Regioni: tra autonomia e solidarietà

Sul tavolo del Consiglio dei ministri, sui mezzi di comunicazione e su una (forse) distratta opinione pubblica è arrivato un disegno di legge che ha come oggetto l’autonomia differenziata da attribuire alle regioni. La nuova proposta, presentata dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli della Lega – Salvini Premier, della quale il partito parla da anni, derivata dalla riforma del titolo V della Costituzione varata nel 2001, è stata approvata dal Governo lo scorso 2 febbraio.

La riforma costituzionale

Tale riforma permette alle regioni di chiedere la competenza esclusiva su 23 materie di politiche pubbliche: l’autonomia differenziata è quindi il riconoscimento da parte dello Stato dell’attribuzione alle regioni a statuto ordinario dell’autonomia legislativa su materie di competenza concorrente, cioè di entrambi i livelli, e in tre casi di materie di competenza esclusiva dell’amministrazione centrale. Per ovvie ragioni, con la possibilità di fare leggi, vi è anche quella di trattenere il gettito fiscale relativo a tali materie, che non verrebbe distribuito su base nazionale in ragione delle necessità collettive.

I temi concorrenti comprendono: rapporti internazionali e con l’UE, commercio estero, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, professioni, ricerca scientifica e tecnologica, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, comunicazione, energia, previdenza complementare e integrativa, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, cultura, ambiente, banche a carattere regionale.

La concessione di tali «forme e condizioni particolari di autonomia» alle regioni a statuto ordinario sono previste dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che sottolinea come possano essere attribuite «con legge dello Stato su iniziativa della regione interessata». Questo comma non è mai stato attuato, soprattutto a causa delle grandi differenze economiche e sociali tra regioni, che rendono particolarmente delicata l’attuazione di una simile prospettiva.

L’iter dell’autonomia

L’intesa tra Stato e regione è necessario segua un procedimento preciso. In primo luogo la regione deve deliberare in tal senso e inviare la decisione al Presidente del Consiglio e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, che ha tempo 30 giorni per acquisire il parere dei colleghi competenti sulle varie materie e del Ministro dell’economia e delle finanze. Dopo ciò può avere inizio il negoziato con la regione interessata.

Lo schema d’intesa preliminare tra Stato e regione, con una relazione tecnica, è approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso alla Conferenza unificata per un parere da fornire entro 30 giorni, per poi essere inviato alle Camere per un esame da completare entro 60 giorni. Il Presidente del Consiglio o il Ministro predispongono lo schema d’intesa definitivo, ove necessario al termine di un ulteriore negoziato, che viene trasmesso alla regione per l’approvazione. Entro 30 giorni dalla comunicazione di tale approvazione, l’intesa, corredata dalla relazione tecnica, viene deliberata dal Consiglio dei ministri insieme a un disegno di legge da presentare alle Camere, per la cui approvazione è richiesta la maggioranza assoluta. L’intesa viene quindi sottoscritta dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della Giunta regionale. È importante sottolineare che nell’intesa deve essere specificata la durata, non superiore a dieci anni.

Le risorse economiche

Il disegno di legge prevede che l’attribuzione delle risorse necessarie a gestire le materie trasferite sarà determinata da una Commissione paritetica Stato-regione, la quale procederà ogni anno alla valutazione di tali oneri finanziari, coerentemente con gli obiettivi programmatici della finanza pubblica e garantendo l’equilibrio di bilancio. Il finanziamento avverrà col conferimento alla regione di risorse prima gestite dallo Stato. Le funzioni trasferite potranno essere da essa attribuite ai comuni, alle province e alle città metropolitane.

Le intese non potranno avere come conseguenza una diminuzione delle risorse destinate alle altre regioni.

I Livelli essenziali di prestazione

Un punto nodale è relativo a essi, i Lep, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e al loro finanziamento. Questi, in base alla Costituzione, devono tutelare i «diritti civili e sociali» delle cittadine e dei cittadini; ovviamente l’entità di tali finanziamenti andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia, allo scopo di aver chiara la quantità di risorse necessarie alla regione.

In base al disegno di legge, che dà al governo un anno per stabilire i Lep, le intese potranno essere però formulate senza tale determinazione, finanziando quindi l’intesa in base alla spesa storica della regione nell’ambito in cui richiede l’autonomia, attribuendo maggiori risorse alle regioni del nord, che hanno una spesa storica più elevata.

Pro e contro

I sostenitori della misura evidenziano come la maggiore vicinanza ai territori si traduce in una migliore efficienza della spesa e in minori sprechi; vi è poi la convinzione che sia giusto trattenere e destinare sul territorio le tasse dei residenti.

L’autonomia differenziata avvierebbe un processo di sana concorrenza tra le regioni in una gara a chi riesce a gestire le risorse nella maniera migliore.

Viene infine sottolineato come il passaggio dalla spesa storica a quella calcolata in base agli standard dei Lep può favorire una maggiore uniformità.

Peccato che, secondo i contrari, la loro definizione sia attesa da almeno vent’anni e che tale carenza abbia fissato le disuguaglianze nell’erogazione di servizi fondamentali tra le varie aree del Paese, che sarebbero ulteriormente aggravate con una forte disomogeneità nei servizi stessi e nelle infrastrutture (come ad esempio la sanità, l’istruzione, i trasporti e la distribuzione dell’energia), nonché la sottrazione di ingenti risorse alla collettività nazionale. Insomma sarebbe minata la struttura unitaria e nazionale di molti aspetti della vita. Viene fatto osservare inoltre che le differenze varrebbero anche all’interno delle regioni a vantaggio delle aree più ricche e meglio organizzate.

L’attribuzione regionale del gettito fiscale violerebbe poi il principio di solidarietà contenuto in Costituzione, aumentando le disuguaglianze tra Nord e Sud, con ripercussioni sociali ed economiche negative per i territori più svantaggiati che potrebbero mettere facilmente in crisi l’intera Italia.

Un pericolo paventato dai contrari è il rischio di moltiplicare le burocrazie e i centri decisionali, di ingolfare le istituzioni con regole troppo diverse da regione a regione, nonché di alimentare un’ulteriore sovrapposizione delle competenze tra Stato e regioni.

Vi è una considerazione di carattere più tecnico: attualmente non esiste un criterio oggettivo che permetta di decidere se una regione sia in grado di gestire una materia meglio dello Stato.

Per i contrari, infine, l’autonomia differenziata aprirebbe le porte a un vero e proprio processo separatista, con i possibili effetti che aumenterebbero le disuguaglianze tra regioni, già peraltro presenti, col probabile risultato di spezzare in due il Paese.

Alcune osservazioni

Le autonomie territoriali sono importanti e vanno valorizzate, ma sempre in una dimensione che tenga conto di alcuni valori di fondo quali la sussidiarietà, la solidarietà e l’uguaglianza. Lo Stato ha il dovere e il potere, di garantire in ogni parte del Paese i basilari diritti per tutte le persone, secondo l’equilibrio indicato dalla Costituzione, compromesso, spesse volte, da alcune attuazioni.

L’obiettivo per tutte le articolazioni politiche e amministrative dovrebbe essere fornire condizioni adeguate per tutti, a cominciare da due materie tra le più significative per determinare la qualità di una società: la sanità e l’istruzione.

Se attualmente ci sono regioni che agiscono bene e desidererebbero operare ancora meglio, la soluzione non è di farlo a spese delle aree più deboli, deprimendole ulteriormente: è necessario rafforzare i deboli per dare più forza a tutta la comunità nazionale.