Nove paesi presentano livelli di malnutrizione allarmanti e in altri 34 la fame è considerata grave, e la situazione è in continuo peggioramento.
Lo rivela, come ogni anno dal 2006, l’Indice Globale della Fame (GHI. Global Hunger Index), adottato e sviluppato dall’International Food Policy Research Institute (IFPRI), curato oggi dall’ONG tedesca Welthungerhilfe e dall’irlandese Concern Worldwide, partner europei del network Alliance2015. Dal 2008 l’edizione italiana è curata da CESVI (Cooperazione E SVIluppo).
Il metodo
Il GHI combina quattro indicatori. La denutrizione, cioè la percentuale di popolazione con insufficiente assunzione di calorie; il deperimento infantile, vale a dire la percentuale di bambini sotto i cinque anni che hanno un peso insufficiente per la loro altezza, indice di sottonutrizione acuta; l’arresto della crescita infantile, la percentuale di bambini sotto i cinque anni che hanno un’altezza insufficiente per la loro età, indice di sottonutrizione cronica; infine la mortalità infantile, il tasso di mortalità sotto i cinque anni, che riflette parzialmente la fatale combinazione di un’alimentazione insufficiente e di ambienti insalubri.
L’indice classifica i paesi mediante una scala da 0 a 100 punti, dove 0 rappresenta il miglior valore possibile, dunque assenza di fame, e 100 il peggiore: più alto è il valore più grave è la situazione. «Valori inferiori a 9,9 mostrano un’incidenza della fame molto bassa, mentre tra 10 e 19,9 il valore è moderato. Valori tra 20 e 34,9 segnalano una situazione di grave fame, mentre valori tra il 35 e il 49,9 livelli allarmanti. Oltre il 50, il problema della fame è considerato estremamente allarmante».
Ogni anno il rapporto aggiorna i dati e si concentra su un tema specifico, in modo da rappresentare le molte dimensioni del problema e delle sue soluzioni. In questa edizione l’attenzione è stata posta sul nesso tra fame e salute e il rapporto tra fame e cambiamento climatico, migrazione forzata, disuguaglianze nell’accesso a cibo e risorse, nonché come la fame è trattata nell’Agenda 2030 dell’ONU.
Una situazione in peggioramento
Il GHI mostra che in alcuni paesi sono stati fatti dei passi in avanti significativi, ma dal 2015 globalmente non emergono grandi progressi. Il punteggio mondiale è 18,3, quindi di livello moderato, di poco migliore del 19,1 attribuito all’anno di riferimento. Purtroppo, però, da 2017 la denutrizione, uno degli indicatori, ha visto un incremento notevole in quanto il numero delle persone considerate denutrite è salito da 572 a 735 milioni, con un’inversione di tendenza rispetto al passato recente.
Le aree geografiche maggiormente coinvolte sono la zona equatoriale e tropicale dell’Africa e il subcontinente indiano.
Le ragioni di tale peggioramento sono da ricercare in una serie di crisi sovrapposte, quali la pandemia, la guerra in Ucraina e i tanti conflitti sparsi per il mondo, ai quali vanno ad aggiungersi le conseguenze delle catastrofi climatiche che hanno provocato carenze alimentari. Le prospettive non sono entusiasmanti, poiché si prevede il perdurare di una serie di problemi derivanti dalle crisi climatiche.
Chi paga le conseguenze: le giovani
Le aree più problematiche sotto il profilo alimentare sono anche quelle che ospitano la maggior parte della popolazione giovanile mondiale; non solo, i dati mostrano come le donne e le ragazze rappresentano il 60% delle vittime della fame acuta.
Le aree considerate sono quelle maggiormente colpite da quella che viene chiamata «la perdita della sovranità alimentare», uno degli elementi di debolezza dei sistemi alimentari che dovrebbero sostenere le popolazioni che abitano quelle zone. Tale problematica «è stata accelerata da diversi fattori importanti, tra cui il colonialismo, la cattiva governance, la capitalizzazione intensiva dei sistemi alimentari, la diffusione delle monocolture e alcuni effetti negativi della Rivoluzione verde». La conseguenza è che i sistemi agricoli e le conoscenze locali sono in pericolo.
Un investimento sui giovani perché si riapproprino di un’agricoltura strumento di un sistema alimentare positivo e una lotta al fenomeno potrebbero avere effetti estremamente favorevoli sulla lotta alla fame.
Alcune indicazioni
Il rapporto fornisce delle raccomandazioni alla politica e ai governi perché perseguano lo sviluppo di sistemi alimentari «equi, sostenibili, resilienti e capaci di rispettare, proteggere e far valere il diritto a un’alimentazione adeguata per le generazioni attuali e future».
In primo luogo è indispensabile porre il diritto per tutti al cibo al centro della trasformazione dei sistemi alimentari, quindi al centro delle politiche, dei programmi e dei processi di governance di tali sistemi. La seconda indicazione riprende la sottolineatura sull’importanza dell’investire «nelle capacità dei giovani di assumere un ruolo guida nella trasformazione dei sistemi alimentari», attraverso la formazione e riforme dei diritti fondiari e di proprietà per consentire loro di dedicarsi all’agricoltura in modo redditizio e sostenibile. La terza raccomandazione riguarda l’investire nei sistemi alimentari, sostenendo e diversificando le produzioni agricole, integrando i sistemi tradizionali con le moderne tecnologie; si tratta inoltre di migliorare le condizioni di lavoro e garantire salari adeguati.
«Le soluzioni dovrebbero incentrarsi su una prospettiva a lungo termine, in grado di andare oltre il 2030 e riflettere le aspirazioni giovanili a un futuro giusto, sostenibile e sicuro dal punto di vista alimentare e nutrizionale».