Questo mese presentiamo, rompendo una lunga tradizione, due storie speciali, tra loro molto simili, di due donne straordinarie, grandi anticipatrici e la cui esperienza fornisce spunti significativi, anche in relazione ai temi trattati nel fatto del mese. Madaleine Vionnet e Rosa Genoni sono state infatti delle imprenditrici nel settore della moda, ma con modalità innovative nel loro ambito, nella gestione delle imprese e più in generale nel porsi e agire all’interno della società.
Entrambe hanno promosso una trasformazione positiva del lavoro e del contributo delle donne nel fare impresa, sono state delle pioniere nel design come pure nel sostenere il protagonismo femminile in tutti i campi, compresa la politica.
Rosa Genoni
Iniziamo col presentare la vita della stilista italiana, seguendo l’ordine cronologico, essendo lei nata il 16 giugno del 1867, nove anni prima della collega, a Tirano in provincia di Sondrio, primogenita di 18 tra fratelli e sorelle. Il padre Luigi era calzolaio e la madre Margherita Pini sarta, come lo diventò, a un altro livello, la figlia.
A dieci anni terminata la terza elementare venne mandata a Milano come apprendista in vari laboratori di sartoria nei quali, grazie alle doti di curiosità, voglia d’imparare e spirito d’iniziativa, percorse tutti i gradini del mestiere diventando maestra già nel 1885. Allo stesso tempo ritornò a scuola seguendo corsi serali e imparando anche il francese, col desiderio di recarsi a Parigi, l’allora capitale indiscussa della moda, avvicinandosi anche alla politica, frequentando i circoli socialisti della città.
Nel 1886 si trasferì a Nizza per lavorare in un atelier, facendo ritorno a Milano due anni dopo, dove si impegnò per il miglioramento delle condizioni delle lavoratrici ed entrò a far parte della Lega Promotrice degli Interessi Femminili sostenendo le battaglie per l’emancipazione delle donne e la tutela dei minori.
Nel 1895 venne assunta da una delle più importanti case di moda del capoluogo lombardo; nel 1903 ne divenne direttrice a capo di circa 200 persone, consentendole di proporre alle clienti “modelli speciali” e non copie di stereotipati prodotti parigini. Sempre in quell’anno nacque la figlia Fanny dall’unione con l’avvocato Alfredo Podreider. Poco dopo assunse il ruolo di docente presso la scuola professionale femminile della Società Umanitaria, incarico che mantenne fino al 1931 quando si dimise per non giurare fedeltà al fascismo.
Durante l’Esposizione internazionale di Milano del 1906 propose abiti di grande pregio ispirati alla pittura italiana e utilizzando solo tessuti prodotti nel nostro Paese, ottenendo un grande successo. Molto si spese per la nascita e lo sviluppo di una moda nazionale e per valorizzare il potenziale dell’artigianato nostrano, con interventi in convegni, articoli e promuovendo la nascita di associazioni e comitati.
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale sostenne la neutralità e la pace, divenendo una delegata italiana della Women’s International League for Peace and Freedom.
Nel 1925 pubblicò il primo volume del manuale Storia della Moda Italiana attraverso i secoli a mezzo dell’immagine e nel 1928 la figlia Fanny diede alle stampe, a partire dalla sua tesi di laurea, il volume Storia dei tessuti d’arte in Italia. Nello stesso anno il marito, dietro suggerimento di Rosa, sovvenzionò la creazione di un laboratorio di sartoria per le detenute nel carcere di San Vittore a Milano, organizzato ovviamente dalla moglie, cui fecero seguito un asilo nido e un ambulatorio ginecologico, rimasti attivi fino ai bombardamenti del 1943.
Nel 1932 la famiglia si trasferì a Sanremo, dove Alfredo morirà nel 1936, e dove la nostra testimone avviò la coltivazione di un terreno con le metodiche dell’agricoltura biodinamica, precorrendo di decenni l’interesse per le colture biologiche.
Nel 1940 si spostò infine a Varese con la figlia nella villa che il marito aveva comprato per sua madre.
Nel 1948 scrisse un’appassionata lettera sulla questione palestinese al mediatore dell’ONU Folke Bernadotte, auspicando la pace tra arabi ed ebrei.
A Varese morì il 12 agosto del 1954.
Madeleine Vionnet
Madeleine Vionnet nacque il 22 giugno 1876 in una famiglia poverissima a Chilleurs-aux-Bois, un piccolo comune non distante da Orléans nel dipartimento della Loiret, figlia di Abel, un doganiere. La madre la abbandonò quando era ancora bambina e con il padre si trasferirono ad Aubervillers, nei dintorni di Parigi, in cerca di lavoro. Lasciò la scuola a dieci anni ed entrò in un atelier di moda dove lavorava la moglie di un amico del genitore. Sposatasi giovanissima si trasferì in Inghilterra in cerca di fortuna, prima come apprendista merlettaia con la paga minima, poi come semplice lavandaia e infine, imparato l’inglese, da Kate Reilly, una sarta fornitrice di abiti per la corte britannica. Grazie a lei si impadronì dei segreti della creazione di abiti importanti e del corretto rapporto con le clienti per comprenderne le esigenze.
Tornata a Parigi nel 1900 si trasferì presso la maison Callot Soeurs, una delle più rinomate di Francia, dove poté fare tesoro degli aspetti pratici dell’alta sartoria e della sua organizzazione, affinando anche la capacità di intuire e anticipare i gusti delle clienti. Il grande passo verso il successo avvenne al fianco dello stilista Jacques Doucet che la assunse allo scopo di svecchiare la sua maison; Madeleine sfruttò l’incarico di realizzare una nuova collezione per esibire le sue idee innovative e presentò i suoi abiti facendoli indossare a modelle che non portavano né corsetti né scarpe, dichiarando di essersi ispirata alla ballerina Isadora Duncan.
Nel 1912, dopo aver maturato una significativa esperienza, fondò la sua propria casa di moda che ebbe subito un grande successo, dovuto alla qualità e alla modernità delle sue realizzazioni. Infatti Madeleine Vionnet fornì un importante contributo nell’evoluzione della moda con l’uso innovativo del taglio in sbieco, diagonale di 45° rispetto al verso del tessuto. Questa tecnica rivoluzionò il modo di pensare un abito, insieme all’eliminazione dei busti. La tecnica del taglio in sbieco è usatissima ancora oggi, mentre l’eliminazione dei corpetti fu un ulteriore elemento innovativo nella moda e nel costume, con un modo di vestire estremamente più comodo. Per garantire le sue creazioni la stilista adottò un sistema per tutelare il proprio diritto d’autore avviando una campagna contro il plagio con la fondazione nel 1921 di un’Associazione per la Difesa delle Belle Arti e delle Arti Applicate. La sua tecnica era di documentare le creazioni fotografandole da tutte le angolazioni, dando un nome e un numero a ogni abito, e successivamente timbrando le fotografie con la sua impronta digitale, che divenne il suo marchio di fabbrica. Tutto ciò ha contribuito alla realizzazione di un accurato e ampio archivio che ha consentito di arricchire la conoscenza della moda dell’epoca.
Durante il periodo della Prima guerra mondiale Madeleine chiuse temporaneamente il suo atelier e si traferì a Roma dove studiò il classicismo che influenzò la sua filosofia estetica.
Nel 1919 tornò a Parigi e riaprì la casa di moda e insieme alla sua amica e collega fidata Marielle Chapsal avviò non solo a un movimento di rinnovamento stilistico, ma anche sociale. Il suo gruppo di sarte era tra i più numerosi dell’epoca e molte sceglievano di occuparsi presso di lei motivate dalle condizioni di lavoro e dalle tutele fornite. Infatti fece realizzare laboratori nuovi, molto luminosi, ben aerati, con grandi tavoli e soprattutto sedie al posto degli sgabelli, comunemente usati nelle sartorie; le dipendenti, inoltre, avevano a disposizione una mensa, una nursery, un’infermiera e un dentista e beneficiavano di una cassa di soccorso per le malattie, di congedi di maternità e ferie pagate, nonché di corsi di formazione per le apprendiste.
La Maison Vionnet chiuse nel 1939 donando il suo archivio alla Union Française des Arts du Costume con la quale collaborerà fino alla sua scomparsa, avvenuta a Parigi il 2 marzo 1975.
Nel 1988 il marchio Vionnet è stato acquistato dalla famiglia Lummen che si è concentrata inizialmente su accessori e profumi, per poi tornare alla moda vera e propria nel 2006. Infine la proprietà nel 2012 è passata alla donna d’affari russa Goga Ashkenazi.
Il commento
Alla nascita di quello che sarà poi chiamato il Made in Italy c’è proprio Rosa Genoni, come la fine dell’uso del busto è dovuto soprattutto a Madeleine Vionnet. Sembrano due considerazioni profondamente differenti, ma sono accomunate dallo spirito di innovazione, dal desiderio del cambiamento inteso come una strada verso il meglio.
Il carattere
Entrambe possedevano una personalità spiccata, determinazione, desiderio di rivalsa e di indipendenza. Hanno affrontato la vita e le sue difficoltà, basti pensare alla situazione familiare e alla povertà, con decisione e grande applicazione. Ecco un’importante caratteristica da porre in evidenza: non è sufficiente avere doti particolari, è indispensabile coltivarle, impegnarsi, formarsi, faticare per raggiungere dei risultati. È un insegnamento fondamentale soprattutto nel tempo presente.
Un altro elemento da far risaltare è la capacità e il coraggio di cambiare, di portare un contributo peculiare e inconsueto. Sono state due pioniere sia come stiliste, con intuizioni innovative, sia come imprenditrici, attente alle condizioni di lavoro delle dipendenti e alle loro esigenze.
Il loro essere dalla parte delle donne, il loro femminismo, era tutto in positivo, non tendeva a misurarsi col maschile, ma proponeva un modello originale, di sviluppo della persona con le sue peculiari caratteristiche.
Le imprenditrici
Le nostre testimoni avviarono attività di grande successo che allo stesso tempo erano attente alle condizioni di lavoro e alla dignità delle persone. L’innovazione di prodotto procedette di pari passo con quella della situazione delle dipendenti, proposero una trasformazione positiva dell’essere casa di moda, con un approccio che valorizzava il contributo delle donne.
Si occuparono di tutti gli aspetti del lavoro nell’atelier, dalle postazioni fino ai processi e ai metodi produttivi. Conoscevano l’importanza di impiegare ottima manodopera insieme al valore della formazione.
Furono delle anticipatrici anche sul piano della comunicazione, diremmo oggi del marketing, allo scopo di far conoscere i prodotti per facilitarne la vendita e il successo.
La politica
Entrambe si impegnarono su terreno politico, seppure con modalità e intensità differenti. Madeleine in modo più indiretto e implicito, Rosa in termini più attivi e dichiarati. Fu infatti socialista, militante per la pace, e i due universi che potrebbero essere interpretati come separati, se non in contrasto, come moda e politica, finirono per convergere sul terreno dell’emancipazione e del contributo sociale ed economico.
Le due hanno creduto e portato avanti un’utopia, da intendere non come qualcosa di velleitario e irrealizzabile, ma come una visione che va oltre a ciò che esiste per migliorarlo, per renderlo concretamente avanzato. Basti pensare, per quanto concerne Rosa Genoni, al suo impegno per il prodotto italiano o a Madeleine Vionnet per le scelte sul luogo di lavoro.
Anche in tali aspetti si è manifestata la loro prospettiva politica.
Il messaggio
La loro esperienza è ricca di significati. In primo luogo mostra la possibilità, con la dedizione e l’impegno, a realizzare se stessi e le proprie aspirazioni, non nella prospettiva “tutto e subito”, bensì in un’ottica di percorso.
Un ulteriore spunto è la loro capacità di guardare “oltre”, di superare il già fatto per puntare al nuovo e al meglio.
Le fonti
Le due figure sono indubbiamente sconosciute, salvo forse alla ristretta schiera dei professionisti della moda. Molti articoli sono reperibili nel web digitando semplicemente i loro nomi, come pure alcuni video nei quali sono presentate. Sono poi disponibili alcuni libri a loro dedicati, quali Le ragazze rivoluzionarie della moda di Anna Turcato e Rosa Genoni, moda e politica. Una prospettiva femminista fra 800 e 900 di Manuela Soldi e, in francese, Vionnet di Jacqueline Demornex.
Rosa, all’Esposizione universale di Milano del 1906, con le sue creazioni si aggiudicò il Gran Premio per la sezione Arte Decorativa della Giuria Internazionale, e due di queste – l’abito da ballo ispirato alla Primavera del Botticelli e il Manto di corte ispirato a un disegno di Pisanello – sono conservate alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze. Il Comune di Milano nel 2015 ha deciso di iscrivere il suo nome nel Famedio del Cimitero Monumentale nel quale riposa. Nel 1925 uscì la sua Storia della Moda attraverso i secoli a mezzo dell’immagine; in precedenza aveva già dato alle stampe i volumi La storia della moda attraverso i secoli: dalla preistoria ai tempi odierni e Per una moda italiana: Modelli, Saggi, schizzi di abbigliamento femminile, disponibili in formato digitale.
L’abitazione di Madeleine, nella quale era ospitata anche la sua manifattura, fu in seguito adibita a museo della moda. Nel 1973, il Metropolitan Museum di New York le dedicò, lei vivente, una grande retrospettiva. La pubblicazione firmata da Diana Vreeland, The 10’s, the 20’s, the 30’s: inventive clothes 1909-1939, è in mostra all’interno della collezione permanente del Met Museum di New York, ma anche sfogliabile online, e il capitolo dedicato al lavoro di Madeleine è a pagina 12.
Concludiamo con alcune brevi citazioni.
«Il nostro patrimonio artistico potrebbe servire di modello alle nuove forme di vesti e di acconciature, che così assumerebbero un certo sapore di ricordo classico ed una vaga nobiltà di stile […] Come mai nel nostro paese da più di trent’anni assurto a regime di libertà, in questo rinnovellarsi di vita industriale ed artistica, come mai una moda italiana non esiste ancora?».
«Mi sono impegnata, come per la donna, a liberare il tessuto dalle costrizioni che gli venivano imposte. Entrambi mi sembravano vittime calunniate. Ho provato che una stoffa che cade liberamente su un corpo era lo spettacolo armonioso per eccellenza. Ho cercato di dare al tessuto un equilibrio tale che il movimento non sposti la linea, ma la magnifichi ancora di più».
«Ricordo le orribili condizioni di lavoro di quando ero una ragazza, e in quel momento volevo che il nostro atelier fosse il meglio».