: centralità della persona, bene comune, solidarietà, sussidiarietà, spirito di servizio, funzione sociale della proprietà e destinazione comune dei beni, diritti.

La buona politica

Se la politica è un modo eccellente di vivere la carità, come evidenziato da tutti gli ultimi pontefici, l’Enciclica esamina le caratteristiche di questa capacità di amore in una dimensione sociale e politica, universale, capace di promuovere la crescita personale e una vita dignitosa. La politica, una buona politica, è indicata come «via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale» (176), come strumento indispensabile per il funzionamento del mondo.

La politica non può essere mai separata dall’etica, pena il suo inaridirsi, il rispondere a mere logiche di potere o di tornaconto.

Come si può realizzare? Un pressante invito che Francesco propone è all’apertura, all’integrazione, al superamento dei conflitti. La politica è necessario si impegni per tutto ciò. I nemici sono una falsa interpretazione del nazionalismo, visto come chiusura, risentimento e aggressività, insieme all’individualismo, caratterizzato allo stesso modo, ma negli atteggiamenti personali.

La politica è spesso vista e praticata come scontro, contrapposizione, eliminazione dell’avversario, mentre sarebbe necessaria una riflessione e nuove modalità di relazione tra le differenti visioni, tra i diversi movimenti politici e nel rapporto maggioranza minoranza, da ripensare come elemento costruttivo della dialettica politico-amministrativa, rivolta alla ricerca delle migliori soluzioni per affrontare i problemi. «La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace. In questo gioco meschino delle squalificazioni, il dibattito viene manipolato per mantenerlo allo stato di controversia e contrapposizione» (15).

Compito basilare della politica, secondo l’Enciclica, è porre le condizioni per uno «sviluppo umano integrale» (21) e uno degli elementi essenziali è l’equità. In tal senso la politica è chiamata a varare regole destinate all’economia, perché sia motore di crescita per tutti, strumento per la lotta alle disuguaglianze, tra popoli e persone.

È anche indispensabile vigilare sul rispetto dei diritti umani, condizione per l’uguale dignità di tutti.

L’interlocutore e l’orizzonte principale della politica deve essere il popolo, categoria contenuta nella parola stessa “democrazia”, cioè governo del popolo; significa «far parte di un’identità comune, fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento» (158), che la politica è chiamata a favorire; i leader sono interpellati perché siano capaci di interpretarne esigenze, dinamiche, tendenze, misurarle con le condizioni e i valori di fondo, per proporre progetti. Altra cosa è il populismo.

La buona politica è ispirata, guidata, da alti principi e mira a grandi obiettivi, a puntare verso «reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti» (179); deve perciò superare la ricerca dell’interesse immediato, del puro tornaconto elettorale, dei calcoli di potere; ciò non significa evitare di rispondere a esigenze concrete e apparentemente banali, bensì essere attenti e tempestivi nel breve periodo con una visione strategica, con un ampio orizzonte temporale: banalmente, tappare la buca in una via e programmare la manutenzione stradale.

Non ci può essere vero progresso senza un progetto, una visione di prospettiva, elementi che sembrano carenti nell’attuale fase politica e nell’amministrare, ma una progettazione non può fare a meno di radicarsi sul passato, su una base storica, e anche in questo caso la nostra civiltà è povera di memoria storica.

La politica, poi, non deve temere le verifiche, ogni azione ha bisogno di essere monitorata e misurata nei suoi risultati, in modo da controllarne l’efficacia e migliorare sempre la qualità dei progetti e degli interventi.

Tratti distintivi della moderna politica sono l’apparire, le valutazioni basate su criteri di marketing, di immediato successo nel gradimento elettorale, mentre rispetto ad azioni a impatto immediato ci sarebbe bisogno di percorsi di più ampio respiro, di valutazioni più profonde, collegate alla capacità di incidere veramente sui problemi, di lasciare un’impronta a medio e lungo termine nella vita sociale.

L’amore politico

Come descrivere la carità in politica? È necessario partire dal riconoscimento di ciascuna persona come sorella e fratello, insieme alla ricerca di un’amicizia sociale che includa tutti gli esseri umani; esige «la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità» e puntare «verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale» (180). È un amore capace di «macro-relazioni: rapporti sociali, economici e politici», come affermato da Benedetto XVI nella Caritas in veritate, che necessita di un profondo senso sociale e il superamento di ogni mentalità individualistica. Questa carità può davvero costruire un mondo nuovo, può essere la forza che permette di percorrere nuove e più efficaci vie per lo sviluppo e affrontare i problemi, per rinnovare le strutture, le organizzazioni e gli ordinamenti giuridici.

Questo amore non è un sentimentalismo soggettivo, è il motore dell’impegno per la verità, illuminato dalla ragione e, per i credenti, dalla fede. Una delle misure dalla carità è lo sguardo rivolto agli ultimi, ai più fragili, ispirato dalla solidarietà.

Il buon politico

Chi fa politica deve essere in grado di «prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra» (142). Si tratta di coniugare «l’amore alla patria e la partecipazione cordiale all’umanità intera» (149).

Un tratto singolare e significativo dell’Enciclica propone la figura del politico come persona umana come tutte le altre, «chiamato a vivere l’amore nelle sue quotidiane relazioni interpersonali» (193), vivendo con tenerezza: «cos’è la tenerezza? È l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani» (194). Comportandosi con gentilezza, con un costante atteggiamento di comprendere e portare il peso dei problemi degli altri, di essere attenti e disponibili, di comportarsi con giustizia.

Queste considerazioni, per il Papa, spingono a considerare non solo i grandi risultati di un’azione politica, ma anche come capacità di fecondare, di avviare processi, di seminare il bene, magari con i frutti che saranno raccolti da altri.

Chi desidera praticare una buona politica deve essere aperto, saper ascoltare, incontrare, rispettare tutti; è necessario sia capace di dialogare, di un confronto costruttivo anche tra punti di vista differenti, culture e contesti diversi. Questo “stile” si contrappone a quello oggi diffuso dei monologhi, che cercano di imporsi per i toni alti e aggressivi, piuttosto che per i contenuti, per il discredito da gettare sull’avversario. I media, soprattutto la televisione, giocano in tale ambito un ruolo spesso negativo, evidenziando ciò che può “fare spettacolo” e salire l’audience”, ed è evidente che il conflitto attira l’attenzione più di un pacato confronto. Andrebbe riscoperta una delle classiche definizioni della politica come arte del compromesso, inteso come capacità di fare sintesi perché prevalga un superiore interesse comune, non mera trattativa: «gli eroi del futuro saranno coloro che sapranno spezzare questa logica malsana e decideranno di sostenere con rispetto una parola carica di verità, al di là degli interessi personali» (202).

Un buon politico considera le differenze come ricchezza, stimolo alla creatività, fonte di una sana tensione volta a risolvere i problemi e far progredire la realtà.

Deve essere capace di confrontarsi, ascoltare e circondarsi di esperti, allo scopo di maturare idee, convinzioni e progetti grazie e chi ne sa di più. La scelta finale toccherà a lui, come responsabilità del ruolo che svolge, ma solo dopo un serio lavoro di studio.

Apertura significa anche considerare l’importanza di istituzioni internazionali più forti ed efficienti, perché in un mondo sempre più connesso sono necessarie azioni coordinate. L’economia e la finanza globalizzate hanno bisogno di regole mondiali in grado di limitarne lo strapotere; alcune problematiche, come quelle ambientali, possono trovare soluzioni solo al di là dei confini nazionali. Per operare in tale direzione ci vogliono politici coraggiosi e generosi, in grado di praticare con successo la sussidiarietà.

Due conclusioni

Desideriamo concludere riprendendo la suggestione di papa Francesco nel suo proporre il Buon Samaritano nell’Enciclica. Con una parafrasi forse azzardata si potrebbe sostenere che lui da semplice cittadino ha agito in modo esemplare, ma in una sfera privata. Oggi, in una dimensione più ampia, avrebbe anche potuto sollecitare le amministrazioni a intervenire; anzi, fosse stata una persona impegnata in politica si sarebbe speso per rendere più sicure le strade, potenziare il servizio sanitario, prevedere una copertura assicurativa per chi è impossibilitato a lavorare per motivi di salute, e via discorrendo. In altre parole e seguendo un famoso proverbio cinese, a chi ha fame si può dare un pesce, ma è più importante insegnargli a pescare, magari aiutandolo a costituire con altri una cooperativa di lavoro, e, più in generale, agendo politicamente per creare condizioni per le quali nessuno abbia più fame.

Un’ultima notazione. In tutta l’Enciclica, in merito alla politica, non è presente alcun accenno a un partito confessionale, o alla necessità che i cattolici militino nello stesso movimento. Più che un partito cattolico ci sarebbe enorme bisogno di tante donne e uomini credenti impegnati nella buona politica, come buoni politici a vivere le indicazioni contenute nel testo, fermentandola tutta come il lievito.

 

 

Le fonti

Il primo e più importante riferimento è al testo dell’Enciclica, da leggere e meditare, disponibile e scaricabile nel sito del Vaticano a questo indirizzo.

Il termine enciclica deriva dal greco enkýklos, il cui significato è “in giro”, “in circolo”, e dal latino encyclia la cui traduzione è “generale” o “circolare”, (dal quale deriva anche la parola enciclopedia). Il nome esprime semplicemente il senso di una “circolare” e fu adottato ufficialmente da Benedetto XIV che nel 1740 intitolò la prima lettera del suo pontificato Epistola encyclica (et commonitoria). Esse si distinguono dalle altre lettere pontificie per il carattere generalmente dottrinario, morale o sociale e per certi requisiti formali; solitamente sono indirizzate «ai venerabili fratelli patriarchi, primati, arcivescovi e vescovi e altri ordinari di luoghi aventi pace e comunione con la Sede apostolica», ai credenti e «a tutti gli uomini di buona volontà», espressione questa utilizzata per la prima volta da Giovanni XXIII. Il testo originale è solitamente in latino e le prime due o tre parole rappresentano il titolo del documento; la diffusione avviene in molte lingue. Una particolarità di Fratelli tutti è che, almeno nella prima pubblicazione sul sito del Vaticano, non è presente il testo in latino.

Sul citato portale sono disponibili tutti i documenti dei pontefici più recenti, insieme a discorsi, messaggi, omelie, ecc.

Le encicliche definite sociali, con Fratelli tutti, sono 11, anche se alcuni studiosi tendono a inserirne ancora qualcuna, dalla Rerum novarum del 1891 a quella appena diffusa. La Dottrina sociale della Chiesa comprende poi altri pronunciamenti dei papi, come ad esempio i radiomessaggi di Pio XII.

Scrive Avvenire: «Ognuna di queste encicliche segna un passo avanti nella comprensione dei problemi del mondo. E spesso illumina profeticamente le questioni che tratta. Si pensi all’influenza che la Pacem in terris ha avuto sul modo di intendere le relazioni internazionali in piena Guerra fredda, o alla Populorum progressio che annuncia: “Lo sviluppo è l’altro nome della pace”. Si pensi ancora alla rivoluzione del modo di intendere il lavoro operata con la Laborem exercens e alla denuncia dei pericoli e dei limiti del capitalismo contenuta nella Centesimus annus all’indomani della sconfitta del comunismo. Nella Caritas in veritate si parla di un’altra economia (con regole etiche e con il riferimento all’economia del dono) e con la Laudato si’ per la prima volta si affronta in maniera sistematica il tema dell’ecologia integrale, cioè connessa con antropologia, economia, politica e modelli di sviluppo. Fratelli tutti è per il momento l’anello più recente di questa catena. Ma foriera – come i precedenti – di grandi sviluppi».