Un regionalismo da rifare

Il 23 dicembre del 1970, con oltre 20 anni di ritardo rispetto alle indicazioni contenute nella Costituzione, nacquero le Regioni.

Dopo cinquant’anni sarebbe necessario un profondo ripensamento, che forse nessuno ha il coraggio di avviare, per verificare l’assetto regionalista alla luce della realtà attuale e, soprattutto, dei dettami costituzionali.

I nodi sono diversi, eccone alcuni elencati in ordine sparso.

Le singole regioni hanno statuti che le fanno assomigliare a tanti piccoli stati con elementi di replica delle strutture centrali e organigrammi e burocrazie cospicui.

I consiglieri regionali godono di prerogative simili ai parlamentari, a partire dagli stipendi, con indennità notevoli e vitalizi invidiabili.

Le parole, poi, sono segno di questa escalation: i Presidenti sono diventati Governatori, come quelli degli Stati Uniti.

Le regioni hanno portato a una proliferazione di norme e regolamenti, spesso sovrapposti a quelli nazionali, confusione di responsabilità, sperequazione per i cittadini: per affrontare un tema attuale e significativo basti pensare alla sanità o alla legislazione per le imprese.

Se democrazia significa anche uguaglianza di diritti e doveri per tutti i cittadini, semplificazione del rapporto tra persona e organismi dello Stato, ricerca delle migliori soluzioni, anche strutturali, per il buon funzionamento della cosa pubblica, ebbene, andrebbe avviato un serio percorso di riforma delle istituzioni intermedie tra periferia, comuni, e centro.

È una sfida che la politica dovrebbe accettare.