Il fatto
Nelle scorse settimane in Italia vi sono state manifestazioni studentesche che hanno visto una forte partecipazione di giovani. Le questioni affrontate sono molte e di varia natura. I due fatti che hanno provocato la reazione sono legati all’alternanza scuola-lavoro e all’esame di maturità.
Il primo è il terribile incidente nel quale ha perso la vita Lorenzo Parelli, uno studente diciottenne che è morto l’ultimo giorno del suo tirocinio lavorativo in una fabbrica di Udine. Il 28 gennaio sono state organizzate manifestazioni a seguito di questa tragedia e il 4 febbraio in decine di città le proteste si sono allargate come numero e hanno portato alla ribalta anche il tema dell’esame di maturità. Le manifestazioni sono proseguite nelle settimane successive e in molti istituti sono scattate le occupazioni.
Il 28 gennaio sono emersi metodi violenti usati in alcuni casi dalla polizia: sono stati diffusi infatti dei video nei quali è possibile vedere le forze dell’ordine prendere a manganellate studenti disarmati in alcune città, quali Milano, Torino e Napoli. Ciò ha generato dure reazioni da parte degli studenti stessi, dell’opinione pubblica e della politica. La ragione delle pesanti reazioni sono state giustificate da una direttiva ministeriale, dovuta alla pandemia, che impone alle manifestazioni pubbliche di essere «in forma statica»: tali reazioni sembrano essere avvenute quando gli studenti hanno cercato di mettersi in marcia formando cortei. Sembra che, dopo gli incidenti, dal ministero sia arrivata ai prefetti un’indicazione di usare intelligenza e flessibilità nell’affrontare quelle situazioni (peraltro già utilizzate nel caso di alcuni cortei no green pass).
Le principali organizzazioni degli studenti, dunque, hanno deciso di protestare, ponendo in risalto un altro importante e più profondo elemento: il coinvolgimento, l’ascolto degli studenti. Le modalità con le quali il dicastero dell’istruzione prende le decisioni è da loro giudicato verticistico e privo del necessario confronto con chi vive tutti i giorni la scuola.
Vi sono poi altri fattori posti in risalto dalle associazioni, e fra questi soprattutto le difficoltà didattiche e psicologiche derivanti dai due anni di pandemia, con lunghi periodi di chiusura delle scuole, didattica a distanza, assenze per Covid. Gli studenti dunque segnalano un problema legato alla qualità e alla quantità dello studio e le conseguenze sulla salute mentale degli adolescenti. Su queste ultime i dati emergenti da ricerche italiane e internazionali mostrano come le limitazioni alla socialità e i periodi di isolamento abbiano avuto soprattutto sui giovani importanti ripercussioni psicologiche, quali ad esempio ansia e depressione, fenomeni poco considerati dal ministero e sovente anche dai dirigenti scolastici, a detta delle organizzazioni studentesche. Come già per la didattica a distanza all’inizio della pandemia, la difficoltà delle scuole di fornire un sostegno psicologico agli studenti o di agire efficacemente lì dove si manifestano situazioni di disagio mette in luce i problemi strutturali della scuola italiana, e di questo gli studenti si sono dimostrati consapevoli, portando in piazza non tanto una contrapposizione fra loro e il corpo docente, quanto fra le loro istanze e il decisore politico, incaricato di rispondere alle necessità contingenti e strutturali della scuola.
Il commento
I fatti di queste settimane sono, a nostro parere, da porre in risalto e devono stimolare riflessioni e risposte.
Gli studenti coinvolti nella riforma della scuola
Due considerazioni sono importanti. La prima riguarda la richiesta da parte dei giovani di essere protagonisti delle scelte riguardanti la scuola e le sue riforme. Non vi è dubbio che il sistema formativo italiano necessiti di un profondo rinnovamento, sia sotto il profilo educativo, sia per quanto concerne gli elementi più prettamente “scolastici”.
La scuola è una delle principali agenzie educative e dovrebbe svolgere appieno il suo ruolo di contribuire al completo sviluppo di un persona, sotto tutti gli aspetti: intellettivi, valoriali, comportamentali, ecc. Oggi gli esperti non considerano più l’intelligenza in un modo univoco, ma tendono a parlare di “intelligenze”, al plurale: la preparazione dunque deve tener conto di una serie di competenze utili alla realizzazione personale, all’essere cittadini consapevoli e responsabili, all’essere capaci di socialità e inclusione, all’inserimento nel mondo del lavoro. Per questo motivo, per favorire un continuo progresso dei percorsi scolastici c’è anche bisogno del contributo delle studentesse e degli studenti. Infatti, sistemi scolatici più avanzati del nostro, come quello finlandese, considerato il migliore al mondo, ad esempio, hanno posto proprio la collaborazione come uno dei propri elementi fondamentali. E ciò vale sia per le scelte che sono competenza del ministero, sia per la gestione degli istituti, sia, in particolar modo, quella della didattica: il coinvolgimento degli allievi, secondo modalità differenti a seconda dell’età, può diventare un fattore decisivo di innovazione verso una scuola migliore.
Sotto questo aspetto, la speranza è che le sei riforme previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (riorganizzazione del sistema scolastico, formazione del personale, procedure di reclutamento, sistema di orientamento, riordino degli istituti tecnici e professionali e degli istituti tecnici superiori) contribuiscano a mettere l’istruzione al centro della crescita del Paese e siano realizzate anche con l’apporto dei giovani, in modo da ricucire i rapporti fra vertice politico e mondo della scuola.
Giovani e politica
La seconda considerazione concerne il più vasto tema del rapporto tra le giovani generazioni e la politica.
Le manifestazioni di questo periodo sono delle prese di posizione politiche, in particolare laddove sollecitano una forte attenzione al protagonismo, alla didattica, alle problematiche legate alla qualità della vita. A queste si aggiungono poi altre tematiche, come quella ambientale, ad esempio, che ha visto gli studenti coinvolti in manifestazioni pacifiche e di impatto sul resto dell’opinione pubblica.
Nonostante questo, il mondo politico non sembra essere particolarmente attento a quanto emerge dai giovani e i partiti soffrono sempre di più un loro allontanamento. La politica genera nei giovani disinteresse, sfiducia, molto probabilmente per un’incapacità di questa a utilizzare strumenti, linguaggi, modalità loro vicine e comprensibili. Ciò non significa una deriva banalmente “giovanilista”, ma porsi seriamente e costruttivamente il problema, essere disponibili a un vero dialogo, ad aprire davvero “le porte”.
I dati sul rapporto tra giovani e politica e quelli che le Piccole Officine Politiche hanno raccolto in tre anni di intense attività in scuole e gruppi giovanili non ci dicono che la politica non interessa in assoluto, bensì non interessa fare politica in modo “tradizionale” e che molte valutazioni negative derivano da alcune modalità distorte con le quali la politica è trasmessa, da preconcetti degli adulti, da una scarsa conoscenza del tema. Quando invece sono coinvolti correttamente i giovani dimostrano di comprendere il senso del fare politica e dell’amministrare, i valori ai quali dovrebbe ispirarsi una politica che persegua il bene comune, l’importanza e le difficoltà della gestione della cosa pubblica.
Guadagnare i giovani alla buona politica dovrebbe essere un compito centrale per tutte le agenzie educative e un obiettivo che la società nel suo complesso dovrebbe prefiggersi. Compito non semplice, certamente, dato anche il crescente divario generazionale generato dall’innovazione tecnologica e dai suoi effetti sulla vita quotidiana delle persone, che in molte cose rende di fatto impermeabili l’uno all’altro il mondo dei giovani, soprattutto adolescenti, e quello degli adulti. Ciò può portare a incomprensioni e a interpretare alcuni comportamenti dei giovani, come ad esempio la scarsa regolarità e assiduità nell’impegno sociale, semplicemente come degenerazione o indifferenza verso il bene comune. In un tale contesto, quindi, ci sembra rilevante sottolineare sia l’importanza di quei luoghi, come parrocchie, associazioni, movimenti, partiti, in cui si può fare concreta esperienza di intergenerazionalità e creare un dialogo fra adulti e giovani volto a comprendere le idee e le istanze gli uni degli altri, sia la creazione, in questi spazi, di percorsi di accompagnamento dei giovani alla maturazione di scelte di impegno consapevoli e autonome.
Insomma, le proteste degli studenti di queste settimane richiamano l’attenzione delle istituzioni e di tutta la società non solo sui problemi puntuali della scuola, che pure sono molti e aggravati da due anni di pandemia, ma più in generale richiedono di mettere al centro del dibattito la situazione dei giovani e le modalità con cui accoglierne le istanze e farli appassionare alla cura del bene comune.
Le fonti
Una documentazione sulle vicende affrontate sono semplicemente reperibili dai mazzi di informazione, anche sul web.
Informazioni sull’alternanza scuola-lavoro sono presenti in un sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
L’Istituto Giuseppe Toniolo pubblica annualmente un rapporto sulla condizione giovanile in Italia. In quello del 2021 viene affrontato il tema della scuola e l’edizione del 2018 si è occupata del sistema formativo e del rapporto con la politica.
Tale argomento è stato affrontato in qualche libro: Giovani politica società di Terenzio Fava e Elisa Lello, pubblicato nel 2019; Giovani e società in Italia tra XX e XXI secolo. Consumi, demografia, genere, istruzione, movimenti migratori, politica di Luca Gorgolini e Laura Gobbi edito nel 2020.