Referendum: tre scelte

Le elettrici e gli elettori italiani sono chiamati alle urne per esprimersi in merito a cinque referendum sul tema della giustizia. Desideriamo, a questo proposito, fornire un piccolo contributo di riflessione, a partire dalle tre possibilità offerte alla persona: votare a favore, esprimere il proprio no, astenersi. Secondo lo stile che ci contraddistingue, vogliamo fornire questi spunti non tanto per indicare un posizionamento, ma per offrire strumenti di riflessione personale e autonoma sui temi che interessano la vita della nostra società.

Ecco perché proponiamo altrettante prese di posizione.

In queste settimane, per la verità non in modo così massiccio, i mezzi di comunicazione hanno affrontato i temi in questione. Poco prima del voto invitiamo a un ultimo sforzo di attenzione e di personale valutazione.

Le ragioni del SI’

Nessuno ha dichiarato guerra ad alcuno e se qualcuno si sente attaccato, allora questa “sì”, sia occasione di riflessione e di pace! 

La questione “giustizia” è calda, da anni. Rappresenta il tema più demagogico evocato in ogni campagna elettorale, il totem che tutti i partiti (o pretesi tali) evocano nei loro programmi, temendone invero le fluide connessioni di potere. 

Ed infatti essa rimane “questione”, senza mai diventare “soluzione”. 

L’appuntamento referendario, pur senza alcun brio, ripropone dunque temi noti. 

Dire che lo strumento referendario sia inadeguato per decidere su temi “così delicati”, “lontani dalla gente”, così “tecnici” – e che il Parlamento, e non il referendum, dovrebbe risolvere la “questione giustizia”, o che la riforma deve essere “politica”, e così via – è un atteggiamento prevedibile di chi vuole procrastinare le soluzioni. 

Infatti, così come avvenuto per mille altre riforme (si pensi alla prescrizione o alla spazza-corrotti), al momento di decidere prevale non già il compromesso, che sarebbe frutto dell’azione fisiologica della politica, ma il giustizialismo urlato che porta voti. 

E l’effetto negativo lo abbiamo davanti agli occhi, ovvero un codice di procedura penale bombardato da “bis”, “ter”, “quater”, postille, articoletti ed altre “soluzioni” che mortificano tutti: giustizia, garanzie, diritti. 

La quasi totalità dei Magistrati son persone per bene che lavorano un sacco, che vivono lo scrupolo della loro “funzione”, che sanno che il loro “sistema” è affaticato, in crisi. 

Altri, anche solo perché sinceramente convinti di agire per il bene della collettività o di esser nel giusto, vanno oltre i pesi e i contrappesi costituzionali in materia di garanzie, diritti e libertà lasciando con larghe ferite al sistema. 

E non si dica che la Magistratura sia impermeabile alla politica. 

Quindi: andare a votare, anche questa volta, è partecipare a una battaglia di civiltà, anche se non si decide di aborto, eutanasia, divorzio. 

Infatti, i temi sul tavolo sono vicinissimi agli elettori e ai cittadini: la misura dell’impatto delle decisioni dei Giudici sulla vita di essi è tale che l’effetto può essere devastante e irrimediabile. Diventare indagato, poi imputato, essere condannati, e magari poi assolti, può determinare la morte civile di una persona, di un’impresa di una famiglia. 

L’occasione del voto è allora utile per poter affermare (ancora una volta…) che il diritto e le garanzie devono prevalere sul luogo comune, sul giustizialismo, sull’affarismo correntizio. 

Tali mali sviliscono il principio per cui “la giustizia è amministrata in nome del popolo” e “che sia uguale per tutti”. 

In sintesi, allora e di seguito, i 5 quesiti prendendo spunto dagli argomenti proposti dal comitato referendario per il “SI’”: 

Quesito 1 – Abrogazione della legge Severino.

la legge Severino ha introdotto la decadenza automatica di sindaci e amministratori locali condannati creando vuoti di potere e sospensione temporanea dai pubblici uffici di innocenti poi reintegrati al loro posto. Il referendum restituisce ai Giudici la facoltà di decidere se applicare o meno l’interdizione dai pubblici uffici. Nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata il pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente. 

Quesito 2 – Misure cautelari.

Ogni anno migliaia di innocenti vengono privati della libertà senza che abbiano commesso alcun reato e prima di una sentenza anche non definitiva. Circa mille persone all’anno vengono incarcerate e poi risulteranno innocenti. Tra le motivazioni che giustificano l’applicazione della misura cautelare in carcere quella del rischio di recidivanza spesso è lo strumento con cui applicare la misura restrittiva al di fuori di una valutazione critica e proporzionata al caso concreto. Votando SI si chiede che i Giudice applichi criteri valutativi approfonditi e non automatismi formali. 

Quesito 3 – Separazione delle funzioni.

Sulla separazione delle carriere c’è poco da dire: se giudicante e PM sono colleghi l’arbitro del processo non è terzo e quello che ci rimette e, senza dubbio, il cittadino. 

Quesito 4 – Abrogazione del filtro delle firme per la presentazione delle candidature al Csm.

Nel valutare la “bravura di un magistrato”, la sua carriera, le statistiche dimostrano ad oggi che essa procede per scatti automatici al di fuori di qualsiasi verifica di adeguatezza alla funzione. Votando SI sono estesi i parametri di verifica della professionalità nel tempo. 

Quesito 5 – Valutazione degli avvocati sull’operato dei magistrati nei consigli giudiziari.

Il CSM è governato dalle correnti. Votando Si si vuole contrastare questo fenomeno consentendo anche al singolo magistrato di candidarsi 

L’affare PALAMARA ha svelato il sipario su pratiche quantomeno poco opportune nel sistema delle nomine e del governo della Magistratura. 

Ecco, in sintesi, la ragione del perché conti andare a votare, e del perché conti proprio votare SI’: 

indurre e aiutare la Politica a decidere di riformare lo stato delle cose 

Perché il sistema attuale è così compromesso che è in ballo la stessa democrazia! 

Massimo Davi

Le ragioni del NO

Una premessa: i 5 quesiti referendari, sui quali i cittadini saranno chiamati a pronunciarsi il prossimo 12 giugno, hanno un significato politico che trascende largamente il loro contenuto tecnico; e ciò rende inevitabilmente controverso e problematico definire i possibili effetti politici di un voto positivo o di un voto negativo su ciascuno di essi; tuttavia a mio avviso più ragioni, di merito e di significato generale, suggeriscono di votare no e di avanzare critiche all’uso che viene fatto in questa circostanza dell’istituto referendario.

Che il nostro sistema giustizia necessiti di essere riformato è indubbio, ma nessuno dei cinque quesiti appare in grado di risolvere alcuno dei problemi che lo affligge, a partire da quello sicuramente più grave della lunghezza dei processi. Tre dei cinque quesiti, peraltro, riguardano questioni che vengono affrontate (e in maniera equilibrata) nell’ambito della complessiva riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura approvata lo scorso 4 maggio alla Camera (A.C. 2681), e in discussione al Senato dal prossimo 14 giugno. 

Nel merito:

Quesito 1 – Abrogazione della legge Severino.

Il quesito investe l’intera legge Severino e comprende tutte le norme che prevedono l’incandidabilità e/o la decadenza per coloro che sono stati condannati (in via definitiva per i membri del Parlamento, anche con sentenza di primo grado per chi ricopre cariche elettive nelle amministrazioni locali) a una pena superiore a due anni di reclusione per una serie di reati. 

L’effetto dell’eventuale abrogazione referendaria è quello di rimuovere tutte le norme che prevedono cause ostative all’assunzione o allo svolgimento di cariche elettive e di governo, derivanti da una condanna penale anche per reati particolarmente gravi. Su alcuni parti della Legge Severino, soprattutto ove prevede di rimuovere dalla carica gli amministratori locali colpiti da una sentenza di condanna non definitiva, a dispetto della presunzione di non colpevolezza, è sicuramente opportuno aprire una discussione e prendere in considerazione l’ipotesi di puntuali modifiche, ma non credo che si debba rinunciare in toto a un importante strumento di contrasto della corruzione e delle infiltrazioni da parte delle mafie nelle amministrazioni locali e nelle istituzioni politiche.

Quesito 2 – Misure cautelari.

L’effetto della abrogazione sarebbe quello di far venire meno la possibilità per il giudice di disporre una qualche misura cautelare quando si teme che l’imputato reiteri il medesimo reato (salvo che ciò avvenga con l’uso di armi o di altri mezzi di violenza o si tratti di un delitto di criminalità organizzata). 

Se il quesito venisse approvato l’ordinamento si priverebbe di uno strumento importante a garanzia della sicurezza dei cittadini: non sarebbe infatti più possibile disporre neppure un obbligo di firma, un divieto di avvicinamento, la sospensione dall’esercizio di una attività economica ecc., per reati seriali (che non vengono solitamente commessi attraverso l’uso di armi o altri mezzi di violenza) come ad esempio lo stalking, i maltrattamenti in famiglia, le truffe agli anziani, i reati fiscali e finanziari…

Quesito 3 – Separazione delle funzioni.

Attraverso una sofisticata tecnica di ritaglio il quesito propone di abrogare la possibilità per i magistrati di passare nel corso della carriera dall’esercizio delle funzioni requirenti a quello delle funzioni giudicanti e viceversa. 

Attualmente la legge consente fino a quattro passaggi complessivi, mentre la riforma in corso di approvazione in Parlamento prevede che vi possa essere solo più un passaggio, ed entro i primi dieci anni dall’assunzione delle funzioni. 

Io credo che separare del tutto le funzioni come prevede il quesito, o le carriere come in realtà vorrebbero i promotori, non aumenti affatto le garanzie per gli imputati, ma al contrario rischi di irrigidire e sclerotizzare l’esercizio della funzione requirente e alla fine di schiacciare il pubblico ministero sulla logica meramente accusatoria.

Quesito 4 – Abrogazione del filtro delle firme per la presentazione delle candidature al Csm.

Abrogare il filtro delle firme (da 25 a 50) per presentare una candidatura, consentendo a ciascun magistrato eleggibile di candidarsi liberamente senza il sostegno di 25 colleghi, non credo possa in qualche modo risolvere o contribuire a risolvere il problema delle degenerazioni correntizie. Queste richiedono e sollecitano ben altre risposte, a partire, sul piano normativo, da una più complessiva e organica riforma che, oltre al sistema elettorale, investa ad esempio le disposizioni che regolano il sistema delle carriere, il conferimento degli incarichi direttivi e semi direttivi, gli illeciti disciplinari e il relativo giudizio, nonché le disposizioni che disciplinano l’assunzione di cariche politiche e di incarichi politici da parte dei magistrati. Una riforma complessiva che è in corso di approvazione in Parlamento e che ha già ricevuto il voto favorevole della Camera dei deputati. 

La riforma del sistema elettorale dei membri togati e più in generale del Consiglio Superiore della Magistratura, peraltro, non credo debba avere come obiettivo quello di vietare o di cercare di eliminare il pluralismo associativo dei magistrati – che per alcuni versi riflette il carattere plurale dell’ordinamento costituzionale – ma quello di contrastarne le degenerazioni e il connesso impoverimento etico. Quest’ultimo e la logica della clientela – non il pluralismo culturale e professionale – rischiano infatti di compromettere la credibilità dell’intera magistratura e per questa strada la fiducia dei cittadini nella giurisdizione e nella sua capacità di rendere “giustizia”.

Quesito 5 – Valutazione degli avvocati sull’operato dei magistrati nei consigli giudiziari.

Il quesito mira a estendere ai membri non togati dei consigli giudiziari, cioè avvocati e professori, il diritto di voto anche sulle delibere relative a carriera e status dei magistrati, come ad esempio quelle contenenti pareri su valutazioni di professionalità, collocamenti a risposo, dimissioni, concessioni di titoli onorifici, riammissioni in servizio, ecc.). 

Non credo che l’eventuale partecipazione di un avvocato o di un professore a una valutazione collegiale relativa alla professionalità di un magistrato (nell’ambito di un collegio in cui la maggioranza dei componenti è comunque costituita da magistrati) possa intaccare la fondamentale esigenza di garantire l’indipendenza della magistratura: tuttavia, anche in questo caso, la questione sollevata dal quesito è affrontata nell’ambito della riforma già approvata dalla Camera, con un compromesso ragionevole che estende agli avvocati il diritto di voto (anche sulle delibere relative alla carriera dei magistrati) ma in quanto espressione dei locali consigli dell’ordine, e non come singoli.

Referendum insomma in parte inutili: perché non risolvono di fatto alcuno dei  problemi che pur meriterebbero di essere risolti, e perché superati dal proficuo lavoro del Parlamento che a brevissimo dovrebbe tradursi in legge; e referendum in parte “dannosi”: non solo e non tanto per il carattere strumentale, ma per alcuni concreti effetti che rischierebbero di indebolire l’azione di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata, e di prevenzione dal rischio di reiterazione di alcuni reati nei confronti soprattutto delle donne, degli anziani e di soggetti più fragili.

Andrea Giorgis

Le ragioni dell’astensione

Ho deciso che la prossima domenica, per la prima volta nella mia vita, non andrò a votare. Non mi ha convinto per nulla chi sostiene che i referendum di domenica possano essere l’ennesima premessa per una riforma della giustizia, né chi vede nei referendum un pericoloso contenuto eversivo. Non credo nemmeno che ci troviamo di fronte a uno dei grandi crocevia sociali, etici o politici su cui è giusto chiedere il parere dei cittadini. Credo invece che vada in scena l’ennesima resa della politica e del Parlamento: la natura stessa dei quesiti e la complessità dei temi che richiamano avrebbero avuto bisogno di una politica che sapesse affrontarli a quell’altezza, e di un Parlamento, a cui tocca proprio questo compito, che sapesse decidere. Invece siamo vittime dell’ennesima semplificazione, demagogica o giacobina, fate voi, il cui risultato sarà di lasciare ancora una volta aperto lo scontro sulla giustizia, la lite nella e con la magistratura, e di mantenere viva una pericolosa ferita istituzionale. È un po’ come se un gruppo di chirurghi litigiosi e poco responsabili dicesse al paziente di operarsi da solo, senza preoccuparsi del risultato.

Eppure, l’urgenza di una discontinuità e di una politica più responsabile sono evidenti: alla base del governo Draghi c’è anche lo sbriciolamento del sistema dei partiti e della politica, c’è la pessima figura fatta con l’elezione del Presidente della Repubblica, c’è la quotidiana lite da cortile, con annessi numeri da avanspettacolo, che gran parte delle forze politiche italiane mette in scena sul dramma della guerra. Intendiamoci, ovviamente non tutti sono uguali. 

Ma per la politica forse è ora di riprendere in mano il tema: la sua crisi e quella della democrazia, purtroppo, sono intimamente legate tra loro. Entrambe sono su un pericoloso piano inclinato, e il motivo per cui domenica si terranno i referendum (il motivo, non i quesiti), e forse anche l’affluenza, non aiuteranno a invertire la tendenza. Ci vuole discontinuità, ci vuole responsabilità, che non significa per forza “essere sempre responsabili”. Perciò, nel mio piccolo, provo ad applicare queste convinzioni: io domenica non andrò a votare, e forse, per le stesse ragioni, tanti altri come me.

                                                                                                                           Beppe Borgogno