Particolarmente in questo momento il dibattito sulle spese militari degli stati è vivace e controverso.
I freddi numeri parlano di un costante incremento, che ha raggiunto nel 2021 la cifra record di 2.113 miliardi di dollari, il 2,2% della ricchezza mondiale. Lo certifica con amarezza lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), l’Istituto per gli studi sulla pace di Stoccolma, il principale osservatorio mondiale sull’industria bellica, nel suo ultimo rapporto Trends in world military expediture.
Nello stesso anno è stato raggiunto un altro primato, quello delle spese globali per l’aiuto allo sviluppo dei paesi poveri: 179 miliardi di dollari. Sul piano delle cifre non c’è paragone.
La tendenza è alla continua crescita. Il Sipri già nel 2021 aveva constatato che, a dispetto della crisi pandemica, le spese militari mondiali dell’anno precedente erano cresciute del 2,6% rispetto al 2019 toccando i 1.981 miliardi di dollari: pari al 2,3% del Pil mondiale (la diminuzione della percentuale nel 2021 è dovuta all’incremento della ricchezza prodotta con la ripresa economica).
Le nazioni che spendono di più sono gli Stati Uniti d’America e la Cina, che da sole superano la metà del bilancio complessivo, il 52%, e insieme a India, Regno Unito e Russia raggiungono il 62% del totale delle spese militari nel mondo.
I Paesi del Medio Oriente hanno speso 186 miliardi di dollari, con un calo del 3,3% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, evidenzia il Sipri, ben sei dei dieci stati con la più alta incidenza di spese militari sul Pil si trovano nella regione: l’Oman spende be il 7,3% del suo Pil in armi, seguito da Kuwait (6,7%), Arabia Saudita (6,6%), Israele (5,2%), Giordania (5%), Qatar (4,8%). Si tratta di valori più elevati rispetto alla media globale.
Per quanto riguarda l’Europa la spesa militare nel suo complesso ammonta nel 2021 a 418 miliardi di dollari, in crescita del 3% rispetto all’anno precedente e del 19% rispetto al 2012. Nel 2021 sui 26 Paesi dell’Unione europea dotati di un esercito, solo otto spendevano più del 2% del proprio Pil per il settore della Difesa, come deciso dalla NATO nel 2014. A seguito dell’invasione dell’Ucraina diversi Stati europei membri della Nato hanno annunciato l’intenzione di incrementare la propria spesa militare per raggiungere o superare la soglia del 2% (l’Italia si attesta finora all’1,41%): «L’acquisto di nuovi sistemi d’arma – scrive il Sipri – sarà probabilmente al centro di questi progetti di spesa».
Il dato sulla spesa militare pro capite colloca in testa gli Emirati Arabi Uniti, con 2.256,54 dollari per cittadino, secondo posto per Israele (2.241 dollari) e terzo per gli Stati Uniti (2.240 dollari).
Sono informazioni che fanno riflettere sul precario equilibrio basato sulle armi, sul loro uso nelle tante guerre presenti, sul loro commercio. Un esempio è la Francia, nella quale l’aumento delle spese militari ha portato una notevole crescita anche dell’esportazione di armi: tale mercato fino al 2012 non superava i 6 miliardi di euro all’anno, ma dal 2015 si aggira intorno a 17 miliardi. Con tale cifra si colloca al terzo posto tra i paesi esportatori, con l’11% del mercato, superata da Russia (19%) e dagli USA (39%), con la Cina solo quarta col 4,6%.
La grande nazione asiatica ha raddoppiato le spese militari dal 2011 al 2021, col risultato di spingere i paesi vicini a un simile percorso: l’India nello stesso periodo ha visto un incremento del 33% e la Russia destina il 4% del Pil nelle forze armate.
Il governo americano, sulla spinta del conflitto in Ucraina, ha stanziato altri 31,6 miliardi di dollari sul bilancio del Pentagono, portandolo da 781,8 miliardi per il 2022 e a 813,4 per l’anno prossimo; oltre 50 miliardi di dollari finanzieranno il comparto delle armi nucleari.
Gli USA, e non solo, investono ingenti risorse tantissimo nella ricerca e nello sviluppo di armi che garantiscano la supremazia tecnologica: 69 miliardi di dollari sono bruciati in tale settore nel 2021, la Cina segue con 20-22 miliardi, mentre la Russia si ferma a 8-10 e il totale mondiale raggiunge i circa i 120 miliardi di dollari l’anno. Un esempio evidente è lo sviluppo del cacciabombardiere Rafale che era costato ai francesi 43 miliardi di euro, mentre il suo successore ne richiederà come minimo 80. Tanto per confrontare le cifre, un ospedale di 20.000 metri quadri costa all’incirca 40 milioni di euro.
I dati del Sipri mostrano una situazione drammatica, ma purtroppo già vecchia: la guerra in Ucraina sta spingendo ancora di più sull’acceleratore di quanto non facciano le decine di conflitti sparsi nel mondo.
Si vedrà se la scommessa del nuovo Fondo europeo per la difesa avrà successo: il finanziamento comunitario dovrebbe favorire progetti cooperativi, riducendo l’investimento richiesto a ogni paese.