Il fatto
Mentre nel resto del mondo occidentale si festeggiava l’Epifania o si guardava con i bambini dentro la calza della befana, nella capitale di quella che viene comunemente definita la più grande democrazia mondiale, si assisteva a un fatto di una gravità estrema proprio per la democrazia.
Un folto gruppo di sostenitori di Trump nel pomeriggio del 6 gennaio ha assalito il Campidoglio a Washington. Tra loro, oltre ad altri personaggi folcloristici, c’erano dei manifestanti decisamente ben organizzati: in tenuta paramilitare, collegati tra loro con radio ricetrasmittenti.
La manifestazione era stata programmata da tempo, nel giorno della certificazione da parte del Congresso dell’elezione di Biden, auspicata da Trump e da lui sostenuta come forma di protesta contro tale ratifica, ritenuta illegittima per i presunti brogli elettorali, dei quali in ogni caso non è stata mai trovata traccia.
Nel corso della giornata il presidente uscente ha invitato i propri sostenitori a lasciare il palazzo, esprimendo comunque comprensione dei loro confronti, «siete speciali, vi vogliamo bene», chiamandoli patrioti, ribadendo come l’elezione gli sia stata «sottratta», e non chiedendo l’intervento della Guardia Nazionale, cosa invece fatta dal vice Pence.
La drammaticità dell’evento è stata aggravata dalle vittime e dai feriti.
Il commento
La vicenda provoca pesanti interrogativi sui temi della democrazia e dell’autorità, riproponendo il tema dei movimenti populisti, nazionalisti e sovranisti, che negli USA si stanno coagulando intorno al nuovo partito di Trump e, in Europa, sono attivi e governano alcuni stati come l’Ungheria.
I problemi degli USA hanno delle ripercussioni a livello globale.
La credibilità del paese “esportatore della democrazia” è in difficoltà, tenendo conto anche del passato: guerre devastanti come in Afghanistan, Iraq e Libia. Nel settembre scorso la Brown University ha diffuso un rapporto sui dati raccolti dopo l’11 settembre 2001 fino al 2019 in merito a tali vicende: dall’inizio della cosiddetta guerra americana al terrore, i conflitti che hanno visto protagonista gli Stati Uniti hanno interessato otto paesi (Afghanistan, Pakistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen, Somalia e Filippine) e hanno provocato vittime e almeno 37 milioni di rifugiati, molti di più rispetto addirittura ai conflitti mondiali. Un ulteriore elemento di riflessione è portato dalla situazione sociale ed economica del grande paese: il «sogno americano» mal si concilia con una povertà che investe oltre il 12% della popolazione USA, un ascensore sociale oramai fermo e l’enorme aumento delle disuguaglianze.
Tornando al presente, i paesi retti da regimi autoritari hanno argomenti di propaganda da spendere, e da subito le scene drammatiche del Campidoglio hanno provocato sarcasmo da parte delle nazioni rimproverate da Washington per il mancato rispetto della democrazia. La Cina, ad esempio, ha potuto far notare come il suo sistema sia in grado di garantire meglio sicurezza e stabilità, e come la democrazia sia esposta a rischi e debolezze se, nel paese simbolo, avvengono fatti di tale gravità. Come il grande stato asiatico anche Iran, Russia, Turchia, e gli stessi alleati degli americani come l’Egitto, l’Arabia saudita e Israele hanno manifestato perplessità.
La responsabilità è certo della deriva populista, ma probabilmente è un sistema da riformare nel profondo.
Ciò vale per gli USA, ma anche l’Europa non è esente da tali problematiche. Il sovranismo non fa seguaci e produce leader politici solo in America: gli esempi sono evidenti. Il fenomeno ha radici e cause molteplici, può quindi essere affrontato solo rispondendo positivamente a queste ultime e con un serio cambio di paradigma nella politica, nei suoi protagonisti, e nella cultura dei cittadini.
Amministrare la cosa pubblica deve essere percepita come un servizio al bene comune, che antepone gli interessi pubblici a quelli privati; deve indicare progetti frutto di analisi profonde, lungimiranti; deve fornire segnali di trasformazione abbandonando il confronto come lotta di potere, arrivismo, ricerca di guadagno. Perché non tornare a uno stile simile a quello della Costituente e dei primi anni della Repubblica, con stipendi ragionevoli, pochi e motivati privilegi, rispetto per gli avversari? Per riformare la democrazia, infatti, è necessario avere uno sguardo rivolto agli elementi positivi del passato, l’attenzione al presente e un orizzonte proiettato al futuro.
La qualità della politica (e dei politici) è indubbiamente progressivamente diminuita: è responsabilità di tutti invertire la tendenza.
Si tratta poi di affrontare la cultura soggiacente, intervenendo su informazione ed educazione, affrontando e superando intolleranze e fratture dei legami sociali e comunitari, promuovendo una crescita del senso civico.
I media potrebbero svolgere un ruolo importante, favorendo una diffusione delle notizie il più possibile imparziale e tesa a far sviluppare conoscenza, senso critico, autonomia di pensiero. Perché nelle trasmissioni televisive, ad esempio, si continua a far parlare leader politici senza domande puntuali e senza contraddittorio?
Le agenzie formative, la scuola in primo luogo, dovrebbero offrire occasioni di educazione alla cittadinanza e affrontare i temi legati alla democrazia e al governo del bene comune. Un segnale importante è arrivato dal rilancio dell’educazione civica avvenuto nel presente anno scolastico; sarà importante valutare come viene proposta, quali contenuti, informazioni, valori è in grado di stimolare. Associazioni e movimenti giovanili potrebbero essere un ulteriore strumento di crescita su tali questioni, con la possibilità di far sperimentare occasioni di impegno sociale, conoscenza del territorio e dei suoi problemi, incontro con testimoni significativi.
La famiglia, come principale responsabile dell’educazione, andrebbe sollecitata ad affrontare questi temi, a essere luogo in cui le giovani generazioni scoprono il mondo che le circonda, da quello più vicino a quello lontano, imparano a informarsi, a discutere, a costruirsi idee e opinioni. Gli adulti tutti, e i genitori in particolare, dovrebbero in primo luogo dare l’esempio.
È indispensabile dunque uno sforzo collettivo impegnativo per costruire una democrazia più avanzata, in grado di affrontare i problemi del ventunesimo secolo e quelli di chi si trova a vivere questo periodo, in qualunque parte del mondo.
Le fonti
Sui mezzi di comunicazione in questo periodo le vicende americane sono state presentate e commentate ampiamente.
Molti autori hanno affrontato il tema della democrazia negli USA, a cominciare dal francese Alexis de Tocqueville che nel lontano 1835 pubblicò un volume intitolato proprio La democrazia in America, sino a oggi, passando per pensatori importanti come Robert Dahl, attento osservatore della politica e della democrazia del suo Paese.
Anche per approfondire l’argomento democrazia la letteratura è ampia: a chi interessa approfondire c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Concludiamo riportando la poesia letta da Amanda Gorman, nella traduzione proposta da Avvenire, in occasione dell’ultimo atto della vicenda legata alle elezioni statunitensi, il giuramento di Biden.
La collina su cui saliamo
Viene il giorno in cui ci domandiamo: dove troveremo la luce in questa tenebra infinita?
Il lutto dentro di noi. Un mare da attraversare.
Abbiamo sfidato il ventre della bestia.
Abbiamo imparato che la tranquillità non sempre è pace, e che le norme e le nozioni di ciò che è “giusto” non sempre sono giustizia.
E tuttavia l’alba è sorta prima che ce ne accorgessimo.
In un modo o nell’altro, eccoci qui.
In un modo o nell’altro sosteniamo e testimoniamo una nazione che non è spezzata, ma soltanto incompleta.
Noi, gli eredi di un paese e di un tempo in cui una minuta ragazzina nera, discendenti di schiavi e cresciuta dalla sola madre, può sognare di diventare presidente e intanto ritrovarsi a recitare davanti a un altro presidente.
E sì, siamo tutt’altro che rifiniti, tutt’altro che intatti, ma questo non significa che stiamo stiamo anelando a un’unione che sia perfetta.
Aneliamo forgiare la nostra unione dandole uno scopo.
Per dare vita a un paese che abbia a cuore ogni cultura, ogni colore, ogni carattere e condizione umani.
Ed è così che alziamo lo sguardo, per guardare non ciò che si frappone tra noi, ma ciò che sta di fronte a noi.
Superiamo le divisioni perché sappiamo che, per mettere il futuro al primo posto, dobbiamo anzitutto mettere da parte le nostre differenze.
Deponiamo le armi per poterci abbracciare.
Non vogliamo agonia per nessuno, ma armonia per tutti.
Facciamo in modo che il mondo, se non altro, dica che è vero.
Che abbiamo pianto, ma siamo cresciuti.
Che abbiamo sofferto, ma abbiamo sperato.
Che siamo stati stanchi, ma ci abbiamo provato.
Che saremo sempre uniti tra noi, vittoriosi.
Non perché non conosceremo più la sconfitta, ma perché non semineremo più discordia.
Le Scritture ci dicono di sognare un mondo in cui ciascuno possa sedere all’ombra della vigna e del fico, senza più avere paura.
Se vogliamo essere all’altezza del nostro tempo, allora dobbiamo fare in modo che la vittoria non venga dalla spada, ma dai ponti che costruiamo.
Questa è la promessa da celebrare, è la collina su cui saliamo, se solo ne abbiamo il coraggio.
Perché essere americani è molto più dell’orgoglio che abbiamo ereditati.
È il passato che attraversiamo, è il modo in cui ce ne prendiamo cura.
Abbiamo visto una forza capace di mandare in pezzi la nostra nazione, anziché permetterci di condividerla.
Capace di distruggere il nostro paese se adoperata per ostacolare la democrazia.
E poco è mancato che questo tentativo riuscisse.
La democrazia può essere ostacolata, di tanto in tanto, ma non può essere sconfitta per sempre.
In questa verità, in questa fede che ci sostiene, adesso volgiamo gli occhi verso il futuro, mentre la storia tiene gli occhi fissi su di noi.
Questa è l’era del giusto riscatto.
Ne abbiamo temuto l’avvento.
Non ci sentiamo pronti a essere gli eredi di un’ora così terribile.
Ma è qui che troviamo il potere per scrivere un nuovo capitolo, per offrire speranza e risate a noi stessi.
Dunque, se una volta ci domandavano come saremmo sopravvissuti alla catastrofe, ora dichiariamo che in nessun modo la catastrofe avrebbe potuto prevalere su di noi.
Non retrocederemo a quel che è stato, ma procederemo verso quel che sarà: un paese ammaccato ma intero, benevolente ma prode, fiero e libero.
Non ci lasceremo distogliere o intralciare dalle intimidazioni.
Ci faremo carico dei nostri errori.
Ma una cosa è certa.
Se uniremo la misericordia alla forza, e la forza alla giustizia, allora l’amore sarà il nostro lascito e darà ai nostri figli un nuovo diritto di nascita.
Su, lasciamo dietro di noi un paese migliore di quello che ci è stato lasciato.
Con ogni respiro del mio petto scolpito nel bronzo, trasformeremo questo mondo ferito in un mondo felice.
Sorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Sorgeremo dal Nordest sferzato dal vento, dove i nostri antenati per primi misero a segno la rivoluzione.
Sorgeremo dalle città del Midwest, affacciate sui laghi.
Sorgeremo dal Sud inondato di sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo, guariremo insieme.
E da ogni angolo della nazione, da ogni parte del paese, il nostro popolo così magnifico e vario riemergerà, malconcio e magnifico.
Viene il giorno in cui usciamo dall’ombra e dal fuoco, ne usciamo senza paura.
L’alba nuova è come un pallone che sale mentre lo lasciamo libero.
Perché c’è sempre luce, se solo abbiamo il coraggio di vederla.
Se solo abbiamo il coraggio di essere luce.