Il testimone
Qualche mese fa è stato ricordato il centenario della nascita di uno dei più importanti pedagogisti e teorici dell’educazione, il brasiliano Paulo Freire.
Il suo pensiero e la sua pratica educativa hanno influenzato innumerevoli studiosi, insegnanti e organizzazioni nel mondo. L’eredità della sua proposta, basata sui valori quali umiltà, empatia, amore, speranza e dialogo è attuale anche oggi, pur con il mutamento del contesto complessivo.
La centralità dell’educazione e il suo significato, sia sotto il profilo della crescita personale sia nei suoi risvolti sociali e politici, nonché la forte sottolineatura del corretto rapporto tra educatore ed educando, sono estremamente significativi e andrebbero rilanciati, ad esempio per guidare una seria riforma della scuola.
La vita
Paulo Reglus Neves Freire nacque a Recife, la capitale dello stato del Pernambuco e terza città del nord-est del Brasile, il 19 settembre del 1921, in una famiglia della classe media, che però conobbe la povertà a causa della grande depressione del 1929. La madre era di religione cattolica, mentre il padre era uno spiritualista: questa differente appartenenza ha generato nella famiglia un intenso confronto che ha insegnato al giovane Paulo l’importanza del dialogo. Nel 1932 i Freire si trasferirono a Jaboatão, dove Paulo completò la scuola primaria.
Dopo il ritorno a Recife completò l’iter scolastico nel Collegio Oswaldo Cruz e, grazie a un miglioramento della situazione economica familiare, si iscrisse alla facoltà di legge dell’Università della città nel 1943, studiando anche filosofia e psicologia del linguaggio, insegnando nel contempo portoghese in una scuola secondaria, dove conobbe Elza Maia Costa de Oliveira, sua collega, che sposò nel 1944. La coppia lavorò insieme fino alla prematura scomparsa di lei ed ebbero cinque figli.
Dopo la laurea e diventato avvocato in realtà non esercitò davvero la professione, scegliendo di proseguire con l’insegnamento. Nel 1946, Freire fu nominato direttore del Dipartimento di Educazione e Cultura del Servizio Sociale nello Stato del Pernambuco, del quale divenne poi soprintendente. È questa struttura che ebbero inizio le sue esperienze educative e costruì le basi del suo metodo di alfabetizzazione degli adulti, anche grazie alla collaborazione con il Movimento di Cultura Popolare di Recife.
Nel 1961 fu nominato direttore del Dipartimento per l’Espansione Culturale dell’Università di Recife e nel 1962 ebbe la prima opportunità di applicare in modo esteso le sue teorie, quando 300 lavoratori della canna da zucchero impararono a leggere e a scrivere in 45 giorni. A seguito di questo esperimento di successo il governo brasiliano approvò la creazione di migliaia di circoli culturali nel paese dedicati all’alfabetizzazione.
Nel 1964 il colpo di stato militare che diede inizio al regime dei generali pose fine a questo impegno. Freire fu arrestato come «traditore» e incarcerato per 70 giorni; liberato scelse la via dell’esilio, prima in Bolivia per un breve periodo, come consulente di un dipartimento del Ministro della Pubblica Istruzione e poi in Cile, non sopportando l’altitudine di La Paz, dove rimase per cinque anni lavorando presso il Movimento Cristiano Democratico di Riforma Agraria e per l’UNESCO. In quel periodo, precisamente nel 1967, pubblicò il suo primo libro: L’educazione come pratica di libertà. L’anno dopo scrisse la sua opera più famosa, La pedagogia degli oppressi, pubblicata solo nel 1970 nella traduzione inglese e poi anche nella versione spagnola. Ovviamente in Brasile non venne stampata in lingua originale fino al 1974 a causa dell’ostilità politica al «socialista cristiano» Freire da parte dittatura militare, e la pubblicazione si ebbe quando il generale Ernesto Geisel prese il controllo del Paese e iniziò un processo di liberalizzazione culturale.
Le opere ebbero un successo internazionale e furono accolte positivamente, tanto che fu invitato da alcune università americane a tenere delle conferenze e nel 1969 gli fu offerto un posto di visiting professor all’Università Harvard e un insegnamento a Cambridge. L’anno seguente gli fu chiesto di proseguire la collaborazione con Harvard per tre anni e, contemporaneamente, gli venne offerta una collaborazione con il Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra. Freire scelse questa opportunità di lavoro e per dieci anni, dal 1970 al 1980 visse in Svizzera, impegnato come consigliere educativo speciale nel Consiglio, insegnando anche nell’Università di Ginevra e venendo eletto come presidente dell’Istituto ecumenico del servizio per lo sviluppo dei popoli.
In questo lungo periodo girò il mondo portando le sue idee e la sua esperienza in tutti i continenti e soprattutto nei paesi africani di lingua portoghese.
L’espansione delle sue attività è stato facilitato dalla creazione dell’Istituto per l’Azione Partecipativa (IDAC), fondato nel 1971 a Ginevra da lui stesso insieme ad altri esuli brasiliani. Questo gruppo collaborò anche in Italia alla nascita dell’esperienza delle «150 Ore», negli anni ‘70.
Nel 1979, dopo 16 anni, riuscì a fare ritorno in Brasile, trascorrendovi il mese di agosto, grazie al fatto di aver potuto ricevere il passaporto del suo paese. L’anno seguente vi si stabilì definitivamente a motivo di un’amnistia nel frattempo varata. Nello stesso periodo Freire fu tra i fondatori del Partido dos Trabalhadores (Partito dei Lavoratori, PT), e decise di impegnarsi in esso nella città di San Paolo, e non a Recife dove avrebbe trovato condizioni di lavoro e di libertà d’azione difficoltosi. Dal 1980 al 1986 fece da supervisore al suo progetto di alfabetizzazione degli adulti e dal 1980 al 1990 insegnò all’Universidade Estadual de Campinas, l’ateneo pubblico dello stato di San Paolo.
Nel 1986 ricevette il premio Unesco per la pace e 29 Paesi in tutto il mondo gli conferirono una laurea honoris causa.
Purtroppo nello stesso anno morì la moglie Elza; in seguito, nel 1988, sposò Maria Araújo e continuò con lei il suo lavoro pedagogico alternativo.
Nel 1989, a seguito della vittoria del PT alle elezioni comunali, Freire fu nominato assessore all’educazione della città San Paolo, accettando però l’incarico per soli due anni, allo scopo di riprendere l’attività pedagogica e la scrittura di altri libri, impegni incompatibili con l’incarico amministrativo. In ogni caso mise in atto una grande rivoluzione culturale nell’ambito dell’educazione e dell’istruzione, anche con temi trasversali come l’eco pedagogia.
A seguito di tale esperienza scrisse La città e l’educazione, opera che riunisce alcune delle sue interviste nel corso del 1989, nelle quali affrontò i problemi e le carenza dell’educazione pubblica brasiliana, la necessità di cambiare il sistema scolastico, le sfide della pubblica amministrazione sul tema, l’importanza della alfabetizzazione dei giovani ed adulti e della storia come possibilità.
Il 12 aprile del 1991, secondo la testimonianza di un amico, nel corso di un incontro con insegnanti ed esperti, Freire lanciò l’idea della creazione di un istituto, che prese il suo nome, allo scopo di estendere ed elaborare le sue teorie sull’educazione popolare. Il suo desiderio era quello di trovare un modo per unire persone e istituzioni di tutto il mondo che, mossi dalla stessa utopia di una educazione come pratica di libertà, avessero la possibilità di riflettere, condividere esperienze, sviluppare pratiche pedagogiche in diverse aree del sapere e di contribuire a costruire un mondo con più giustizia sociale e solidarietà. L’istituto ha poi raccolto i suoi archivi personali.
Il 2 maggio 1997 Paulo Freire morì a causa di un attacco cardiaco.
Nel 2007 la moglie Anna Maria ottiene le scuse ufficiali dal governo del Brasile per l’esilio a cui era stato condannato. Scuse che il governo ha esteso «a ogni brasiliano analfabeta».
Il commento
Il più celebre e significativo libro di Paulo Freire si intitola La pedagogia degli oppressi. La copertina, nell’edizione italiana, riporta come sottotitoli due frasi rilevanti: «L’educazione come pratica delle libertà postula una nuova pedagogia. Solo con un’autonoma conquista della parola l’oppresso assume coscienza della propria condizione storica».
Forse alcune espressioni sono desuete e ci ricordano contesti storici di qualche decennio fa, ma, con le dovute attualizzazioni, la sua concezione dell’educazione rimane un importante riferimento: essa si realizza attraverso una comunione tra educatori ed educandi, deve essere saldamente ancorata alla realtà, basata sul dialogo, e il suo scopo è l’emancipazione e la realizzazione delle persone insieme alla trasformazione della società.
La sua pedagogia
La sua visione educativa e didattica risente di un approccio umanistico che pone al centro la persona e la sua crescita, nonché di una prospettiva socio-politica di trasformazione della realtà. I due elementi, quello personale e quello sociale, possono evolvere solo insieme: un individuo più maturo, consapevole e responsabile è in grado di portare un contributo al progresso della società, nel contempo un contesto sociale migliore è più adatto a far crescere meglio le persone.
Una modalità che umanizza i protagonisti, problematizza la modalità di affrontare la vita e le sue dimensioni, culturale economica sociale politica spirituale, per costruire mediante un approccio critico la possibilità di superare coloro che si trovano nella condizione di «scarti», per usare un termine caro a papa Francesco.
Tale prospettiva si contrappone, per il nostro testimone, all’educazione «depositaria» o «bancaria» che si limita a «riempire» gli educandi con contenuti nozionistici da imparare in forma acritica.
Freire distingue infatti tra due modelli educativi, che chiama «depositario» e «problematizzante». Il primo rappresenta l’approccio di stampo classico, quello a cui tutti siamo abituati, dove l’educatore pone la propria conoscenza negli educandi: il loro compito è semplicemente di immagazzinare e ricordare quanto più materiale possibile. Questo modello non stimola alla creatività né alla critica, bensì addestra a rispettare l’ordine del sistema, nella scuola prima e nel lavoro poi. Quanto maggiore sarà la passività imposta, quanto più sarà agevole adattarsi al mondo e trovare la propria forma di ingranaggio per servire al meglio la macchina produttiva. L’educazione diviene quindi pratica di dominio al servizio degli oppressori e non sembra esserci spazio per la trasformazione.
Su un altro versante si colloca la concezione problematizzante, che parte da un assunto completamente diverso. L’educatore mentre educa viene educato, così come l’educando educa mentre viene educato. L’educatore non è più fonte unilaterale del sapere, bensì pone nella materia da conoscere il «luogo di incidenza della riflessione sua e degli educandi», che divengono così ricercatori critici in dialogo con l’educatore, sono messi nella posizione di creare e migliorare, verso la finalità ultima di rendere se stessi migliori e il mondo più “umano”.
La basi del sistema educativo
Nel suo modello educativo la comunicazione rappresenta un aspetto basilare. Essa può esprimersi solo con un rapporto paritario, di dialogo, pur nei differenti ruoli. Si tratta di una seria riproposizione del significato profondo e originale dell’educazione, come e-ducere, tirare fuori. Il discente non è semplicemente un contenitore da riempire dal docente al quale appartiene la conoscenza, sono entrambi protagonisti di una relazione educativa che permette al primo di crescere e svilupparsi, e al secondo di essere strumento di tale crescita e di migliorare grazie al confronto e all’esperienza. Ovviamente il metodo non può essere autoritario.
Se si desidera sintetizzare in due parole la sua concezione, esse potrebbero essere fiducia e amore. Il primo rappresenta l’elemento essenziale della pedagogia, ovvero l’imprescindibile rapporto di fiducia che deve esserci fra educatore ed educando: unico fattore in grado di portare a una relazione costruttiva. Il secondo è la condizione necessaria per tale dialogo: l’amore per le persone e per il mondo. Se questo è presente non ci può essere oppressione; l’amore deve essere il motore di ogni trasformazione, lui parlava di «rivoluzione», la forma trainante del mondo: è necessario tornare ad amare per tornare a una vera umanità.
Teoria e prassi
La metodologia di Freire fu determinata da una relazione dialettica tra teoria e pratica. Per lui l’azione e le tecniche che la supportano sono la base della conoscenza, dalla quale si costruisce una metodologia che guiderà la pratica trasformandola. Il contesto di riferimento è definito dalle persone coinvolte e dal loro ambiente, per cui il metodo e gli strumenti dipendono da tale contesto.
Il dialogo tra educatore ed educando, che è una relazione orizzontare, tra pari, consente una comunicazione in grado di realizzare il rapporto educativo, la crescita e gli apprendimenti.
È importante sottolineare come il suo “manuale”, la sua metodologia e le attività, siano frutto di molti anni di ricerche sul campo e di esperienze educative da lui realizzate in prima persona. Ciò si evince dai suoi libri, sei quali è possibile trovare esposizioni dettagliate.
Educazione come liberazione
Uno dei suoi obiettivi principali è legato alla situazione economica e sociale di molti paesi dell’America meridionale e centrale, nei quali la presenza di poveri e oppressi era evidente, e forse lo è ancora oggi, come in altre parti del mondo: la loro liberazione, la possibilità di crescere e realizzarsi come persone e come comunità. Perché la pedagogia funzioni essa deve essere adatta e adattata al contesto nella quale si utilizza, tenendo conto della storia, della situazione colturale, del grado di coscienza delle persone della loro situazione: è necessario dunque che ogni percorso sia differente e idoneo per quel preciso contesto. È poi indispensabile che ogni persona e gruppo si “liberi” da solo, con l’aiuto degli strumenti messi a disposizione, per evitare che gli oppressi affrancati diventino a loro volta oppressori, per ottenere questo ciascuno deve maturare una propria coscienza “liberata”.
Spunti dalla sua esperienza
Conoscere la vita di una persona contribuisce a comprendere le sue caratteristiche. Le esperienze personali che hanno caratterizzato la sua crescita hanno influito molto sulle sue scelte e sul suo impegno nei confronti dei più deboli. Avere sperimentato sulla sua pelle il significato delle difficoltà economiche e dei problemi conseguenti gli hanno consentito di maturare una forte sensibilità nei confronti dei poveri e della necessità di un’azione affrancatrice.
È stato quindi un leader nella lotta per la liberazione degli umili, dei settori emarginati della popolazione che sono culturalmente messi a tacere in molte parti del mondo, spendendosi in attività concrete nel suo campo professionale e allargando l’orizzonte all’impegno politico e amministrativo.
Come tanti altri, Freire subì le ripercussioni del regime dittatoriale dei generali che governò il Brasile dal 1964 al 1985, poiché la sua attività fu giudicata “sovversiva”. Venne incarcerato e in seguito fu costretto all’esilio. Ha pagato di persona per le sue scelte, ma nel contempo ha utilizzato le opportunità offerte dal vivere in altri paesi.
L’educazione come priorità
In un mondo nel quale continuano a esserci persone e gruppi sociali ai quali è preclusa una crescita adeguata e, nelle società più progredite, come l’Italia, la constatazione della crisi dell’ascensore sociale, praticamente fermo, il lascito di Freire è ancora quanto mai attuale.
L’importanza dell’educazione, della formazione, di un corretto apprendimento, la centralità quindi del sistema scolastico e delle agenzie educative dovrebbero spingere la società e chi ha ruoli di responsabilità a uno straordinario impegno e a investimenti adeguati pallo scopo di consentire a tutti, e alle giovani generazioni in particolare, di crescere adeguatamente.
Le fonti
La modalità più importante per avvicinare Paulo Freire è leggere i suoi libri, a partire dal già citato La pedagogia degli oppressi del 1968 e da L’educazione come pratica di libertà, pubblicato l’anno precedente. Nel primo, che è una sorta di manifesto della sua visione educativa, Freire consegna in eredità un messaggio con un intento ben preciso, chiarificato solamente nelle ultime righe del suo lavoro: «Se nulla resterà di queste pagine, speriamo che resti almeno la nostra fiducia nel popolo. La nostra fede negli uomini e nella creazione di un mondo dove sia meno difficile amare».
Sulla scia dell’Istituto Paulo Freire nato in Brasile anche in altri paesi si sono sviluppate iniziative analoghe. In Italia è attiva un’Associazione Istituto Paulo Freire, che dal 2005 si impegna a diffondere la sua opera nel nostro contesto. Nel sito dell’organizzazione sono disponibili articoli, una biblioteca virtuale con documenti e video, una biografia di Freire, collegamenti con gli altri Istituti sparsi nel mondo.
La bibliografia sul nostro testimone è ampia e semplice da reperire; nei mesi scorsi, in occasione del centenario dalla nascita, sono stati pubblicati alcuni articoli che ricordano la sua figura. Interessante è l’iniziativa del quotidiano Il Manifesto che ha realizzato un ciclo di podcast intitolati «Leggere il mondo con Paulo Freire».
Rai scuola mette a disposizione un filmato del 1989, tratto dal programma Dialoghi con Paulo Freire, nel quale egli espone i principi della sua pedagogia, sollecitato dalle domande di alcuni docenti. Sono poi fruibili altri video con sue interviste e conversazioni o sulla sua pedagogia.
Ecco, infine, alcune citazioni del nostro testimone.
«La educazione è un atto d’amore.»
«La vera generosità consiste precisamente nel combattere per distruggere le cause che alimentano la falsa carità.»
«Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo.»
«Lavarsi le mani dal conflitto tra i potenti e gli impotenti significa schierarsi con i potenti, non essere neutrali.»
«I leader che non agiscono dialogicamente, ma insistono nell’imporre le loro decisioni, non organizzano le persone, le manipolano. Non liberano, né sono liberati: opprimono.»
«La gioia non arriva alla scoperta, ma fa parte del processo di ricerca.»
«L’oppressione è nutrita dall’amore per la morte e non dall’amore per la vita.»
«Non sono nel mondo semplicemente per adattarmi ad esso, ma per trasformarlo.»
«Se la struttura non consente un dialogo, la struttura deve essere modificata.»
«Solo il potere che nasce dalla debolezza degli oppressi sarà abbastanza forte da liberare tutti.»
«La liberazione è una prassi: azione e riflessione sul mondo per trasformarla.»
«La libertà è acquisita attraverso la conquista, non come un dono. Deve essere eseguito costantemente e in modo responsabile.»
«La ricerca della piena umanità non può essere condotta in modo isolato o individualistico, ma in comunione e solidarietà.»
«Per funzionare, l’autorità deve essere dalla parte della libertà, non contro di essa.»
«La pedagogia degli oppressi, smette di essere l’oppressa e diventa la pedagogia degli uomini nel processo di liberazione permanente.»
«La parola non è un privilegio di poche persone, ma il diritto di tutte le persone.»
«Guardare al passato dovrebbe essere solo un modo per comprendere più chiaramente chi e cosa siamo, al fine di costruire il futuro in modo più intelligente.»
«Uno dovrebbe cercare di vivere con gli altri in solidarietà … solo attraverso la comunicazione umana la vita può trovare significato.»
«La lingua non è mai neutrale.»
«Non c’è dialogo se non c’è umiltà, né se non c’è una fede forte e incrollabile negli esseri umani.»
«Nessuna persona ignora tutto. Nessuno sa tutto. Sappiamo tutti qualcosa. Tutti ignoriamo qualcosa. Ecco perché impariamo sempre.»
«Se l’istruzione da sola non trasforma la società, senza di essa non cambia nemmeno la società.»
«L’educazione scaturisce dalla relazione tra insegnante e alunno, mediata dall’oggetto dell’insegnamento che deve sollecitare lo studente, invitandolo a partecipare senza metodi autoritari.»