Sono quasi 20 anni che don Gianni Fornero ci ha lasciati, troppo presto a neanche 60 anni, ma la sua figura rimane importante per gli esempi, le parole e le iniziative che lo hanno visto protagonista. Certo molto è cambiato: ad esempio sono cambiate le fabbriche e il mondo operaio non è più quello che lui aveva scelto di condividere, però quanto emerge dalla sua esperienza può essere attualizzato e utilizzato proficuamente anche oggi.
In grande sintesi si può dire che abbia vissuto le indicazioni forti del Vaticano II e sia stato un precursore di quella che si chiama oggi la prospettiva di una Chiesa in uscita.
Come ripreso nella terza parte della pagina, non sono molti gli strumenti per conoscere don Gianni, ma un libro del 2017 può essere sufficiente: si tratta di un testo curato da Silvio Caretto e Tommaso Panero per la Fondazione Vera Nocentini ed edito da Effatà intitolato Don Gianni Fornero. Quando Chiesa in uscita si diceva uomini di frontiera. I cenni biografici su di lui sono tratti proprio da questa fonte.
La vita
Gianni Fornero nasce a Vigone (Torino) il 29 marzo 1946. Frequenta le scuole medie, il ginnasio e il primo anno di liceo classico mentre si impegna nell’Azione Cattolica.
Dal 1961 al 1968 frequenta il liceo classico e la scuola di teologia al seminario diocesano di Rivoli (Torino). Sono gli anni in cui comincia a maturare la sua forte attenzione alla questione operaia.
Nel 1967 inizia la sua esperienza di lavoro in fabbrica con l’autorizzazione e l’incoraggiamento del cardinale Michele Pellegrino. Vive a Torino con altri 12 seminaristi al lavoro: un’esperienza che segna la sua vita per gli fa scoprire in profondità la realtà del mondo operaio.
Nell’estate del 1970 si reca in Francia, con alcuni amici, per conoscere l’esperienza della JOC, la Jeunesse Ouvrière Chrétienne. Al ritorno matura la convinzione che sia necessaria un’esperienza simile anche a Torino. Inizia quindi ad aggregare giovani lavoratori soprattutto immigrati dal Sud, apprendisti e studenti delle scuole professionali: nascono i primi gruppi che fanno la revisione di vita.
«Io non sono di estrazione operaia», diceva, «e perciò tutto questo mi fa particolarmente pensare. Nel medesimo tempo mi ha stupito vedere operai giovanissimi, ragazzi diciottenni immigrati dal Sud, arrivati da poco tempo, ragazzi soli che avevano lasciato la famiglia, che avevano spesso fatto dei corsi professionali di qualificazione, e pur di lavorare accettavano di fare lavori pesanti come quello della saldatura. Confrontavo la loro esperienza con quella di noi seminaristi e mi rendevo conto della diversità della loro vita, delle difficoltà che incontravano: noi seminaristi, tutto sommato, vivevamo «nell’ovatta».
Nel 1972 viene ordinato sacerdote dal cardinale Pellegrino con l’incarico di svolgere la sua missione di evangelizzazione tra i giovani operai.
Nel 1977 riceve ufficialmente l’incarico di seguire gruppi di giovani operai e aprì la sede GiOC a Torino. Facendo esperienza di comunità tra i sacerdoti e i giovani lavoratori, responsabili del movimento.
Dal 1986 al 1992 ricopre l’incarico di primo assistente internazionale della CIJOC, il Coordinamento Internazionale della GiOC.
Nel 1992 viene nominato Direttore regionale e nel 1993 diocesano della Pastorale per i Problemi Sociali e del Lavoro. Collabora con l’analogo Ufficio Nazionale della CEI, il progetto Policoro e viene nominato Consultore del Pontificio Consiglio per i Laici.
Per oltre dieci anni svolge il suo ministero nella Chiesa, al servizio del mondo del lavoro con tre compiti:
- studiare e capire il cambiamento del lavoro nella città alla luce del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa;
- sensibilizzare le comunità cristiane sui temi sociali e del lavoro, parte integrante del messaggio evangelico;
- promuovere l’evangelizzazione dei lavoratori costituendo gruppi di confronto e sostenendo i movimenti impegnati nel sociale: GiOC, Azione Cattolica, ACLI, UCID, ACEF, Coldiretti e Confcooperative.
Don Gianni indicava tre parole chiave che potessero ispirare la pastorale del lavoro: discernimento, pastorale di insieme, missione. A proposito del discernimento sottolineava che «non ha senso una pastorale del lavoro muta, così come non ha senso che la pastorale faccia il grillo parlante e non abbia una pratica concreta». L’aspetto fondamentale è agire.
In merito alla pastorale di insieme, invece, promuoveva una forte collaborazione con i vari uffici pastorali: la pastorale giovani, quella familiare, la Caritas; ma anche una collaborazione con numerose famiglie religiose sorte per la cura dei lavoratori e delle lavoratrici. Questa sinergia è indispensabile per garantire un’efficace attività pastorale.
Infine don Gianni sosteneva con fermezza l’importanza di vivere la pastorale del lavoro come una missione, affermando come il compito della pastorale non fosse solo quello di studiare e produrre documenti, ma anche soprattutto di formare i lavoratori cristiani. Una formazione che fosse specifica di quanti vivevano la realtà del lavoro. Questo implica promuovere iniziative sul territorio e coordinare i vari conventi locali costituiti da e per quanti lavorano.
Gianni Fornero muore a Torino il 4 giugno 2004.
Il commento
Il periodico della GiOC dell’estate 2005, dedicato a don Gianni, si apre con una sintesi del senso della sua vita. Egli «mirava ad un solo obiettivo: la formazione di un laicato giovane e adulto, consapevole delle sfide del proprio tempo, pienamente coinvolto negli ambienti di vita e di lavoro, militante, testimone credibile della novità perenne del Vangelo di Gesù Cristo. È questo che ha sempre cercato di realizzare attraverso l’enorme quantità di progetti che ha attivato nel corso della sua vita, con una passione particolare, quella per i lavoratori».
Alcuni elementi della personalità
Un particolare di estremo interesse e davvero significativo è che egli si immerse nel mondo del lavoro, della fabbrica, senza conoscerlo affatto: è un messaggio di apertura, disponibilità e coraggio per tutti. Pure per avviare alcune delle iniziative è stato spinto dalla curiosità e dal desiderio di capire, di andare a vedere coi propri occhi quanto altri facevano: un esempio è il viaggio in bicicletta per la Francia sulle tracce della JOC (la gioventù operaia transalpina) fatto con alcuni amici nell’estate del 1970.
Chi lo ha conosciuto bene lo descrive anche come un uomo con una grande capacità di ascolto, di confronto, desiderio di imparare e guardare verso nuovi orizzonti, una sana spinta a comprendere le situazioni, a occuparsene per cambiarle. Sempre sorridente, ma anche un “duro”, nel senso di una persona decisa, caparbia, che non si arrende e ha il coraggio delle sue idee, capace di sostenere le proprie posizioni con forza: la sua esperienza di delegato sindacale ha mostrato bene questo elemento.
Ha sofferto per le sconfitte, ma quello che è stato definito «il minuto e forte don Gianni» non mollava e rilanciava, cercando le giuste modalità per raggiungere gli obiettivi.
Viene descritto inoltre come uno che agiva sempre dopo aver riflettuto a fondo, meditato, unendo la preghiera, per essere discepolo di Gesù nella Chiesa e per il mondo.
Il mondo è stato il suo orizzonte, e l’esperienza come assistente internazionale della Cijoc dal 1986 al 1992 lo porta a viaggiare in molti continenti per conoscere le situazioni più critiche e problematiche della condizione di lavoro e soprattutto di sfruttamento e anche le belle storie di riscatto e rivincita di popoli, comunità e persone. Un prete dunque dagli orizzonti vasti, aperti, in dialogo con tutti, non chiuso in impossibili certezze umane.
La sua testimonianza nel mondo operaio e sindacale, e non solo, ha fatto sentire in quegli ambienti la vicinanza della Chiesa, la possibilità di legare nel proprio essere la fede con ogni aspetto della vita.
È stato sempre dalla parte di chi conta di meno, condividendone la vita e operando per un suo miglioramento.
I suoi tanti impegni
Un modo per ricordare don Gianni è menzionare le varie iniziative da lui promosse in ambito ecclesiale e sociale, quali Solidali per il Lavoro, Dieci talenti per il microcredito, Insieme per la casa, Giovani e Periferie, la Scuola di Formazione al sociale e al politico, il Progetto Burkina e Olio della Palestina, i gruppi d’ambiente per politici, imprenditori, operai, sindacalisti, immigrati, cooperative, l’Osservatorio per il cambiamento, la Fondazione Don Mario Operti, nonché il suo impegno per la GiOC e l’Azione Cattolica. Molto di lui si trova proprio nei progetti che ha avviato e realizzato, che narrano e concretizzano le sue idee di Chiesa, missione, evangelizzazione, impegno politico e sindacale.
Valori e ispirazioni
Gianni Fornero ha sempre posto al centro la persona e la Parola di Dio.
Ha sempre creduto nell’importanza della crescita personale, della formazione come strumento di emancipazione e realizzazione personale e comunitaria.
È stato convinto della necessità delle risorse utili per realizzare gli obiettivi: economiche, lo dimostra l’intuizione di dare vita alla Fondazione Mario Operti; strutturali, ma mai fine a sé stesse; delle persone coinvolte, da rendere protagoniste.
Sul terreno della fede e dell’evangelizzazione ha sempre considerato strettissimo il rapporto tra la vita e le esperienze di lavoro, familiari, di studio, associative, proponendo una sequela di Gesù incarnata nei propri contesti e arricchita dalla Bibbia e dal messaggio della Chiesa, dallo studio, dal confronto, dalla comunità, dalla revisione di vita. Insieme al rapporto tra fede e vita don Gianni ha avuto cari e praticato altri interessanti abbinamenti: azione e contemplazione, Chiesa e classe operaia, militanza sindacale e fede, Vangelo e lotta operaia, fede e impegno politico.
Figlio attento e partecipe del suo tempo ha colto alcuni messaggi di fondo del Concilio e dei papi che lo hanno guidato: lo sforzo costante di unire, dimostrato sia da quanto appena citato sia dal suo impegno per cercare ciò che avvicina e non ciò che separa; la prospettiva del cambiamento, visto come conversione, mutare vita, ma anche come migliorare la condizione dei lavoratori, combattere e superare l’indifferenza.
Il laicato
Da prete ha sempre considerato fondamentale il ruolo dei laici nella società e nella Chiesa, valorizzandone il contributo. Tra gli impegni che dovrebbero vedere i laici protagonisti vi è la politica. Per don Gianni i corsi di formazione all’impegno sociale e politico, attività realizzate dall’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro nel periodo da lui diretto e proseguiti anche in seguito, rappresentavano una priorità e ha creduto in modo deciso nel portarli avanti, trasformandoli e adattandoli al nuovo contesto. Infatti, venuto a mancare il partito cattolico, la Democrazia Cristiana, era necessario rivederne l’impostazione. Per lui fu una sfida da affrontare e un’opportunità da cogliere: rimanere fedeli al messaggio sociale della Chiesa nel nuovo panorama politico. Dovendo anche fare i conti con la difficoltà, nelle parrocchie e nelle associazioni, a considerare l’essere cittadini responsabili un elemento fondamentale, nonché una lontananza dai temi della politica.
Per lui la politica era una passione, alimentata dallo studio e da una forte volontà di essere informato e aggiornato per tenere il passo con i rapidi cambiamenti.
Cosa ci lascia
Don Gianni ci ricorda la necessità dell’annuncio, dell’evangelizzazione nel confronto con il mondo contemporaneo, l’immergersi nella società; la necessità di un’intensa vita interiore e di azione.
La considerazione finale non può che essere quella di domandarsi quali siano oggi le periferie esistenziali da avvicinare, chi sono gli “ultimi”, quale l’impegno per rendere questa società e questo mondo migliori e “immagine” del Regno: in altre parole cosa avrebbe detto e come avrebbe agito oggi don Gianni. Si tratta allora di riflettere sulle intuizioni più significative che hanno guidato la sua azione innovativa e originale e sulla possibilità di continuare ad attualizzarle nella realtà odierna.
Il suo è un ricordo prezioso, che vale la pena far conoscere ad altri affinché resti vivo e possa fungere da stimolo per una riflessione sui messaggi e sull’eredità che ci ha lasciato.
Le fonti
Strumento importante per conoscere il nostro testimone è il libro già citato a lui dedicato, Don Gianni Fornero. Quando la Chiesa in uscita si diceva uomini di frontiera, edito da Effatà nel 2017 e realizzato dalla Fondazione Vera Nocentici a cura di Silvio Caretto e Tommaso Panero.
A novembre del 2021 è stato pubblicato, sempre per Effatà un volume dal titolo Preti in fabbrica, operai nella Chiesa. L’esperienza dei preti operai nella diocesi di Torino, a cura di Silvio Caretto, Tommaso Panero e Alessandro Svaluto Ferro, nel quale si parla anche di lui.
Sul WEB è possibile rintracciare della documentazione che lo riguarda, non molta per la verità, e che permette di approfondirne la figura, ma un consiglio ulteriore è incontrare persone che lo hanno conosciuto e ascoltare quanto raccontano di lui.
Come sempre proponiamo alcune citazioni dal nostro testimone
«Dopo duemila anni di cristianesimo e a vent’anni dalla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, assistiamo a forme di rinascita del sacro e ad una nuova divaricazione fra fede e vita. La realtà del mondo appare oggi complessa, difficile, aspra. È preferibile, per molti, metterla tra parentesi e vivere la fede a fianco, a lato della vita, in una zona ben protetta…»
«La GiOC nasce nella Chiesa e dalla Chiesa. Riceve il dono della memoria vivente del Cristo e fa l’esperienza della Chiesa come madre. C’è un cordone ombelicale che ha fatto nascere e crescere la GiOC.»
«La GiOC vive questa fede in Gesù Cristo in modo originale e fecondo. Riconosce il Figlio di Dio nel figlio del falegname lavoratore, vicino ai poveri; richiama al riconoscimento di tutti i giovani lavoratori come figli di Dio.»
«La GiOC interpella la Chiesa sulla fedeltà alla missione verso un’area di giovani dimenticata e vive questa missione nelle piazze, nelle strade, nei quartieri e nei posti di lavoro.»
«Nel turbine delle trasformazioni che coinvolgono così profondamente tutti i lavoratori, è quanto mai urgente e necessario operare per la formazione di un laicato cristiano nel mondo del lavoro, che sappia orientarsi nella bufera, leggere i segni dei tempi, discernere i valori e i disvalori, portare una testimonianza di Chiesa. Nessun altro nella Chiesa può svolgere questo compito… Non si tratta di portare i lavoratori nella Chiesa, ma di fare germinare la Chiesa nel mondo del lavoro.»
«Cinque punti fermi per il cammino dei gruppi lavoratori, giovani o adulti 1. Maturare una fede ben radicata nel Signore Gesù. La riflessione su Gesù consente uno sguardo profondo, di fede sull’impegno del cristiano nella storia. 2. Un fede incarnata nelle condizioni di lavoro e nella cultura del lavoro, oggi. Una fede capace di dialogare con e di valorizzare le culture del lavoro, ma anche una fede incisiva, che sappia contrastare le derive individualiste e utilitariste. 3. Una fede che porta all’azione e che nasce nell’azione. La fede nel Cristo risorto spinge i cristiani all’azione per la trasformazione del mondo a misura dell’uomo. 4. Una fede vissuta con altri. La grande sfida odierna è quella dell’individualismo: l’uomo solo che si batte nella competizione globale e in una società ancora in larga parte massificata. La fede cristiana può nascere e crescere solo attraverso la trasmissione dall’altro e dal confronto fraterno. Per questo sono indispensabili i piccoli gruppi di confronto e ricerca, coordinati in Movimenti e Associazioni. 5. In relazione con la comunità cristiana parrocchiale e diocesana. Occorre far vivere la parrocchia in modo missionario, senza dimenticare gli ambienti specifici della missione, fra cui il lavoro.»
«Più cerchiamo di penetrare il mistero del Dio di Gesù Cristo, più siamo indotti a volgere il nostro sguardo e il nostro impegno solidale verso questo mondo in cui viviamo, ad essere sale in questa “terra” fatta di relazioni sociali, di macchine, di capitali, di disoccupati, di aziende che competono sul piano mondiale e di artigiani che si battono per le loro aziende.»
«In questo contesto post-moderno la Chiesa non avverte più l’urgenza della questione-lavoro, si sente attratta da altre priorità e da altre emergenze. La Pastorale sociale e del lavoro rischia una marginalizzazione di fatto, legata anche alla drastica diminuzione del clero, che tocca, ben più proporzionalmente, il mondo del lavoro.»
La Revisione di vita presentata da don Gianni. La Revisione di Vita nasce da un’esperienza il cui protagonista è Joseph Cardijn. I primi anni vanno dal 1921 al 1927. Dovendo prendersi cura di un gruppo di giovani operaie, Cardijn si accorse che non era possibile definire in partenza i valori cristiani. Nella vita di fabbrica nessuno, da solo, neppure il prete, era in grado di farlo. Diede vita allora ai circoli di studio (successivamente chiamati piccoli gruppi, equipes, gruppi militanti), alle inchieste sulle condizioni di vita dei giovani lavoratori. In base ai risultati raccolti vennero lanciate grosse e puntuali azioni rappresentative. Solo dopo parecchio tempo, nel 1937, questa prassi che era alla base della GiOC, venne chiamata stabilmente e definitivamente Revisione di Vita (R.d.V.). L’originalità della R.d.V. si colloca all’interno del rapporto chiesa – mondo e consiste nel superamento di una concezione di queste due realtà come forze estranee e contrapposte. La R.d.V. infatti consente di incontrare la realtà della vita, anche di quegli ambienti che sfuggono alla tutela della chiesa. La R.d.V. si diffuse innanzitutto di pari passo con il Movimento giocista che ebbe una crescita spaventosa in Belgio, Francia, in Europa e nel mondo intero. Ben presto poi l’Azione Cattolica Operaia (ACO) assunse la R.d.V. come strumento fondamentale di lavoro per i gruppi di operai adulti, così come altri movimenti di spiritualità e ordini religiosi (i seguaci di Padre Foucauld, i pradosiani, i salesiani…). Il ’68 invece segna l’inizio della crisi. Due sono le cause più probabili: Il passaggio troppo immediato e ingenuo dalle situazioni al Vangelo. Ci si accorse della necessità di sottoporre i fatti a analisi più scientifiche. I teologici cattolici che non seppero elaborare una teologia rispondente alla pratica originale della R.d.V. Negli anni ’69 – ’70 nasce il tentativo italiano di fondare la GiOC e di usare la R.d.V. con una elaborazione che pare superare alcuni gravi rischi soggiacenti alle impostazioni tradizionali. L’analisi delle situazioni si limitava – in genere – alle conseguenze. Le azioni stesse molto spesso andavano nella direzione di alleviare le conseguenze e non di colpire le cause. La R.d.V. italiana puntò molto sull’analisi delle cause socio-politiche. Si può dire che per qualche tempo questo aspetto abbia assunto un peso predominante e forse eccessivo. Il punto di avvio della R.d.V. è la vita dei giovani assunta da essi criticamente. Il gruppo esercita una vera e propria funzione di interpretazione dei fatti e dei bisogni: opera come filtro critico. Grazie a questa azione il gruppo e il singolo scoprono nel contesto i valori portanti della vita. Nel nostro metodo non abbiamo in partenza un quadro di valori che applichiamo alla realtà, ma riteniamo che questi valori debbano essere scoperti continuamente nella riflessione critica sulla vita. Nel confronto col Vangelo, il riferimento a Gesù avviene gradualmente, senza presupporre la fede. Non è acquisizione di nozioni catechistiche. Bensì si realizza attraverso una vita che si impegna e che si apre al Signore. Per i credenti, poi, la R.d.V. diviene luogo di discernimento. Il credente riassume la propria esperienza umana e la confronta con l’esperienza umana di Gesù. Nel fondo di essa Gesù incontra continuamente la realtà di Dio. Per questo il discernimento sfocia nella celebrazione e nella preghiera e presuppone una sempre crescente conoscenza delle Scritture. La R.d.V. è incompleta, anzi stravolta nel suo significato, se non sfocia nell’azione. L’azione è il volano del processo formativo della GiOC. Senza azione non c’è formazione e crescita del gruppo. Tutte le riflessioni (vedere e valutare) sono orientate all’azione. In questo modo essa è incisiva sulla realtà, è motivata, è illuminata dalla parola di Dio, che può diventare marcia verso Dio.