Giuseppe Dossetti rappresenta una figura singolare, complessa e densa, che nella Chiesa italiana ha scarsi riscontri: è stato docente, partigiano, politico, sacerdote, educatore, monaco, protagonista nell’Assemblea costituente e nel Concilio. È stato una persona che ha avuto occhi e cuore che guardavano lontano. Per questo suo non essere facilmente inquadrabile, la sua figura, le sue idee e le sue esperienze non sono state sempre comprese e condivise. Questo è durato per un certo lasso di tempo anche dopo la sua morte, ma da una ventina di anni il suo insegnamento e il suo esempio sono tornati di attualità.
È importante quindi conoscerlo più in profondità.
La vita
Giuseppe Dossetti nacque a Genova il 13 febbraio 1913. Il padre Luigi era farmacista e la madre Ines Ligabue pianista. Dopo pochi mesi la famiglia si trasferì a Cavriago, dove trascorse l’infanzia, e poi a Reggio Emilia, nella quale frequentò il liceo e aderì all’Azione cattolica nell’oratorio di San Rocco, guidato da don Dino Torreggiani, prete che secondo lo stesso Dossetti, segnò profondamente la sua vita, dandole un orientamento nettamente religioso. Nel 1934 si laureò in giurisprudenza all’Università di Bologna con una tesi di diritto canonico, per poi trasferirsi a Milano all’Università Cattolica di padre Gemelli, per approfondire il diritto romano.
Entrò a far parte dell’Istituto di vita secolare Missionari della Regalità, fondato da Gemelli e Olgiatima, dal quale uscì nel 1938 per entrare nei Milites Christi di Giuseppe Lazzati. La spinta che mosse la sua esistenza, come si evince dagli appunti di quegli anni, è quella di una consacrazione sempre più profonda al Signore. La sua vita trascorse entro la carriera universitaria: libera docenza, concorso per assistentato, cattedra di diritto canonico a Modena nel 1942.
Negli anni del fascismo si devono distinguere due periodi: un primo di partecipazione formale alle manifestazioni per i giovani, nel clima di diffusa adesione al regime, cui fece seguito un convinto e motivato allontanamento, che lo portò a partecipare attivamente alla Resistenza.
Un po’ improvvisa arrivò nella sua vita la politica. Ci furono, nel 1941, le riunioni del venerdì a casa Padovani con Lazzati, La Pira, Vanni Rovighi, padre Giacon, don Carlo Colombo, Fanfani, Bontadini. Le discussioni vertevano su quanto sarebbe potuto accadere al termine della guerra e dopo la crisi da essa innescata. Il testo di riferimento per tanti cattolici era Umanesimo integrale di Maritain e la spinta all’impegno politico la fornì Pio XII con il suo radiomessaggio di Natale del 1942 nel quale il papa prendeva atto del declino inarrestabile dei regimi nazi-fascisti ed esortava i cattolici all’azione.
All’indomani dell’armistizio Dossetti entrò nella Resistenza con nome di Benigno, a Cavriago prima, poi nel 1944 come capo del Comitato di Liberazione Nazionale di Reggio, per salire infine in montagna nel 1945. Finita la guerra pensò di lasciare subito il CLN, ma si convinse a proseguire l’impegno allo scopo di impedire, o almeno moderare, le ritorsioni e le vendette che si erano scatenate nel reggiano.
Dopo la liberazione divenne componente della Consulta nazionale, nata nell’aprile 1945 con il compito di esprimere al governo pareri non vincolanti su problemi generali o provvedimenti legislativi, soprattutto per i bilanci e le leggi elettorali.
Nell’attività della Democrazia Cristiana, Dossetti comparve a livello nazionale il 12 luglio del 1945, al primo convegno dei “Gruppi giovanili del partito”. Nell’agosto del 1945, inaspettatamente, su indicazione di don Sergio Pignedoli, De Gasperi lo chiamò all’incarico di vicesegretario della Dc, poiché aveva partecipato alla Resistenza, era giovane e del Nord. Eletto alla Costituente nel 1946 svolse un ruolo decisivo nella commissione dei 75. Anche per merito di Dossetti il contributo dei cattolici alla Carta costituzionale fu importante e con esso entrarono a pieno titolo nell’Italia repubblicana, dopo tanti anni di non expedit e di intransigenza.
Nel settembre 1946 Dossetti e altri fondarono il movimento Civitas humana per continuare quell’intenso lavoro di comune maturazione iniziato negli anni ’40 al fine di orientare il mondo cattolico verso una riforma politica e sociale ispirata all’uguaglianza e alla partecipazione, dando vita anche alla rivista Cronache sociali.
Al secondo congresso nazionale della DC del 1947 Dossetti divenne membro del consiglio nazionale e poi della direzione del partito; l’anno dopo fu eletto alla Camera dei deputati.
Nel 1952, una nuova svolta: si dimise da parlamentare e lasciò la vita politica. Il suo orientamento di fondo rimase quello di una consacrazione a Dio, ma vi fu un’altra ragione: la convinzione che i cattolici italiani non avessero una cultura politica adeguata.
Nella Bologna del cardinal Lercaro fondò quindi il Centro di Documentazione che aveva come obiettivo lo studio delle fonti, i grandi Concili. All’interno della struttura nacque una comunità di consacrati che nel tempo si orientò a una vita monastica vera e propria.
Nel 1956, l’Arcivescovo gli chiese candidarsi a sindaco contro il comunista Dozza che però vinse le elezioni, con una certa soddisfazione di Dossetti perché poté tornare a occuparsi della sua neonata comunità per la quale nel 1955 aveva scritto la Piccola Regola.
Al termine di quell’anno manifestò al Cardinale il desiderio di diventare sacerdote e si dimise dall’insegnamento universitario e dal consiglio comunale di Bologna. Dopo lunga riflessione Lercaro diede una risposta positiva e il 6 gennaio 1959 ricevette l’ordinazione.
Fu subito coinvolto dall’Arcivescovo nel Concilio Vaticano II. Al termine dell’assise fu nominato provicario della diocesi e, tra l’altro, contribuì alla stesura dell’omelia pronunciata dal Cardinale in occasione della prima giornata della pace il 1° gennaio 1968, nella quale condannò i bombardamenti americani in Vietnam e che provocò l’allontanamento di Lercaro dalla responsabilità episcopale. Dossetti lasciò quindi ogni incarico diocesano e si ritirò nella sua comunità, vivendo un silenzio che sorprese, data la sua precedente forte esposizione pubblica.
Nel 1972 con altri fratelli della comunità si trasferì prima a Gerusalemme e poi e Gerico. Si trattò di seguire la vocazione a lasciare l’Occidente e ad andare tra le genti. Nel 1982 scrisse una lettera al primo ministro israeliano Begin per denunciare l’intollerabile massacro di palestinesi nei campi profughi di Sabra e Chatila.
Nel 1986, il cardinale di Bologna Giacomo Biffi, chiese alla Piccola Famiglia di insediarsi a Monte Sole, nel comune di Marzabotto, dove nel 1944 si era compiuto uno dei più gravi eccidi dei nazifascisti. Dossetti allora ritornò in Italia e ruppe il silenzio con alcuni interventi significativi. Scrisse una prefazione al libro di Luciano Gherardi Le querce di Marzabotto, denunciò la prima guerra nel Golfo del 1971 e la partecipazione italiana, contraria allo spirito della Costituzione, tenne un’ampia relazione su Eucaristia e città al congresso eucaristico di Bologna del 1987.
Negli ultimi anni della sua vita si dedicò a un’appassionata difesa della Costituzione, quando, con il governo Berlusconi, si parlò ripetutamente di modifiche da apportare: famoso, a questo proposito, fu il discorso tenuto a Milano il 18 maggio del 1994, commemorando l’amico Lazzati.
Dossetti morì a Monteveglio il 15 dicembre 1996 e i solenni funerali si svolsero nella Basilica di San Petronio, presieduti dal cardinale Biffi, e venne sepolto nel cimitero di Casaglia di Monte Sole, insieme ai martiri dell’eccidio.
Il commento
Poche persone possono essere definite dei veri maestri, innanzitutto di vita: Giuseppe Dossetti lo è stato a pieno titolo. Egli fu in modo particolare un modello da seguire, a partire dal suo esempio e dal forte e costante impegno di educatore.
Al centro pose la fede, ma vissuta in particolare nella politica, in una politica caratterizzata da un altissimo grado etico e dalla pratica di una carità fattiva. Ecco forse il messaggio più importante che ha lasciato: chi ritiene di avere una vocazione politica, a maggior ragione se credente, deve essere così.
Coerente con le sue idee
Una caratteristica che emerge con chiarezza, approfondendo la sua biografia, è la determinazione con la quale ha sempre sostenuto le sue opinioni, anche al prezzo di delusioni e scontri.
Alcuni esempi sono emblematici. Era convinto della necessità, per la Democrazia Cristiana, di sostenere la scelta repubblicana nel referendum post-bellico, contrariamente alla convinzione di Alcide De Gasperi di una posizione “agnostica” che lasciava libertà di scelta ai suoi elettori. Dossetti interpretò tale presa di posizione come favorevole alla monarchia e contraria all’opinione manifestata dalla gran parte dei quadri del partito, scrisse quindi una dura lettera al segretario di contestazione della decisione, unitamente alle dimissioni dalla vicesegreteria e dalla direzione della DC, continuando la propria propaganda per il regime repubblicano.
Una nuova occasione di serrato confronto avvenne intorno a due elementi sostanziali del progetto politico democristiano. Per Dossetti era indispensabile una forte spinta radicale di testimonianza evangelica, e non, come propugnato da De Gasperi, indirizzare il partito verso la conquista della maggioranza per governare la grave fase di transizione. In secondo luogo per lui la DC doveva da sola assumere l’eredità degli orientamenti politici dell’alleanza tra le forze popolari, mentre De Gasperi puntava a un’alleanza con i partiti centristi.
Un’ulteriore frattura fu determinata dall’atteggiamento nei confronti dell’adesione al Patto atlantico: per De Gasperi era una scelta importante, per Dossetti l’Italia doveva essere fuori da bipolarismo nascente per essere un ponte tra Est e Ovest.
Non è questo il luogo per valutare le differenti posizioni, il senso è mostrare un significativo aspetto della personalità del nostro testimone.
Il politico
Fin dal periodo della lotta partigiana Dossetti fu convinto della necessità di dare contenuto politico alla presenza dei cattolici, superando un certo movimentismo, contribuendo alla nascita della Democrazia Cristiana, un partito che per lui era necessario possedesse una solida base ideologica e valoriale all’altezza delle sfide che i tempi ponevano di fronte alla politica.
Significativa fu anche la sua posizione, alla fine degli anni ’40, sul senso della DC. Per lui il partito doveva caratterizzarsi in una direzione “programmatica”, vale a dire ponendo al centro la linea politica, in opposizione a una visione fondata sull’unità confessionale, sul cattolicesimo come collante.
Il suo lavoro nei primi anni ‘50 fu dedicato a un vasto progetto di riforme, un esempio è la nascita della Cassa per il Mezzogiorno, e a stimolare una significativa elaborazione politica nel partito, superando la tentazione di essere semplice supporto organizzativo del consenso del governo.
Di grandissima attualità è la ripresa del concetto di partito di programma dopo la sconfitta elettorale alle elezioni amministrative del comune di Bologna nel 1956. Per Dossetti era la conferma della fine dell’era della cristianità, la constatazione che i cattolici erano ormai una minoranza e che non aveva quindi più senso di parlare un una presenza politica cattolica in senso proprio.
Dopo il periodo bellico egli ritenne assolutamente necessario un radicale rinnovamento della società, dopo la crisi di civiltà rappresentata dalle dittature e dalla guerra. A tale rinascita il cattolicesimo doveva portare un contributo significativo, fornire una testimonianza rigorosa e senza compromessi.
Il suo ultimo impegno in politica avvenne molti anni dopo averla abbandonata, allarmato dalle proposte di revisione della Costituzione avanzate dalla maggioranza politica guidata da Silvio Berlusconi, nel 1994. Spese molto tempo nei suoi ultimi due anni di vita in ripetuti interventi contro una riscrittura radicale della carta costituzionale.
Il suo impegno politico, in sintesi, fu sempre ispirato a una gratuità disinteressata, nella quale anche gli insuccessi avevano un loro significato, e a una prospettiva temporale limitata e contingente: non fu un politico di professione poiché il suo lavoro era l’insegnamento.
Il credente
Per Dossetti al rinnovamento della società è necessario corrisponda un analogo percorso nella Chiesa, in grado anche di alimentare quello sociale, economico e politico.
Conclusa la sua esperienza politica si apriva una fase che lo vide un riformatore cristiano. Per vivere in pienezza tale ruolo decise di abbandonare ogni impegno secolare, anche l’insegnamento, per diventare sacerdote.
Pochi giorni dopo la sua ordinazione, il 25 gennaio, Giovanni XXIII indisse il Concilio e Dossetti organizzò incontri volti alla fase preparatoria, invitando a Bologna molti dei grandi protagonisti della cultura teologica riformatrice. Mise a servizio del Vaticano II la sua esperienza della Costituente, elaborando un regolamento dei lavori dell’assemblea, il cui impianto fu approvato da Paolo VI, e venendo nominato segretario dei quattro moderatori del Concilio.
Egli vide nel Vaticano II l’occasione per una possibile riforma della Chiesa che procedesse nel senso di renderla più fedele al messaggio evangelico, senza aggiungere nulla di estraneo, ma semplicemente rimuovendo quelle consuetudini scambiate per vera tradizione, che non corrispondevano alla sua intima essenza: per lui si trattava di confidare non su strutture precarie, bensì sulla Parola di Dio.
Il suo trasferimento in Israele fu proprio all’insegna della ricerca delle radici profonde del cristianesimo, insieme al desiderio di conoscere la mistica di altre religioni orientali.
Ma la caratteristica più evidente e profonda del periodo che va dal 1972 al 1986 è il silenzio, insieme a una vita appartata, autenticamente monastica. Nella sua esistenza Dossetti si comportò seguendo l’esempio evangelico sia di Marta sia di Maria, nell’azione e nella contemplazione: dando la prevalenza, a seconda nei momenti, all’una o all’altra, ma sempre in un significativo equilibrio. Egli fu costantemente fedele a Dio e al mondo, nella storia e da protagonista: una diaconia politica e una ecclesiale, profondamente connesse seppure con accenti differenti.
Seppe quindi legare la cultura teologica con quella politica, alimentandole dal loro rapporto e dal costante riferimento al Vangelo per vivere un cristianesimo profondo e autentico, caratterizzato da un’eticità privata e pubblica.
Un riconoscimento da parte del comune di Bologna fu l’occasione per un celebre discorso nel quale ripercorse la sua esperienza politica in una chiave profetica. Il fulcro fu la centralità dell’ispirazione evangelica e una pratica della vita monastica come comunione «non solo con l’Eterno, ma con tutta la storia, la storia della salvezza».
La Costituzione
È importante porre in risalto quanto il nostro testimone affermava ai tempi dell’Assemblea costituente in merito al senso della Carta. Per lui, infatti, essa non è soltanto un insieme di regole, come sostenuto dalla dottrina giuridica liberale classica, bensì è soprattutto un atto morale, un documento programmatico che deve contenere principi etici. In particolare, dopo la caduta del regime fascista, la fine della guerra e la nascita della democrazia, era indispensabile avviare la ricostruzione, non solo materiale del Paese, ma anche morale.
Per favorire uno spirito di comunità la Costituzione doveva rappresentare il patto condiviso di una civile e fruttuosa convivenza che fosse in grado di creare il futuro
Dossetti oggi
La sua convinzione del parallelo rinnovamento della Chiesa e della società è di grande attualità. Viviamo in una fase di accelerate trasformazioni che non sono di per sé un rinnovamento, una rigenerazione, un progresso. Se ciò deve essere, il popolo di Dio non può tirarsi indietro e deve, con le altre persone di buona volontà, analizzare la situazione, indicare percorsi di miglioramento e agire in quella direzione. La sua scelta di impegno politico può essere per tutte le laiche e i laici uno stimolo per entrare attivamente nelle organizzazioni e nell’attività politica.
Importante, in una fase di debolezza dei corpi intermedi e dei partiti, è la sua concezione delle forze politiche non come macchine per la gestione del potere, ma come strumenti di aggregazione, di partecipazione, di formazione e selezione della classe dirigente.
Significativa, infine, la sua concezione di una Chiesa sempre da riformare per essere incessantemente, nei nuovi e differenti contesti, testimone di Gesù di Nazaret, evangelizzatrice e lievito della società.
Le fonti
La produzione di Giuseppe Dossetti è molto ampia e, come è facile immaginare, spazia dal terreno giuridico a quello politico, nonché a quello teologico e religioso. Numerose sono anche le opere dedicate alla sua figura, al suo pensiero e alle sue esperienze; citiamo l’ultimo lavoro curato da Luigi Giorgi dal titolo Giuseppe Dossetti. La politica come missione, appena uscito in occasione dei 110 anni dalla nascita.
In rete è possibile trovare numerosi servizi giornalistici e video sul nostro testimone.
Sono attivi i Circoli Dossetti, «nati nel 1998 da un nucleo di operatori sociali, culturali e politici provenienti da esperienze associative dell’area del cattolicesimo democratico e sociale milanese che ha incominciato a coltivare la pratica sistematica dell’incontro e del confronto intorno alle questioni dell’attualità politica, economica e sociale». Sul sito sono disponibili materiali informativi, di formazione, di riflessione, insieme a una biografia e dei commenti sulla figura di Dossetti.
È presente anche l’Associazione Culturale “Giuseppe Dossetti: i valori” «costituita da amici i quali desiderano partecipare alla diffusione di quei Valori il cui rispetto, da parte di tutti, crediamo sia alla base della crescita democratica e sociale del nostro Paese e per questo, richiamandoci ai principi di Giuseppe Dossetti, insieme desideriamo operare concretamente perché i cittadini possano sentirsi vicini alle Istituzioni».
Come tradizione concludiamo con alcune sue citazioni.
«La resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino».
«L’unica forza generante, l’unico seme di vita nuova, per sé incorruttibile, è la parola del Signore. […] Ogni altra parola, staccata o che prevalga sulla parola di Dio, presto si isterilisce, perde la sua forza generante, si fissa in una sterilità piena e si corrompe».
«Prima cosa da fare: sprofondarci nella preghiera […]. Seconda cosa: avere una vera consapevolezza, soprannaturalmente ravvivata, dei problemi del nostro tempo. Ci sono delle cose che dobbiamo conoscere, per poter seguire e servire il regno di Dio nel nostro tempo: la fame, la miseria, la guerra, i travagli del pensiero del nostro tempo, per cui gli uomini stanno cercando faticosamente la verità. […] Chiediamo quindi nella messa l’esperienza gustosa e profonda della parola di Dio che è Gesù e la conoscenza vera delle prove del nostro tempo».
«La nostra presenza qui, in fondo, non è principalmente una presenza politica, è essenzialmente una presenza spirituale e quindi deve essere sempre contenuta entro i limiti anzidetti di una doverosa umiltà. Prima condizione dell’umiltà è di essere coscienti di quello che si è».
«Certo noi abbiamo bisogno in tutto della più grande umiltà, di una grande capacità di ascoltare e di metterci alla scuola di fronte a tutti, perché rispetto a un mondo come questo, anche là dove noi crediamo di essere già in qualche modo informati, in verità non sappiamo ancora nulla e dobbiamo sempre ricominciare da principio come i bimbi che imparano le prime lettere dell’alfabeto».
«A ogni grande rinnovamento della struttura di una civiltà corrisponde e presiede un rinnovamento della Chiesa».
«Sono sempre più persuaso che comunque si voglia concepire l’uomo nel mondo, nella storia, nel suo fare, nulla può essere fatto al di fuori che non sia compiuto secondo verità al di dentro dell’uomo. […] Quindi è estremamente importante pensare che non posso compiere atti di fede validi per gli altri, per l’edificazione della Chiesa, per la sua riforma, per la consolazione dei fratelli, per il sostegno di opere comuni anche di vita civile, di servizio umano, se queste cose non si sono compiute in modo autentico dentro di me. Quale atto di fede che sia veramente valido per gli altri posso fare al di fuori, se non è un atto di fede profondamente vero dentro di me?».
«I preti e i laici, quasi senza differenze, s’immergano nel vangelo. Lo dico con una particolarissima e specifica insistenza, anche quantitativa: è necessario leggerlo, leggerlo, leggerlo. Formatevi sul vangelo, letto mille volte al giorno se fosse possibile, sine glossa, […] senza glossa come diceva san Francesco, dev’essere un rapporto continuo, personale, vissuto, creduto con tutto l’essere, e sapendo di accogliere la parola di Dio come Gesù l’ha seminata quando andava per le strade della Galilea. […] Non stancatevi mai di leggerlo, perché è assurdo stancarsi del Vangelo».
«Occorre rendere possibile, consolidare e potenziare il pensare e l’agire per la pace in nome di Cristo con un ultimo elemento, il silenzio: molto silenzio, al posto dell’assordante fragore che ora impera».