Una delle frasi celebri degli scout afferma che ci si dovrebbe impegnare per «lasciare il mondo un po’ migliore» di come lo si è trovato. D’altronde a chi non piacerebbe che fosse un posto più bello in cui vivere.
Tale è lo scopo che si prefigge la Giornata della Gentilezza, celebrata lo scorso 13 novembre, come tutti gli anni. E come tutti gli anni (succede spesso agli eventi positivi) è passata per lo più sotto silenzio.
Perché si festeggia
Lo scopo della ricorrenza è promuovere il potere positivo della gentilezza verso gli altri e verso se stessi; la data è stata scelta poiché ricorda il giorno d’inizio della conferenza del World Kindness Movement svoltasi a Tokyo nel 1997, che portò alla firma della Dichiarazione della Gentilezza alla quale hanno aderito 35 paesi, compreso il nostro, e alla nascita di un movimento internazionale la cui sede italiana è a Parma dal 2001. A partire dal 1998 si festeggiò la Giornata della Gentilezza il 13 novembre: quindi ha appena compiuto 25 anni.
Nel corso del tempo si sono moltiplicate le iniziative per celebrare la ricorrenza e per tener viva sempre l’attenzione a un tema che può apparire romantico e superato, in una realtà sempre più competitiva e aggressiva, in un sistema guidato da tali paradigmi.
La giornata e il movimento che la propone spingono invece a considerare valori diversi, opposti, quali il rispetto, la tolleranza, l’empatia.
Il manifesto della gentilezza
Fin dalla dichiarazione che l’ha promosso il movimento ha elaborato e diffuso un decalogo di indicazioni, solo all’apparenza banali e scontate:
- vivere bene insieme, ascoltare ed essere pazienti;
- essere aperti verso tutti, salutare, ringraziare e sorridere;
- lasciare scivolare via le sgarberie e abbandonare l’aggressività;
- rispettare e valorizzare la diversità, grande fonte di ricchezza;
- non essere gelosi del sapere, comunicare, trasmettere e condividere;
- il pianeta è uno solo, non inquinare e non sporcare;
- ridurre gli sprechi, riciclare, riutilizzare e riparare;
- seguire la stagionalità e preferire i prodotti locali;
- proteggere gli animali, non sfruttarli, non maltrattarli e non abbandonarli;
- allevare gli animali in modo etico, non infliggere sofferenze.
Una rivoluzione
Negli anni ’90 il settimanale satirico Cuore titolava «la gentilezza è rivoluzionaria» e, per alzare il livello della citazione, il concetto è stato ripreso da papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, come una pratica che libera le relazioni, «trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e confrontare le idee». È proprio vero. Normalmente si considera la gentilezza un elemento accessorio, invece tutti ne dovremmo rivendicare il diritto e il dovere, come uno dei fondamenti del vivere comune, in quanto nel concetto si collocano aspetti fondamentali quali il rispetto degli altri, delle differenze e delle leggi, un’interazione virtuosa e proficua col prossimo, uno strumento, insomma, per vivere meglio, tutti, per costruire vere comunità.
Essere gentili e ben disposti nei confronti delle altre persone significa uscire dall’individualismo e aprire se stessi a ciò che ci circonda, non solo agli esseri umani, significa erigere una barriera contro presunzione e arroganza, combattere contro la solitudine e la paura, significa sentirsi in pace, sereni e donare ciò al prossimo.
Gentilezza può voler dire molte cose concrete e fattibili. Sorridere, avvicinarsi con delicatezza, saper ascoltare e mettersi nei panni degli altri, avere sensibilità, una buona disposizione verso il prossimo; essere generosi, dare gratuitamente, essere altruisti. Vuol dire, per contro, imparare a gestire i sentimenti e le reazioni negative, come la rabbia e l’invidia.
Corrisponde anche allo sforzo di guardare oltre se stessi, oltre i confini delle nazioni, oltre le culture, le etnie e le religioni, oltre le differenze.
Educare la gentilezza
Le famiglie e le altre agenzie educative dovrebbero sentirsi responsabili di formare persone gentili. A cominciare dalle mura della propria casa, abituando fin da piccoli a semplici azioni, come salutare, chiedere per favore, ringraziare e tanto altro: piccoli gesti con significati profondi.
Chi si occupa della formazioni dovrebbe accettare la sfida di proporre quelle che in termine tecnico, inglese, si chiamano soft skills, le competenze non cognitive, così importanti per una crescita integrale. La gentilezza è una di esse, da utilizzare in tutti gli ambiti dell’esistenza, dai rapporti sociali al lavoro, dal linguaggio alla politica. In tutti gli ambienti un tale approccio permette un clima sereno, responsabilizza e motiva a fare di più e meglio, a perseguire il bene comune.
Un osservatorio, un assessorato e delle panchine
Il movimento italiano ha promosso la nascita di un Osservatorio sul tema, per studiare, riflettere e promuovere il valore sociale, ambientale ed economico della gentilezza. Uno dei primi progetti, infatti, è analizzare i suoi effetti a cominciare dall’aumento del Pil, secondo la convinzione che un ecosistema più gentile ha delle ripercussioni anche sulla ricchezza di un paese, per fornire ai decisori dati e indicazioni utili a supportarli nelle scelte.
Sotto la spinta del movimento in Italia molti comuni hanno istituito un assessorato alla gentilezza, con l’obiettivo di fornire ai cittadini strumenti che possano favorire atteggiamenti utili. Una pratica semplice ma significativa è la realizzazione delle “panchine viola”, poste in spazi pubblici e sulle quali sono scritte frasi che ricordano il loro scopo.
Per una politica gentile
Nella citata enciclica papa Francesco evidenzia l’importanza della gentilezza anche in politica: «in molti Paesi» per «esasperare, esacerbare e polarizzare. Con varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare. Non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori, e in questo modo si impoverisce e si riduce alla prepotenza del più forte. La politica così non è più sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing». La «rivoluzione» della gentilezza, dunque, per costruire una società migliore.
Nel tempo dei populismi e della politica gridata, di partiti senza storia e memoria, orfani di personaggi di spessore, privi di testimoni veramente autentici e animati da ideali forti, con posizioni che durano lo spazio e il tempo di un messaggino, la sfida diventa ancora più alta. Da una parte vi è lo scontro perenne, i toni esasperati, le strumentalizzazioni e l’opportunismo; dall’altra si colloca la strada del dialogo costruttivo: «Della gentilezza e del coraggio», per citare il titolo di un libro.
La gentilezza diventa quindi una virtù civile, un veicolo di cambiamento, capacità di porre e porsi domande, di avere dubbi, di praticare un pensiero critico. Non significa sottrarsi al confronto e anche al conflitto, vuol dire accettarlo, ma entro certe regole, farlo diventare strumento di progresso e non di distruzione, mezzo per evitare le semplificazioni, capacità di scegliere e decidere con argomenti seri e profondi.
La gentilezza: ecco un modo per cambiare in meglio la politica, e il mondo.