Il 24 febbraio dello scorso anno ha avuto inizio l’invasione russa dell’Ucraina.
L’alto commissariato ONU per i diritti umani, nel mese di dicembre, ha stimato in 6.702 le vittime civili della guerra, delle quali oltre 400 sono bambine e bambini; e i feriti sono valutati in 17.181: tali cifre sono ritenute sicuramente al ribasso. Altri calcoli, forse più vicini alla realtà, parlano di circa 40.000 morti tra la popolazione e 140.000 tra i militari: una vera e propria carneficina. Allo scopo di procedere a un raffronto, tanto per rimanere in Europa, basti pensare che il conflitto in Bosnia-Erzegovina, durato tre anni e otto mesi, ha fatto 105.000 morti.
La guerra ha poi avuto delle ripercussioni gravissime per tutti gli ucraini, ad esempio con la fuga di milioni di profughi, freddo, mancanza di cibo ed energia, e, in misura differente, nel mondo, in particolare con significativi contraccolpi economici soprattutto per le persone più in difficoltà.
Un po’ di storia
L’Ucraina è un paese eterogeneo per storia, lingua e religione, con differenze sostanziali tra est e ovest.
Le vicende dell’attuale territorio ucraino hanno visto l’alternarsi di situazioni molto diverse tra loro e continue spartizioni: da essere una colonia greca, romana e bizantina sul Mar Nero, all’unificazione di un vasto territorio da parte dei Rus, una popolazione scandinava che nel IX secolo si insediò sovrapponendosi agli slavi, all’invasione mongola; dal dominio polacco dopo il XV secolo, all’incorporazione nell’impero degli zar e, in parte, in quello austro-ungarico; per poi finire in gran parte nell’Unione sovietica, dopo una guerra civile successiva alla rivoluzione bolscevica del 1917, tra due repubbliche in competizione, una nella parte occidentale e una in quella orientale.
Nel 1991 è diventata uno stato indipendente, ma con una instabilità politica dovuta soprattutto alle tensioni tra i fautori dell’avvicinamento all’Occidente e quelli del legame con la Russia. La polarizzazione caratterizzò le elezioni presidenziali del 2004 e, soprattutto, le vicende di dieci anni dopo.
La Crimea
Il 21 novembre 2013 in Ucraina iniziarono manifestazioni popolari spontanee contro la sospensione del percorso che avrebbe portato il Paese alla firma di un accordo di associazione e libero scambio con l’UE. Dopo tre mesi di proteste che raggiusero il livello di una guerra civile, con scontri e oltre 100 morti, il 21 febbraio il capo del governo fuggì e lasciò l’Ucraina.
Negli stessi giorni un gruppo di miliziani, senza divisa, fece irruzione nel parlamento della Repubblica autonoma di Crimea issando sul tetto una bandiera russa, cui seguì una progressiva invasione di truppe di Mosca che presero il controllo del territorio. Insediato un governo filo-russo venne organizzato un referendum il cui esito, col 95% di voti favorevoli, sancì l’incorporazione nella Federazione Russa. Nello stesso anno anche le due repubbliche di Donetsk e Luhansk si autoproclamarono autonome da Kiev.
Le ragioni dell’invasione
In questo anno molto sì è dibattuto sul tema, travolto in ogni caso dalla ferocia della guerra. In sintesi possono essere evidenziati una serie di fattori. La volontà della Russia di non avere oltre al territorio tedesco alcuna nazione aderente alla NATO, l’idea di Putin di tornare a una nuova grande Russia di imperiale, rispondere alle esigenze dei cittadini ucraini di lingua russa, legare l’Ucraina a est e non a ovest, al modello russo e non a quello democratico occidentale.
Stati Uniti ed Europa non sono esenti da responsabilità, a partire dagli USA che hanno premuto con forza per l’adesione dell’Ucraina all’alleanza atlantica. Non è sembrata esserci in questi mesi da parte dei paesi occidentali una chiara e ostinata volontà di fermare la guerra e cercare la pace: in particolare debole è apparso il ruolo dell’UE, con un conflitto alle porte. Proseguendo su queste considerazioni è poi necessario sottolineare come nessuno possa definirsi storicamente “senza peccato”.
La pace prima priorità
Non possiamo arrenderci all’inevitabilità della guerra, a un conflitto che può terminare solo con la sconfitta, la resa di uno dei contendenti. Papa Francesco si è più volte pronunciato in merito alla situazione dell’Ucraina e nel messaggio per la giornata della pace 2023 ha scritto: «Questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte».
Invocare la pace non significa dare ragione a Putin: la Russia è l’aggressore che ha violato norme internazionali e l’Ucraina è un paese che ha il diritto di difendersi. Ma tutte le guerre sono insensate, in primo luogo, dal punto di vista della dignità delle persone e dei popoli, nonché sotto il profilo sociale, culturale, politico ed economico. Portano con loro la morte della gente e la distruzione dei territori.
La pace è un valore troppo importante. Chi crede nella pace, deve far sentire la sua voce e questa deve prevalere: un’idea di pace e non solo di alleanze che presuppongono amici e nemici.
Ma la guerra si può fermare solo con la politica, uno scatto di creatività e di ferma determinazione, che fino ad ora non si è visto, allo scopo di lavorare per la pace.
Questo dovrebbe essere il compito dell’UE, e dell’Italia, per ricoprire un ruolo attivo e decisivo nella risoluzione del conflitto, occasione per una nuova centralità dell’UE sul piano globale.
Come italiani, ed europei, dobbiamo ispirarci al ripudio della guerra affermato nella Costituzione e non solo al diritto all’autodifesa di una nazione aggredita.
Essere pacifisti significa affrontare le crisi, rigettare l’uso delle armi come unica soluzione, prospettare e costruire un futuro possibile: l’Europa è sempre stata esempio e modello di diplomazia, non può abdicare a questo ruolo proprio ora.
Quali strade per la pace
Una soluzione pacifica dopo un anno di guerra è difficilissima, però è indispensabile impegnarsi per trovarla e ragionare globalmente sul tema dei tanti conflitti sparsi nel mondo: la pace deve tornare in Ucraina e avere una visione generale e di lungo periodo.
La strada della strenua resistenza armata e delle sanzioni come l’unica per portare alla pace, attraverso la sconfitta dell’aggressore è l’approccio, che ha certamente delle ragioni dalla sua parte, che ha guidato la politica, ma si focalizza solo sulla dinamica della guerra. La strada deve essere un’altra.
Partiamo da considerazioni generali. Va denunciata e affrontata la logica di spartizione del mondo in sfere d’influenza e il disegno di potenza e controllo dei grandi paesi e di qualche nazione emergente. In un mondo sempre più connesso e interdipendente va sottolineata la dignità di ciascuno stato e di tutte le persone: le parole d’ordine dovrebbero essere uguaglianza e collaborazione.
Va ribadita l’importanza della coesistenza e della legalità internazionale, l’inaccettabilità dell’uso della forza nelle relazioni e l’autodeterminazione dei popoli.
Alcune proposte
In questi mesi, in maniera quasi sommessa rispetto al fragore delle armi, sono state avanzate delle proposte: proviamo a indicare qualche elemento che può ispirare le trattative.
L’Ucraina deve essere neutrale, e quindi restare fuori dalla NATO, se desidera entrare nell’UE il percorso può avviarsi, ma non in un’accezione “contro”. Per i territori contesi andrebbero ricostruiti con chiarezza i percorsi storici, come ad esempio quello della Crimea, e consultata la popolazione in merito alle possibili autonomie: ciò con una forte supervisione delle autorità internazionali. In tali contesti è indispensabile gestire la presenza delle componenti linguistiche e culturali differenti, come pure gli aspetti relativi all’utilizzo delle risorse naturali di quei territori.
Ovviamente condizioni indispensabili per un tavolo negoziale sono la cessazione delle ostilità, il ritiro delle truppe e un rapido percorso di sospensione delle sanzioni contro la Russia in base al procedere delle trattative.
Infine andrebbe avviato un piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina e la convocazione di una conferenza sulla sicurezza in Europa come strumento del ritorno allo spirito di Helsinki, la convivenza pacifica e la cooperazione tra tutti i popoli europei, il cui atto finale fu sottoscritto nel 1975 da 35 paesi del continente, esponenti della NATO, del Patto di Varsavia e degli stati neutrali.