Il personaggio
Moltissime persone hanno sentito sulla loro pelle la tragedia di perdere qualche caro per un incidente sul lavoro. Il testimone al quale dedichiamo questa pagina ha affrontato questo dolore, avendo perduto da bambino il padre per le conseguenze di una febbre contratta, nell’inverno del 1899, tentando di salvare il bestiame del quale era responsabile come “curatolo” (bracciante con compiti di fiducia) durante un’alluvione.
Il bambino di sette anni al quale morì il padre dovette lasciare la scuola, dopo la seconda elementare, per diventare anche lui bracciante e aiutare la famiglia che si manteneva col misero reddito della madre lavandaia. Questo bambino divenne poi un politico, un parlamentare, uno dei padri della Repubblica come costituente, un antifascista, ma soprattutto un lavoratore e un grande sindacalista.
La vita
Per presentare la biografia del nostro testimone ci avvaliamo di quella curata dalla CGIL di Foggia presente sul sito dell’Associazione Casa Di Vittorio, che ringraziamo per la collaborazione.
Giuseppe Di Vittorio nasce a Cerignola il 13 agosto del 1892 [in realtà la data è l’11 agosto, dichiarata all’anagrafe di Cerignola il 13 agosto, ndr]. Il padre Michele è un lavoratore dei campi e tutta la famiglia è costituita da braccianti agricoli. La madre si chiama Rosa Errico.
Nel 1902 il padre muore in seguito a malattia contratta nel suo lavoro di curatolo, e lui è costretto ad abbandonare la scuola elementare per essere avviato al lavoro nei campi.
Nel 1904, nel maggio, partecipa ad una manifestazione di lavoratori agricoli, durante la quale interviene la polizia. Quattro lavoratori vengono colpiti a morte. Fra questi un suo giovane amico quattordicenne, Antonio Morra.
Nel 1910, alla fine di novembre, diventa segretario del circolo giovanile socialista di Cerignola, che prende il nome di “XIV maggio 1904”, per ricordare l’eccidio consumato in quell’anno. Il circolo prende ben presto un indirizzo a carattere sindacalista rivoluzionario, staccandosi dal PSI e aderendo alla Federazione di Parma della gioventù socialista. Partecipò all’esperienza del sindacalismo rivoluzionario e aderì all’USI (l’Unione Sindacale Italiana, nata nel 1912 dalla scissione con la CGdL riformista), ricoprendone dal 1913 la carica di membro del Comitato Centrale.
Nel 1913 diventa segretario della Camera del Lavoro di Minervino Murge, mentre si sviluppa in parecchi centri della Capitanata e della provincia di Bari l’influenza del sindacalismo rivoluzionario.
Nel 1914, ricercato dalla polizia in seguito ai fatti della “settimana rossa”, è costretto a riparare a Lugano. Quindi prende contatto con molti fuoriusciti italiani e ne approfitta per studiare in modo sistematico. E’ quello che Di Vittorio ricorderà come il suo “liceo”.
Nel 1915 è richiamato in guerra e dopo aver partecipato a parecchie azioni rimane ferito. Per il suo passato di “sovversivo”, dopo un lungo peregrinare, viene inviato a Porto Bardia, in Libia. Rientrerà in Italia tra gli ultimi, nell’agosto del 1919. Il 31 dicembre sposa Carolina Morra. Avranno due figli: Baldina, che nasce a Cerignola il 6 ottobre del 1920, e Vindice che nasce a Bari il 21 ottobre 1922.
Nel 1921 viene eletto deputato mentre è detenuto nelle carceri di Lucera. La elezione a deputato avviene in circostanze del tutto eccezionali. Esse ci offrono un quadro della situazione non solo personale, ma ci indicano lo scontro sociale in atto tra la fine del 1920 e la metà del 1921. In questo periodo dilaga il fascismo, con la violenza più spietata, in molti centri pugliesi considerati le roccaforti del movimento socialista e, soprattutto, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Queste fanno capo, in parte, alla CGdL, di orientamento socialista, e in misura consistente (Cerignola, Minervino, Corato, Bari) all’Unione sindacale italiana, di cui Di Vittorio è il maggiore e più qualificato esponente. La resistenza al fascismo era molto forte in Puglia e Di Vittorio ne era uno degli animatori più convinti e deciso. Ed è proprio in seguito ad uno sciopero regionale antifascista, in un momento in cui il movimento operaio è più in ritirata, che Di Vittorio viene arrestato.
Nel 1921 lo scontro in quella campagna elettorale è totale: i fascisti provocano una strage a Cerignola (nove lavoratori uccisi). Nonostante il clima di violenza e di intimidazione Di Vittorio viene eletto. Per tutto il 1921 e fino ai primi mesi del 1923, l’attenzione preminente di Di Vittorio è rivolta alla situazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni in Puglia, sottoposta ad un’opera di logoramento fino alla distruzione. Egli stesso è bandito dalla sua città, dai fascisti di Cerignola. Ma è a Bari che egli mette a profitto tutta la sua esperienza, nella Camera del Lavoro. L’occasione e’ offerta dallo sciopero nazionale, detto “legalitario”, dell’estate 1922, che ha luogo in tutta Italia per imporre la fine delle violenze fasciste ed il ritorno al rispetto della legge. Indetto dall’Alleanza nazionale del lavoro lo sciopero si risolse in una amara sconfitta: furono poche le realtà nel quale si costituì un ampio schieramento antifascista. Una di queste è stata Bari e la sua Camera del Lavoro che riuscì a costituire un ampio schieramento di forze (socialisti, sindacalisti, anarchici, comunisti, ufficiali fiumani, arditi del popolo) e tenne in scacco i fascisti fino all’ottobre del 1921, quando intervenne l’esercito a conquistare e sciogliere la Camera del Lavoro.
Sul finire del 1922 per Di Vittorio non è più possibile vivere in Puglia. Si trasferisce a Roma.
Nel 1924 avviene l’incontro con Antonio Gramsci e con Palmiro Togliatti, che lo porta ad aderire al Partito Comunista. Insieme con Ruggiero Grieco, dirigente comunista pugliese, avvia un’interessante lavoro per gettare le basi di un’organizzazione autonoma dei contadini italiani, in primo luogo nelle regioni meridionali. Il clima è quello della semilegalità che ben presto diventerà, ai primi di novembre del 1926, illegalità piena e totale.
Fra il 1928 ed il 1930 è in Urss, rappresentante del Pcd’I presso l’Internazionale Contadina.
Nel 1930 va a Parigi per far parte del gruppo dirigente del PCI e per assumere l’incarico di responsabile della CGIL clandestina. Nella primavera del 1935 muore la moglie di Di Vittorio.
Nel 1936 è fra i primi ad accorrere in Spagna ad Albacete partecipa all’organizzazione delle Brigate Internazionali con Luigi Longo e Andrè Marty ed altri dirigenti. Nel 1939 dirige “La voce degli italiani”, quotidiano antifascista. Il 10 febbraio 1941 è arrestato a Parigi dai tedeschi. Assieme a Bruno Buozzi e Guido Miglioli viene consegnato alle autorità italiane, che lo condannano a 5 anni di confino che sconta sull’isola di Ventotene
Nel 1943 viene liberato e partecipa alla lotta di Liberazione. Firmatario del Patto di unità sindacale di Roma del 1944 con Achille Grandi per i democristiani e Emilio Canevari per i socialisti, diviene segretario generale della Cgil unitaria e poi, dopo la scissione, della Cgil fino alla sua morte.
Nel 1946 viene eletto deputato dell’Assemblea Costituente.
Tra le sue innumerevoli iniziative, va almeno ricordato il Piano per il lavoro, del 1949. Nel 1953 viene eletto presidente della FSM (Federazione Sindacale Mondiale).
La convinta adesione agli ideali comunisti fu sempre contraddistinta da una totale autonomia che ebbe il suo momento più noto nella condanna decisa della feroce repressione sovietica in Ungheria nel 1956. Un altro punto fermo del suo pensiero fu il rifiuto della violenza nelle lotte di massa e nell’azione del movimento sindacale, convinto come era che nel nuovo regime democratico ai lavoratori erano dati gli strumenti pacifici per sviluppare le loro rivendicazioni e per allargare la loro influenza sugli altri ceti della popolazione italiana. Non ebbe esitazioni ad ammettere pubblicamente gli sbagli della organizzazione che dirigeva, e memorabile in questo senso rimane il discorso al comitato direttivo della Cgil dell’aprile del 1955, dopo la sconfitta alle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori alla Fiat.
Muore il 3 novembre del 1957 a Lecco, dopo un incontro con i delegati sindacali.
L’affermazione del valore sociale e culturale del lavoro è stato il principio che ha sempre ispirato e accompagnato l’azione sindacale di Di Vittorio; l’autonomia, la democrazia e l’unità del sindacato sono stati i suoi principali obiettivi. La CGIL doveva restare rigorosamente plurale e apartitica, senza per questo venire meno ad una sua naturale vocazione politica, centrata sulla difesa e lo sviluppo della democrazia e della Costituzione repubblicana, che aveva nella solidarietà e nei diritti i suoi principali valori. Pur vivendo una stagione assai difficile, segnata da tensioni ideologiche stridenti legate al sottile equilibrio bipolare della guerra fredda, Di Vittorio lavorò sempre per l’unità di tutti i lavoratori, dalla quale faceva derivare anche l’unità sindacale; a suo avviso, solo in questo modo sarebbe stato possibile difendere l’interesse generale della classe lavoratrice, lottando efficacemente per la sua emancipazione.
Il commento
Giuseppe di Vittorio è partito da bracciante poverissimo e semianalfabeta nella Puglia dei primi del Novecento, per arrivare a essere il fondatore del più grande sindacato italiano, deputato all’Assemblea Costituente, esponente di spicco del PCI, presidente della Federazione Sindacale Mondiale.
Già ricordare ciò è un importante insegnamento di cosa può rappresentare la determinazione, l’impegno, il desiderio di operare per alti ideali. La sua vita è stata intensa e avventurosa, guidata da preziosi valori: il lavoro e la democrazia. Sempre schierato dalla parte dei lavoratori, dei ceti sociali più deboli, essendo lui stesso uno di loro.
Il suo ruolo
Giuseppe Di Vittorio ha dato un grande contribuito alla ricostruzione dell’Italia nel dopoguerra, sia come politico, in primo luogo nel suo impegno nella stesura della Carta costituzionale, ancora oggi tra le più avanzate al mondo in materia di riconoscimento e garanzia dei diritti sociali; sia come sindacalista nella CGIL e nel movimento mondiale.
Del suo dedicarsi alla politica e alla militanza nel Partito Comunista è importante sottolineare un atteggiamento sempre autonomo, che ebbe il suo apice con la condanna della repressione sovietica in Ungheria nel 1956. Della sua presenza in parlamento giova ricordare, oltre a numerosi interventi, la presentazione di 85 progetti di legge, dei quali otto approvati.
Giuseppe Di Vittorio è stato anche un grandissimo sindacalista, capace di un pensiero sindacale innovativo, coerente e profondo, spesso in grado di precedere gli avvenimenti. Per lui fare sindacato significava pensare alla persona e al lavoratore nella sua dignità individuale e nella sua condizione di soggetto sociale capace di emanciparsi attraverso un’azione collettiva.
La sua visione conserva tratti di attualità addirittura sorprendenti per quanto concerne molti aspetti: l’attenzione ai diritti dei lavoratori intesi come grandi momenti di emancipazione dell’individuo attraverso i soggetti collettivi della rappresentanza; l’unità del sindacato come condizione indispensabile per la quale battersi e impegnarsi costantemente perché precondizione dello sviluppo di tutto il Paese, di un interesse generale; il valore dell’autonomia del sindacato.
Una caratteristica del suo sindacalismo è stata il costante rifiuto della violenza nelle lotte, convinto che nel nuovo sistema democratico i lavoratori potessero utilizzare strumenti pacifici per sostenere le loro rivendicazioni e per allargare la loro influenza. Un altro elemento caratterizzante fu la capacità di autocritica, come quando ammise pubblicamente gli errori dell’organizzazione che dirigeva dopo la sconfitta alle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori alla FIAT nel 1955.
I tratti personali
Una preziosa testimonianza viene dall’ascolto di alcuni stralci dei comizi: arriva fino a noi la forza dell’oratoria di Di Vittorio, la capacità di rivolgersi a tutti come se parlasse a ciascuno, di parlare al cuore della gente, ai braccianti di Cerignola, agli impiegati di Roma e Milano, agli operai delle fabbriche di Torino, così come agli intellettuali spagnoli in fuga dal regime franchista.
Un elemento della sua vita poco ricordato è legato all’appartenenza a una piccola comunità evangelica di Cerignola, non rare in Puglia in quanto promosse da emigrati che ritornavano in patria dagli USA, che certamente ha avuto una forte influenza sotto molti punti di vista.
Straordinaria e fortemente istruttiva è la sua crescita culturale, compiuta con un intenso sforzo personale e superando le gravi ristrettezze economiche. Significativi due aneddoti raccontati dalla figlia Baldina. Nel primo rievoca l’emozione per la scoperta del vocabolario, che comprò offrendo in cambio la sua giacca; nel secondo ricorda la “cresta” che faceva consegnando la sua paga alla madre per acquistare libri e quaderni.
Ha dato prova di grande coraggio, come quando nel 1921 sfidò i fascisti locali tornando a Cerignola malgrado quelli glielo avessero proibito; oppure affrontando l’arresto come “sovversivo” nel 1916 e come antifascista nel 1925. Rilasciato nel ’26, espatriò clandestinamente per sfuggire a una condanna a 12 anni di reclusione. Nella Francia occupata venne arrestato dai nazisti nel 1941 e consegnato alle autorità fasciste che lo incarcerano per poi inviarlo al confino a Ventotene.
La figlia ne ricorda l’umanità, l’equilibrio, la determinazione mantenuta anche nei momenti più difficili; la consapevolezza di servire una grande e giusta causa, che, ne era convinto, serviva a tutti, agli interessi dell’intera società e non solo di una parte.
Si dedicò instancabilmente all’organizzazione di movimenti e iniziative. Durante il periodo vissuto all’estero si impegnò nell’Internazionale contadina, organizzò a Parigi la Confederazione generale del lavoro e si occupò del rafforzamento del movimento antifascista tra gli emigrati. Durante il conflitto in Spagna fu commissario politico di due Brigate internazionali, venne ferito e ritornò in Francia dove diresse il quotidiano La voce degli italiani, dalle cui colonne si batté per l’approvazione in Francia dello Statuto giuridico degli immigrati e il riconoscimento del diritto d’asilo per i rifugiati, per poi tornare a combattere in Spagna.
Il Patto di unità sindacale e il Piano di lavoro
Il momento più rilevante del suo essere sindacalista fu indubbiamente la nascita del Patto di unità sindacale sottoscritto nel 1944 da lui con Achille Grandi per i democristiani ed Emilio Canevari per i socialisti, dal quale nacque la CGIL unitaria che lo vide segretario generale.
Sul piano delle proposte operative è da ricordare il Piano del lavoro da lui lanciato nel dopoguerra. A fronte di dinamiche salariali contenute per la necessità di rilanciare il Paese, che per i lavoratori significavano magri stipendi e sottoccupazione, Di Vittorio guardò oltre tali rivendicazioni, pur considerandole importanti, puntando alla piena occupazione, infatti cercò di individuare e delineare un interesse comune tra salariati e imprenditori attraverso misure che fossero in grado di sostenere il potere d’acquisto dei primi e lo sforzo produttivo. Fu una prospettiva che si sviluppò pienamente a partire dagli anni ’60. Il suo merito, e degli esperti dei quali si avvalse, fu di aver avuto una visione che andava oltre le presenti contingenze per tracciare un percorso ambizioso, ma realistico, allo scopo di condurre l’Italia fuori dalle macerie, materiali e morali, della guerra. Gli obiettivi rivendicativi erano collocati in un ampio progetto di politica economica, agricola, industriale, energetica da realizzare col contributo delle migliori risorse del Paese. La proposta era tesa a risolvere i problemi reali di milioni di persone, gli “ultimi”, in una realtà nella quale il costo della vita pro-capite era il doppio del salario medio.
In un momento di crisi come quello che sta attraversando globalmente l’umanità, e l’Italia in particolare, tutto ciò potrebbe essere un esempio significativo della filosofia con la quale affrontare la crisi e concretizzare il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Le fonti
È opportuno ricordare innanzitutto l’Associazione Casa Di Vittorio, che «intende promuovere la conoscenza della vicenda umana e dell’opera sindacale e politica di Giuseppe Di Vittorio» e la Fondazione Di Vittorio, promossa dalla CGIL, la quale «ha lo scopo di promuovere la conoscenza dell’opera di Giuseppe Di Vittorio, della storia della Confederazione Generale Italiana del Lavoro – CGIL, nonché delle attività da essa svolte a favore del mondo del lavoro».
La bibliografia dedicata a Di Vittorio è ampia. Ecco un elenco delle principali pubblicazioni presentato sul sito dell’Associazione citata.
Felice Chilanti, La vita di Giuseppe Di Vittorio, Roma, 1952; Per l’unità sindacale mondiale. Riassunto del rapporto di Saillant, interventi di Di Vittorio [et al.], a cura di Gianluigi Bragantin, Roma 1957; Anita Di Vittorio, La mia vita con Di Vittorio, Firenze 1965, Di Vittorio l’uomo, il dirigente, a cura di Antonio Tatò, 3 voll., Roma 1969; Luciano Lama, Di Vittorio, Roma 1972; Michele Pistillo, Di Vittorio 1907-1924, Roma 1973; Michele Pistillo, Di Vittorio 1924-1944, Roma 1975; Michele Pistillo, Di Vittorio 1944-1957, Roma 1977; Unità e autonomia del sindacato nel pensiero di Giuseppe Di Vittorio. Convegno unitario della Federazione Cgil Cisl Uil, Roma 14-15 dicembre 1977, Roma 1978; Davide Lajolo, Il volto umano di un rivoluzionario. La straordinaria avventura di Giuseppe Di Vittorio, prefazione di Luciano Lama, Firenze 1979; M. Costa e A. Scalpelli (a cura di), Le ragioni della CGIL. Giuseppe Di Vittorio alla classe lavoratrice della Lombardia, Franco Angeli, Milano 1992 [con fotografie]; Neglie P. (a cura), Giuseppe Di Vittorio. Le ragioni del sindacato nella costruzione della democrazia, Roma, Ediesse, 1993 (con interventi di: B. Trentin, V. Foa, L. Lama, G. Giugni, G. Napolitano, A. Pepe, P. Boni, V. Saba, A. Forbice, E. Macaluso); Michele Pistillo – Baldina Di Vittorio Berti, Giuseppe Di Vittorio, Gaetano Macchiaroli, Napoli 1994 [con un capitolo fotografico]; Adriano Guerra, Bruno Trentin, Di Vittorio e l’ombra di Stalin. L’Ungheria, il Pci e l’autonomia del sindacato, Roma 1997; Pietro Craveri, L’originalità del sindacalismo di Giuseppe Di Vittorio, in Id., La democrazia incompiuta, Marsilio, Padova 2002, pp. 135-173; Antonio Carioti, Di Vittorio, il Mulino, Bologna 2004.
Recente è un lavoro di Maurizio Landini intitolato Giuseppe Di Vittorio. Il valore del lavoro, edito nel 2015 dalle edizioni Clichy.
Tra gli scritti del nostro testimone citiamo Il patto di Roma e la nascita della CGIL, a cura di M. Pistillo, Editori Riuniti, Roma 1995; Discorsi parlamentari, 4 voll., Roma, Ed. Stabilimenti tipografici Carlo Colombo, 1972; e La Cgil di Di Vittorio 1944-1957. Scritti e interventi di Giuseppe Di Vittorio commentati da Luciano Lama, a cura di Fabrizio D’Agostini, De Donato, Bari 1977.
La Città di Cerignola ha curato una breve pubblicazione denominata Una vita per i lavoratori: Giuseppe Di Vittorio con una biografia corredata da immagini fotografiche.
Sul sito dell’Associazione Casa Di Vittorio è accessibile un vasto materiale: testi, fotografie, una completa bibliografia, testimonianze, e molto altro.
Su RaiPlay è possibile vedere una miniserie televisiva in due parti intitolata Pane e Libertà – Giuseppe Di Vittorio; Rai Cultura ha dedicato una puntata del programma Italiani al nostro testimone, ripercorrendone la vita col contributo di importanti personaggi. In rete sono disponibili altri documentari, video e audio suoi o a lui dedicati. Significativi sono uno stralcio di un discorso tenuto in occasione del 1° maggio 1955, la conclusione dell’intervento in occasione del Congresso della FSM a Vienna nel 1953 e la lettura dell’ultimo discorso da lui pronunciato la mattina del 3 novembre 1957, poche ore prima di morire, ai dirigenti e agli attivisti sindacali di Lecco.
A lui sono intitolati, oltre alla Fondazione e all’Associazione, strade, piazze, scuole, circoli culturali e sezioni di partito.
Come spesso accade, la conclusione è affidata alle parole del testimone.
«Io non sono, non ho mai preteso, né pretendo di essere un uomo rappresentativo della cultura. Però sono rappresentativo di qualche cosa. Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari più umili e più povere che aspirano alla cultura, che si sforzano di studiare e cercano di raggiungere quel grado del sapere che permetta loro non solo di assicurare la propria elevazione come persone singole, di sviluppare la propria personalità, ma di conquistarsi quella condizione che conferisce alle masse popolari un senso più elevato della propria funzione sociale, della propria dignità nazionale e umana… La cultura non soltanto libera queste masse dai pregiudizi che derivano dall’ignoranza, dai limiti che questa pone all’orizzonte degli uomini: la cultura è anche uno strumento per andare avanti e far andare avanti, progredire e innalzare tutta la società nazionale…
Io sono, in un certo senso, un evaso da quel mondo dove ancora imperano in larga misura l’ignoranza, la superstizione, i pregiudizi, gli apriorismi dogmatici che derivano da questa ignoranza. Io lo conosco quel mondo, profondamente. Ci sono vissuto e so quanto siano grandi gli sforzi che occorrono per tentare di uscirne. Ma in quel mondo, dietro quel muro, vi sono ancora milioni di italiani, milioni di fratelli nostri. Tutte le iniziative, tutte le forme di organizzazione, tutti i tentativi debbono essere fatti per accorrere in aiuto di questi nostri fratelli, per aiutarli a liberarsi da questa ignoranza, perché anch’essi possano provare a sentire le gioie e i tormenti dell’accesso al sapere. Dobbiamo andare fra quelle masse di nostri fratelli, chiamarle, stimolarle alla vita nuova, al sapere, al conoscere, a vedere alto e lontano; dobbiamo andare come un trattore potente su un terreno incolto da secoli per fecondarlo e trarlo a coltura, a vita, a bene della società».
«Mussolini sapeva, dunque, che scatenando codardamente l’ondata razzista contro gli ebrei italiani, si sarebbe urtato all’opposizione dei cattolici, oltre che a quella di tutte le altre correnti della democrazia italiana. E l’ondata razzista, anticristiana e antiumana è stata scatenata ugualmente anche per avere il pretesto di sferrare una nuova offensiva contro le organizzazioni affiliate all’Azione cattolica, che costituiscono i soli ed ultimi residui di organizzazioni relativamente libere esistenti in Italia, e nelle quali tanti lavoratori trovano ancora il modo di riunirsi, e di scambiare le loro opinioni, in un ambiente che non è quello ossessionante del fascismo.
Attraverso la caccia inumana e vile agli ebrei, la dittatura fascista mira a distruggere questi ultimi resti di organizzazioni cattoliche, non bastandole d’aver tolto loro ogni possibilità d’azione politica, sindacale e culturale. E attraverso l’Azione cattolica e le sue organizzazioni, il regime vuol annientare le ultime e tenuissime larve di libertà che rimangono all’intero popolo. È dunque contro tutto il popolo italiano che è diretta la lotta selvaggia condotta dal governo fascista contro gli ebrei.
Difendendo gli ebrei italiani, difendendo i cattolici italiani e ciò che resta delle loro organizzazioni, noi difendiamo gli interessi ed i diritti più elementari alla vita, al lavoro, alla libertà, di tutto il popolo. Unendoci tutti, cattolici e non cattolici, ebrei e non ebrei, in questa lotta per i più sacri diritti atrocemente calpestati del nostro popolo, noi neutralizzeremo l’azione fascista di divisione e lavoreremo per opporre vittoriosamente il popolo unito alla dittatura fascista che lo insanguina e lo affama; noi difenderemo vittoriosamente la pace contro le guerre d’aggressione che conduce la dittatura fascista e contro la sua complicità con l’hitlerismo nella politica che proprio in questi giorni minaccia di scatenare una nuova guerra mondiale».
«Il diritto di associazione è senza dubbio fra i diritti fondamentali del cittadino e una delle espressioni più chiare delle libertà democratiche».
«Il diritto di associazione è anzi il presidio più sicuro della libertà della persona umana, la quale tende in misura crescente a ricercare la via del proprio sviluppo, della propria difesa e di un maggiore benessere economico e spirituale, specialmente nella libertà di coalizzarsi con altre persone in aggruppamenti sociali, professionali, cooperativi, politici, religiosi, culturali, sportivi e di ogni altro genere, aventi interessi od ideali comuni od affini».
«Gli interessi che rappresentano e difendono i sindacati dei lavoratori sono interessi di carattere collettivo e non particolaristico od egoistico; interessi che in linea di massima coincidono con quelli generali della nazione».
«Il benessere generalizzato dei lavoratori, infatti, non può derivare che da un maggiore sviluppo dell’economia nazionale, da un aumento incessante della produzione, da un maggiore arricchimento del paese, oltre che da una più giusta ripartizione dei beni prodotti».
«Il diritto di associazione comporta la libertà di azione delle singole associazioni, per l’adempimento dei loro compiti e per la realizzazione degli scopi per i quali sono state costituite.
Le libertà sindacali, che si riassumono nella piena libertà di riunione, di discussione, di manifestazione, di astensione dal lavoro ecc., comportano il diritto di sciopero. Questo diritto non è più contestato da nessuno, ad eccezione dello sciopero relativo a servizi pubblici».
«Il progresso sociale e la costruzione di una società nella quale il lavoro sia liberato dallo sfruttamento capitalistico, sono possibili soltanto con il consenso e con la partecipazione attiva della classe operaia e delle masse popolari, garanzia della più ampia affermazione dei diritti di libertà, di democrazia e di indipendenza nazionale».
È stato ritrovato nel 2007 un manoscritto inedito di Giuseppe Di Vittorio: la lettera in cui si dice costretto, a difesa della sua dignità politica, a rifiutare un omaggio natalizio inviatogli dal conte Giuseppe Pavoncelli.
– CERIGNOLA –li 24 Dicembre 1920
Egregio Sig. Preziuso.
In mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po’ di ben di Dio che mi ha mandato.
Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si è certamente ispirato.
Ma io sono un uomo politico attivo, un militante. E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché – in gran parte – è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente – come il nostro – ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti.
Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onestà ma per la mia situazione politica non basta l’intima coscienza della propria onestà.
E’ necessaria – e Lei lo intende – anche l’onestà esteriore.
Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi repugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d’una cortesia – sia pure nobilissima come quella in parola – si ricamerebbe chi sa che cosa.
Si che, io, a preventiva tutela della mia dignità politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi è di pieno gradimento.
Vorrei spiegarmi piu’ lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non è, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato già chiaro. Il resto s’intuisce.
Perciò La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati.
Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora.