L’articolo 53 della Costituzione italiana è semplice e lapidario: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
Si tratta di un dovere civico importante, di un modo per manifestare la solidarietà nei confronti della collettività e di ciascuno, poiché grazie alle entrate fiscali lo stato può esistere ed erogare i servizi indispensabili per la vita di tutti, in particolare di chi è più debole.
L’evasione fiscale
Anni fa una campagna di comunicazione del governo lanciava un messaggio chiaro: «chi evade danneggia tutti». I due brevi video televisivi affrontavano differenti aspetti. Il primo poneva in risalto come le tasse servano a produrre servizi che potrebbero diventare migliori e più numerosi se nessuno si sottrae all’obbligo di essere un buon contribuente. Il secondo era crudo e diretto: presentava gli evasori come dei parassiti che vivono alle spalle della società, degli altri, sottraendo risorse alla collettività. Ma l’invito ai cittadini alla legalità fiscale non sembra aver raggiunto gli obiettivi attesi.
Malgrado lievi miglioramenti riscontrati dal 2015 la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale, pubblicata annualmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha calcolato che il cosiddetto tax gap, permane di notevoli dimensioni sfiorando i 100 miliardi di Euro: per la precisione la relazione 2022 stima tale cifra in 99 miliardi e 244 milioni di Euro.
I dati diffusi dalla Commissione europea riguardati l’IVA sono impietosi per l’Italia e per altre nazioni. Il nostro paese è il primo in termini di evasione assoluta con circa 30 miliardi di Euro, seguita da Germania (23) e Francia (13), mentre in percentuale siamo terzi col 21% dietro a Romania (35%) e Grecia (26%) e con una media UE di poco superiore al 10%.
Certamente le ragioni di ciò sono molteplici e complesse, ma rimane il realismo dei numeri.
L’elemento culturale che sta dietro tali problematiche è importante. Troppo spesso chi non paga le tasse è considerato nel nostro paese un “furbo” una persona che si sa muovere bene, secondo il più bieco individualismo dominante. Non ovunque è così: nella tradizione anglosassone, ad esempio, gli evasori, coloro che si sottraggono a tale dovere, sono considerati negativamente, socialmente riprovevoli, alla stregua dello spot prima citato. Forse un’azione decisa e costante, a partire dalla scuola, potrebbe modificare tale cultura presente in Italia. Si tratta di far crescere un diffuso e serio senso dello stato e della collettività, oggi decisamente limitato.
Un ruolo fondamentale è in capo alla pubblica amministrazione, che dovrebbe scegliere, una volta per tutte e con ferma decisione, la lotta all’evasione come una delle priorità per il paese.
Come si evade
Il fenomeno dell’evasione fiscale prevede una serie di comportamenti diversi, ma tutti volti allo stesso scopo: pagare meno tributi.
Ecco le modalità più diffuse. Vendere o prestare servizi al consumatore senza emettere il documento fiscale; emetterlo, ma con un importo solo parziale; falsificare la dichiarazione dei redditi per pagare un’imposta minore; dare parte dello stipendio in nero in forma non documentata; non pagare adempimenti quali il canone Rai, bolli auto o assicurazioni obbligatorie. Come si può notare si tratta sempre di azioni consapevoli e deliberatamente poste in atto con lo scopo di guadagnare di più.
Un aspetto che non tocca solo la fiscalità è la distorsione del mercato e la concorrenza sleale praticate da chi trae vantaggi da simili comportamenti: significa avere costi minori e offrire prezzi finali più competitivi a danno di chi invece agisce in maniera corretta.
Le giustificazioni più usate sono il livello troppo elevato della tassazione, un sistema tributario complicato e la scarsa fiducia nell’uso che lo Stato può fare delle finanze pubbliche. È necessario sottolineare anche la complicità dei consumatori che possono preferire un pagamento in contanti senza ricevuta per beneficiare di un prezzo inferiore.
La tassa piatta
Si parla di nuovo di flat tax. Essa consiste in un meccanismo semplificato che invece di possedere un sistema di prelievo fiscale progressivo basato su aliquote e scaglioni, prevede un’imposizione uguale per tutti i soggetti sotto una determinata fascia di reddito. Chi la auspica ritiene, tra l’altro, che potrebbe avere un effetto positivo sull’evasione fiscale.
In Europa è stata adottata dai paesi dell’Est e in tutti, dopo l’introduzione della misura, vi è stata una diminuzione delle entrate fiscali. Le percentuali delle tassazione variavano notevolmente, dal 10% di Albania e Bulgaria al 25% della Lettonia. In generale è stata adottata poiché tali stati non avevano in precedenza un vero e proprio sistema fiscale e un’amministrazione che lo gestiva. Era quindi forte un’esigenza di semplicità.
In alcuni la conseguenza è stata una riduzione della spesa pubblica, in qualche caso è emerso il “nero” e sono salite le spese delle famiglie e gli investimenti delle imprese. Secondo il Fondo monetario internazionale l’impatto della flat tax va considerato insieme ad altri fattori macroeconomici ed è difficile isolare il suo diretto beneficio.
Negli ultimi 20 anni quasi tutti i paesi hanno deciso di abbandonare il sistema, allo scopo di aumentare il gettito fiscale e l’equità. Attualmente sono otto i paesi europei, su 43, che prevedono la flat tax, con una quota che varia dal 10 al 20%.
Equità e condivisione
Ci sono valori importanti che sottendono l’essere un buon contribuente. Il principale riferimento citato da papa Francesco nel corso del suo intervento all’assemblea pubblica di Confindustria nello scorso settembre è la condivisione. Ecco le sue parole: «molto importante è quella modalità che nel mondo moderno e nelle democrazie sono le tasse e le imposte, una forma di condivisione spesso non capita. Il patto fiscale è il cuore del patto sociale. Le tasse sono anche una forma di condivisione della ricchezza, così che essa diventa beni comuni, beni pubblici: scuola, sanità, diritti, cura, scienza, cultura, patrimonio. Certo, le tasse devono essere giuste, eque, fissate in base alla capacità contributiva di ciascuno, come recita la Costituzione italiana (cfr. art. 53). Il sistema e l’amministrazione fiscale devono essere efficienti e non corrotti. Ma non bisogna considerare le tasse come un’usurpazione. Esse sono un’alta forma di condivisione di beni, sono il cuore del patto sociale».
Come intervenire
Il contrasto all’evasione fiscale è un tema che sovente emerge nel dibattito politico, ma che rimane sostanzialmente nel novero delle buone e pie intenzioni.
Oltre ai richiami alla legalità, all’uguaglianza dei cittadini e alla necessità di una svolta sotto il profilo culturale sul tema, prima citati, esistono proposte praticabili ed efficaci per affrontare il problema, anche in un lasso di tempo ragionevolmente breve, frutto di ricerche, che hanno dimostrato come un uso consapevole di nuove tecnologie e una conoscenza analitica dei meccanismi dell’evasione, potrebbero produrre risultati notevoli.
Senza la pretesa di esaurire l’argomento e in ordine sparso proviamo a elencarne. Certamente i periodici condoni hanno rafforzato la convinzione che i rischi connessi col non pagare le tasse sono pochi: tanto prima o poi arriva una sanatoria. Uno stato più “severo”, e giusto, contribuirebbe a sfatare tale convinzione: rendere l’evasione non conveniente aumentando la probabilità di essere scoperti e sanzionati può essere un deterrente significativo. La vera “pace fiscale” si otterrebbe aumentando le entrate, col conseguente incremento della disponibilità economica della pubblica amministrazione e la possibilità di ridurre il carico dei tributi su cittadini e imprese: se tutti li pagassero sarebbero percentualmente inferiori. La tracciatura dei pagamenti e dei suoi mezzi sono elementi che possono aiutare, così come la capacità della pubblica amministrazione di incrociare le banche dati, superando anche qualche aspetto legato alla privacy con un sereno compromesso tra questa e le esigenze di controllo e nell’interesse della collettività.
In conclusione, oltre a un profondo cambiamento di mentalità da diffondere, lo stato, e la politica tutta, dovrebbero praticare un circolo virtuoso nel quale migliori la fiducia dei cittadini contribuenti, attraverso una trasparente comunicazione sull’utilizzo delle entrate pubbliche, una puntuale verifica delle realizzazioni, una lotta senza quartiere alle distorsioni come la corruzione e la concussione, un far sentire l’importanza dei servizi alla collettività: in un’espressione uno stato vicino e a servizio di tutti.