L’esito del voto di domenica 25 spinge a tentare qualche considerazione di carattere generale, che desidera andare oltre ai commenti su chi ha vinto o perso e perché, oppure sugli scenari futuri.
La prima riguarda il dato sull’affluenza alle urne: si tratta del record di astenuti nelle consultazioni politiche. Oltre il 36% degli aventi diritto non si è recato ai seggi e in alcune regioni si è trattato di una persona su due. La lontananza dalla politica, la disaffezione, la sfiducia, stanno raggiungendo livelli preoccupanti, che pongono gravi interrogativi sulla percezione e la pratica della democrazia.
La seconda concerne la campagna elettorale e i programmi dei partiti. Complice il periodo estivo e il gran caldo, probabilmente, il modo con cui le forze politiche si sono presentate e il livello del confronto sono stati pessimi. Hanno fatto la parte del leone gli slogan e le promesse (qualcuno ha calcolato che realizzarle costerebbe circa 400 miliardi di euro), senza alcun approfondimento, come purtroppo accade sempre, oramai. Ad esempio: quanti avranno letto integralmente i programmi del PD o di Fratelli d’Italia?
Ma la questione centrale è che nessuno possiede e propone una prospettiva, una visione di lungo periodo che, senza dimenticare le contingenze e le urgenze, sappia indicare una direzione per il Paese e un percorso credibile per affrontare i problemi e i processi di medio e lungo periodo che interessano la nostra società. Ma soprattutto, nessun partito è stato in grado di fornire ai cittadini uno sguardo verso il futuro in grado di aiutarli nelle preoccupazioni quotidiane. A questo proposito è significativo il ruolo che l’emergenza ambientale ha avuto nella campagna elettorale appena trascorsa. Tutti – o quasi – i partiti affermano di volerla affrontare, ma non dicono come. Alcune scelte e proposte, come ad esempio quelle sui carburanti delle auto, sembrano dettate da mere considerazioni di mercato: la scienza, invece, rimane inascoltata.
La realtà ci pone di fronte a questioni gravi e complesse, che necessitano di risposte serie, progetti di lungo respiro e persone competenti: niente di tutto questo si è visto e si vede nello scenario politico. A questo va aggiunto il risultato deludente dei partiti che più di altri avevano detto di voler proseguire la cosiddetta agenda Draghi: qualsiasi fosse il reale contenuto di tale espressione, sbandierare una continuità col governo uscente non ha premiato nelle urne. Come nel 2018, infatti, hanno “vinto” le forze di opposizione, chi cioè non era al governo o se ne era per tempo distanziato: nel 2018 il MoVimento 5 stelle, oggi Fratelli d’Italia. Forse significa che “la gente” è talmente stufa e preoccupata, che decide di affidarsi a qualcuno di nuovo, mai provato prima, nella speranza che risolva i problemi. È questo un fenomeno sempre più diffuso nelle democrazie occidentali, che però in Italia è acuito da un sistema dell’informazione che cerca anch’esso sempre una novità da proporre a lettori e ascoltatori, dando così spazio a un dibattito sempre più impoverito e schiacciato su dinamiche accelerate e che coprono cicli sempre più brevi (la velocità della crisi del governo Draghi lo dimostra bene).
Una parola va spesa, infine, anche su un fenomeno ormai acquisito: l’estrema personalizzazione. Sulle schede elettorali alcune delle principali forze, e non solo quelle, facevano riferimento esplicitamente o implicitamente al leader: Meloni, Salvini, Berlusconi, Calenda, Bonino, Paragone, Di Maio, de Magistris. Questa pessima legge elettorale, poi, non consentiva a elettrici ed elettori alcuna possibilità di scelta dei candidati, indicati dai vertici. I partiti sono sempre meno rappresentati e rappresentativi e sempre più comitati elettorali, sempre meno “cinghia di trasmissione” tra cittadini e amministratori, collettori di istanze e bisogni.
Altre considerazioni e riflessioni le lasciamo a chi legge. Un’ultima nostra considerazione è rivolta al futuro. Queste elezioni hanno mostrato il bisogno di un autentico rinnovamento e rilancio della politica, che appare quantomai necessario e urgente. Per concretizzarlo è necessario che sempre più persone si formino e si impegnino per portare il loro contributo al bene comune a partire dalle proprie comunità. È quanto cerchiamo di fare con le iniziative delle Piccole Officine Politiche, come la Scuola di POP, presentata in questo sito.