Il barometro dell’odio di Amnesty International: la faccia cattiva della rete

In breve

  • Amnesty International ha realizzato la terza edizione del Barometro dell’odio su Internet, dal titolo “Sessismo da tastiera”.
  • Analizzati 42.000 post, tweet e commenti di 20 influencer
  • Più di uno su dieci è risultato offensivo e discriminatorio.
  • Quando il tema del commento è relativo a donne e diritti di genere l’incidenza è uno su tre.
  • Gli attacchi alle donne superano di un terzo quelli ricevuti dagli uomini.
  • Gli attacchi personali diretti alle donne sono sessisti in un caso su tre.
  • Amnesty presenta le sue azioni e le proposte per il mondo politico.

 

Il Rapporto

Amnesty International ha diffuso i dati della terza edizione del Barometro dell’odio dal titolo Sessismo da tastiera, un monitoraggio dei social media per quanto concerne il livello di intolleranza e discriminazione, dedicato quest’anno alle manifestazioni di disprezzo verso le donne.

Nelle due precedenti ricerche, realizzate in corrispondenza delle tornate elettorali del 2018 e del 2019, era emersa una massiccia presenza di discriminazioni e di un vero e proprio hate speech online, per usare l’espressione inglese, nei confronti del genere femminile, per questo l’associazione ha deciso di approfondire il fenomeno con questo nuovo studio.

Il monitoraggio, durato cinque settimane, ha riguardato l’analisi di oltre 42.000 post, tweet e commenti di 20 tra le personalità più influenti del panorama italiano del web: il 14% è risultato offensivo e discriminatorio: «di questi il 18% rappresenta un attacco personale a un influencer, uomo o donna, tra quelli osservati; nel caso delle influencer, tale incidenza sale al 22%. Un terzo di questi ultimi commenti è sessista e si concretizza in attacchi contro i diritti di genere, la sessualità, il diritto d’espressione. Comuni gli insulti di carattere “morale” che bollano la donna come immorale o “prostituta”, che la classificano per il modo di vestire o per la sua vita sentimentale».

Quando il tema del commento è “donne e diritti di genere” l’incidenza dei messaggi offensivi e discriminatori è di quasi 1 su 3 e gli attacchi personali diretti alle influencer superano di un terzo quelli ricevuti dagli uomini. Tra gli attacchi personali il tasso di hate speech rivolto alle donne supera di 1,5 volte quello dei discorsi d’odio che hanno per bersaglio gli uomini.

«In sostanza, si aggredisce la donna che si presenta come autonoma e libera nelle proprie scelte, o perché la stessa si esprime a favore delle altre categorie fatte oggetto d’odio, come accade con migranti e musulmani. Una vera e propria catena di montaggio dell’odio, che mette insieme idee, comportamenti, identità, scelte che rappresentano i diritti e le libertà delle persone, per farle oggetto di pubblico ludibrio e di discriminazione violenta. Preoccupa, e non poco, che queste forme d’espressione, che portano con sé un’inclinazione verso la negazione dei diritti fondamentali – e, in alcuni casi, verso la violenza fisica – trovino spazio per diffondersi e raccogliere proseliti, nel sistema dei media e nell’establishment politico del paese, sempre pronti a dare ampia eco e diffusione a queste azioni degradanti e socialmente pericolose e indifferenti alle conseguenze che questa visibilità può provocare nel grande pubblico e, più in generale, sul sostrato morale di questa società».

Nella fase di lavoro preliminare del monitoraggio Amnesty ha individuato i gruppi presenti su Facebook che citavano nel titolo, o anche solo nei contenuti, 53 influencer (33 donne e 20 uomini) del panorama italiano tra i quali rientravano anche i venti analizzati successivamente. L’obiettivo era osservare i gruppi per individuare eventuali spunti o elementi interessanti. Sui 3.196 gruppi seguiti, 40 contengono già nel titolo espressioni di odio o discriminatorie, pari all’1,3% che, se applicato al volume reale di gruppi presenti su Facebook, corrisponde potenzialmente a un numero molto elevato. Tra i nomi, 31 offendono, discriminano o incitano all’odio o alla violenza contro una donna, la maggior parte dei quali in modo sessista, focalizzandosi soprattutto sull’aspetto fisico e la sessualità. In particolare, un terzo ricorre al sesso per insultare e svilire.

Come si impegna Amnesty

Per il contrasto a tali gravi fenomeni online Amnesty ha intrapreso alcune iniziative, tra queste le principali sono la Task Force Hate Speech e i percorsi educativi portati avanti nelle scuole.

Il primo è un gruppo di attiviste e attivisti che quotidianamente monitora il web intervenendo nei commenti dove si accendono i discorsi d’odio. Il progetto segue una fase di sperimentazione, avvenuta nel 2016, dove per la prima volta è stata ideata una forma di attivismo organizzata e reattiva online per estendere la battaglia per la difesa dei diritti umani al mondo virtuale.

La sezione italiana di Amnesty International anche nelle sue attività educativo-formative è in prima linea contro l’odio, contrastandone la diffusione attraverso l’impegno concreto delle sue Scuole Amiche dei Diritti Umani, dei bambini e delle bambine della rete Amnesty Kids, nonché di specifiche categorie professionali che con l’associazione lavorano per una formazione adeguata contro il linguaggio e i crimini d’odio. Sin dall’infanzia, infatti, è importante educare bambine e bambini a un uso responsabile delle parole e a un utilizzo consapevole dei social network, e Amnesty Italia ha sviluppato per la fascia d’età dagli 8 ai 13 anni il percorso “I diritti e le parole”. Per i più grandi sono state coinvolte dieci scuole secondarie di primo e di secondo grado nei percorsi “Silence Hate”, per prevenire e combattere il discorso d’odio online contro migranti e rifugiati, sviluppando una proposta che permette la costruzione di contro-narrazioni efficaci e creative. Per quanto riguarda il mondo dell’alta formazione e della formazione professionale, importanti sono alcune partnership attivate. Con l’Istituto di Politica Internazionale (ISPI) di Milano, dove viene realizzato un corso con l’obiettivo di fornire gli strumenti concettuali per riconoscere fenomeni quali hate speech e hate crime e per porre in essere strategie efficaci di analisi e contrasto; con il Consiglio Nazionale Forense (CNF) con il quale sono sviluppati regolarmente seminari formativi per supportare gli operatori del diritto nel riconoscimento dei pregiudizi che sono alla base del discorso d’odio e per ricostruire un equilibrio fruttuoso con la libertà di espressione; infine con l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori del Dipartimento della Pubblica Sicurezza (Oscad) per la formazione sui diritti umani e il contrasto ai crimini d’odio.

Cosa dovrebbe fare la politica

A parere di Amnesty, negli ultimi anni sono stati compiuti considerevoli passi avanti nel contrasto all’odio online: dalla giurisprudenza al miglioramento delle procedure di rimozione dei contenuti da parte di alcune società IT, fino alle iniziative promosse dal Governo e dal Parlamento. Le istituzioni, a livello nazionale ed europeo, sono più consapevoli e attente verso il fenomeno, tuttavia la strada da percorrere è ancora lunga. L’Associazione, sulla base delle evidenze illustrate nel rapporto, fornisce alcune indicazioni.

Il governo italiano dovrebbe rafforzare le campagne di comunicazione e informazione in materia di rispetto dei diritti umani, con particolare attenzione alla lotta agli stereotipi e ai pregiudizi legati al genere; intensificare i programmi di educazione a un uso consapevole della rete; condannare prontamente e in maniera risoluta tutti gli episodi di discorsi d’odio, in particolare quelli veicolati da politici o persone che ricoprono cariche pubbliche; promuovere la conoscenza diffusa tra le associazioni della società civile degli strumenti di tutela e supporto alle vittime per incentivare l’emersione del fenomeno e la difesa delle vittime

Sarebbe necessario che il Parlamento approvasse le proposte di legge in materia di contrasto a tali fenomeni e garantisse una costante attenzione, nel dibattito parlamentare, all’allarmante fenomeno della discriminazione legata al genere.

Le piattaforme social network dovrebbero prevedere un numero adeguato di persone dedicate alla ricezione delle segnalazioni per la rimozione tempestiva dei discorsi d’odio, anche attivando alert sulle pagine online e numeri verdi a disposizione degli utenti; intensificare l’attività di monitoraggio al fine di intervenire con la tempestiva chiusura di gruppi che incitano all’odio e alla discriminazione; predisporre adeguati strumenti, come ad esempio database di argomentazioni che le persone possano utilizzare per fornire rapidamente risposte condivise e ben fondate ai post di odio e contribuire alla diffusione di una narrazione contraria; fornire maggiore chiarezza su come identificare e segnalare gli abusi sulla piattaforme; condividere informazioni sulla natura e sui livelli di violenza e abuso contro le donne e sulle modalità di risposta.