Il 13 febbraio scorso è morto il missionario olandese che è stato l’anima del commercio equo e solidale. È stato un teologo e un’economista, pur vivendo per molti anni come prete operaio, vivendo in prima persona i problemi dei piccoli produttori e lavoratori del caffè. La sua esperienza lo portò a riflettere su tale situazione e indicare, praticandola, la via per superarla in positivo, contribuendo a fondare l’Uciri, l’Unión de comunidades indígenas de la Región del Istmo. L’organizzazione nacque proprio per contrastare la miseria nella zona messicana di Zapoteca e Mixe de la Sierra e per superare la dipendenza e lo sfruttamento degli intermediari della vendita del caffè.
La vita
Francisco Petrus van der Hoff Boersma nacque il 13 luglio del 1939 a De Rips, nel Sud dell’Olanda, in una povera famiglia di contadini. Fin da giovane fu politicamente attivo nel movimento studentesco alla Radboud University Nijmegen, dove conseguì il dottorato in Economia politica. Studiò poi teologia in Germania, laureandosi e venendo ordinato sacerdote cattolico nella congregazione dei Dehoniani.
Nel 1970 si trasferì a Santiago del Cile per lavorare nei barrios come prete-operaio e andando in seguito a fare il minatore in una miniera nel nord del Paese. A causa del golpe del 1973 si trasferì in Messico per continuare la sua opera nelle baraccopoli di Città del Messico. Sette anni più tardi si spostò a Oaxaca, nel Sud del Messico, lavorando come prete operaio e integrandosi velocemente nella comunità, sperimentando in prima persona la miseria e le difficoltà economiche dei piccoli produttori locali di caffè.
Nel 1981 partecipò alla creazione di Uciri, una cooperativa di piccoli produttori di caffè fondata con l’obiettivo di affrancarsi dagli intermediari locali, chiamati anche coyotes. Nel 1985 incontrò alla stazione di Utrecht, tramite un amico comune, Nico Roozen, responsabile dello sviluppo commerciale presso l’agenzia ecumenica per lo sviluppo denominata Solidaridad, che si interessò al lavoro di van der Hoff. I due il 15 novembre 1988 lanciarono il primo marchio di commercio equo e solidale “Max Havelaar”, prendendo il nome dal titolo di un famoso romanzo olandese pubblicato nel 1860 che raccontava la storia del protagonista che denunciava lo sfruttamento coloniale nelle Indie Orientali Olandesi.
L’iniziativa offriva ai piccoli produttori di caffè, che s’impegnavano a rispettare alcuni standard sociali e ambientali, un prezzo per il loro prodotto decisamente superiore a quello offerto dai mediatori. Il caffè, proveniente dalla cooperativa, veniva importato dalla società olandese Van Weely, torrefatto da Neuteboom e quindi venduto direttamente al dettaglio. L’iniziativa ebbe un grande successo e venne estesa ad altri prodotti agricoli, quali cacao, cotone, così come a diversi paesi del Terzo Mondo in Sudamerica, Africa e Asia. Fu creata allora la Fairtrade International, con le associate Fairtrade nazionali, distributrici del marchio nei singoli paesi. La crescita del commercio equo e solidale permise incrementi significativi, addirittura del 24% annuo, e tolse dalla miseria circa un milione e mezzo di contadini, raggiungendo un giro d’affari pari a sei miliardi di dollari.
Van der Hoff ha scritto alcuni libri sul commercio equo e solidale e sui piccoli produttori che ne fanno parte e portato tale messaggio, insieme a quello dell’economia sociale in convegni e conferenze in ogni parte del mondo.
Con l’avanzare dell’età lasciò le sue responsabilità nella cooperativa e nell’organizzazione internazionale, abitando nel villaggio messicano di Ciudad Ixtepec, nello stato messicano di Oaxaca, vivendo della vendita dei pomodori da lui coltivati e delle uova delle sue galline, animando naturalmente la comunità cristiana del luogo, fino alla morte sopraggiunta il 13 febbraio 2024.
Il commento
Se ha ragione don Milani quando affermava «Ho insegnato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia», non c’è dubbio che Frans van der Hoff sia stato anche una persona fortemente impegnata in politica: sulle confezioni del caffè dell’Uciri si legge infatti «Uniti vinceremo». E questa è stata la pratica concreta del nostro testimone che si è “incarnato” nelle comunità in cui ha vissuto, in particolare in quella dei produttori di caffè.
La sua, insieme altri, è stata un’esperienza autenticamente rivoluzionaria, e autenticamente di fede, con i poveri, condividendone la vita e i problemi, e cercando le soluzioni per affrontarli.
L’esperienza concreta
Lavorando nella zona montuosa nel nord del Messico si rese conto della crisi permanente e strutturale delle comunità che ci vivono, faticando, per citarlo, «a guadagnare tre dollari al giorno». Pur in queste difficoltà, caratterizzate da esclusione, sfruttamento, umiliazioni, van der Hoff colse la speranza di una vita dignitosa, il pensiero positivo di come uscirne, attraverso la solidarietà caratteristica della natura sociale dell’umanità. Riflettendo su tale situazione si convinse della possibilità di creare un’altra organizzazione sociale che superi quella del capitalismo, basata invece sull’ingiustizia, la disuguaglianza, l’interesse di pochi.
La soluzione è un’economia sociale e solidale, un mercato che superi lo sfruttamento e dal giusto profitto per quello che si produce, insieme a modalità di coltivare rispettose dell’ambiente. Quindi organizzarsi in cooperative che migliorino le condizioni di vita, utilizzino l’agricoltura biologica, facilitino l’accesso a credito e creino reti di commercio alternative.
Cambiare dal basso
La soluzione ai problemi locali e, più in generale, alle grandi questioni globali, può essere perseguita con piccole scelte e piccoli gesti. Lo dimostra la nascita del commercio equo e solidale, partito da una remota zona del Messico e condotto da poveri contadini.
Servono però una serie di elementi: la conoscenza, una visione, capacità di affrontare i problemi, strategie, alleanze e volontà.
È un messaggio forte che va diritto al centro della democrazia. Per lui, come per papa Francesco, va posta in discussione la realtà del nostro sistema, poiché rischia di diventare una plutocrazia irresponsabile che ignora i diritti umani e distrugge la Terra, come affermava il nostro testimone. Dalla sua esperienza ha mostrato come i contadini con i quali ha vissuto fossero esempi di valori importanti, quali la semplicità, la solidarietà, il rispetto della natura e dei suoi ritmi, valori che sfidano l’Homo oeconomicus della civiltà capitalista occidentale.
Ci invita a «camminare verso un nuovo paradigma che non si basi sulla massimizzazione del profitto o sul farsi guidare da statistiche astratte come il PNL (prodotto nazionale lordo), ma che si occupi di tutto il nostro essere, natura e spirito, della qualità della vita: la nostra, quella delle nuove generazioni e quella della natura…».
Un forte impegno
Il nostro testimone ha messo tutta la sua energia, tutte le sue conoscenze e competenze al servizio dell’emancipazione e della crescita degli uomini e delle donne che erano diventati il suo popolo: chi lo ha conosciuto ricorda come ne parlasse con passione e con grande tenerezza. La tenerezza di Dio. Manifestava anche una profonda gratitudine perché aveva imparato da queste popolazioni sofferenti quali fossero i veri valori della vita e del rispetto per la terra che nutre. Malgrado fosse un intellettuale plurilaureato, era convinto di avere qualcosa da offrire, ma era consapevole di avere soprattutto molto da imparare perché «è ai piccoli che il Signore ha rivelato tutte le cose».
Malgrado i risultati conseguiti ha sempre continuato, fino alla decisione di passare la mano ad altri, a lottare, non considerando mai un successo quanto realizzato. Malgrado la Max Havelaar fosse presente in oltre 80 paesi con un fatturato di circa quattro miliardi e un milione e mezzo di famiglie di piccoli produttori che ne hanno beneficiato, egli si rifiutava di parlare di successo, sia perché di poveri ve ne sono ancora troppi, sia temendo una perdita della propria “anima” da parte del commercio equo e solidale per la troppa diffusione.
Una fede operosa
La motivazione profonda che ha spinto van der Hoff a darsi completamente nella realizzazione di quanto fatto è stata la sua fede e il vivere fino in fondo il suo ministero. Non vi è stata in lui separazione tra questi e l’azione, con la sua presenza ha manifestato l’amore di Dio. È stato autenticamente il pastore nel suo villaggio messicano, perché è stato uno di loro, perché ha loro voluto bene nel concreto.
La sua è stata un’autentica azione evangelizzatrice e nelle testimonianze che ci ha lasciato, in particolare i suoi scritti, si trova sempre il Vangelo, la sequela di Cristo, i segni del Regno nella vita delle persone e nelle vicende.
Le fonti
Non molto è possibile trovare su Frans van der Hoff, anche se la sua scomparsa lo ha, in qualche modo, portato agli onori delle cronache, seppure in modo troppo modesto, in rapporto alla sua figura. Certo il suo impegno non era nelle prospettive del mainstream.
Qualche articolo comunque è possibile consultarlo, come pure sono presente nella rete diversi video a lui dedicati e che presentano la storia del commercio equo e solidale. Wikiradio di Rai Radio 3 gli ha dedicato un’interessante puntata.
Tre libri sono da consigliare a chi desiderasse approfondire la sua conoscenza: Max Havelaar. L’avventura del commercio equo e solidale di Nico Roozen e lui stesso, Faremo migliore il mondo. Idea e storia del commercio equo e solidale e Manifesto dei poveri. Il commercio equo e solidale per non morire di capitalismo, sempre di Frans van der Hoff.
In vita ha ricevuto alcuni importanti riconoscimenti. Nel 2005è venne nominato Cavaliere della Legion d’Onore dal Presidente della Repubblica francese Jacques Chirac; l’anno successivo ricevette il premio “Nord Sud” del Consiglio d’Europa, fu nominato Comandante dell’Ordine della Corona, in Belgio, dal Ministro della Cooperazione e dello Sviluppo, ricevette il Dottorato onorario presso l’Università Cattolica di Lovanio per i suoi sforzi nella creazione di un’«Altra Economia», e il Groeneveldprize dalla Fondazione Groeneveld nei Paesi Bassi per i suoi sforzi speciali nella conservazione della natura e dell’ambiente. Nel 2012 fu insignito del titolo di Dottore Honoris Causa presso l’Università di Nizza.
Come sempre ecco qualche citazione.
«La povertà del piccolo produttore non è un semplice dato economico che, a breve o medio termine, può essere modificato. È il sistema economico attuale, il neoliberismo, che crea e mantiene un tale stato di fatto. Mi si obietterà che questa non è affatto una novità, ma nel continente in cui vivo, in un paese così vicino agli Stati Uniti, il neoliberismo non è soltanto un termine logoro e abusato, è una realtà che fa rabbia. Qui, come in altre parti del mondo, i tentativi per trovare delle vie d’uscita vanno a cozzare contro un sistema economico intrinsecamente non solidale. Il modello di mercato con il quale ci confrontiamo, infatti, inibisce l’economia sociale e genera un numero sempre crescente di esclusi»
«La principale ragion d’essere dell’economia, la creazione di ricchezze, è oggi polverizzata dal mercato: più che le ricchezze, è la penuria a essere distribuita tra il maggior numero di persone. Un libero mercato, privo di regole e di protezione sociale, senza un’equa gestione dei bisogni e un’efficace tutela delle fasce più deboli della società, produce inevitabilmente povertà. Le ricchezze si accumulano nelle mani di pochi, siano essi imprese, banche o privati. Un accumulo smisurato ma legale o, in altri termini, la mancanza di volontà politica ed economica di ripartire equamente le ricchezze – un fine che comporterebbe modifiche strutturali del mercato».
«Scopo di questa nuova forma di commercio è la creazione di imprese sociali e solidali in associazione con consumatori consapevoli e responsabili, che scelgono prodotti di migliore qualità. Siamo convinti che coloro che oggi sono esclusi dal mercato mondiale possano diventare i protagonisti di domani».
«Stiamo per perdere gli apporti fondamentali della cultura occidentale, quei valori universali che si fondano sulla cittadinanza: la giustizia, i diritti dell’uomo, l’equità, il rispetto reciproco ecc. La globalizzazione del potere, dell’economia di mercato, la perdita del senso della realtà concreta finiscono per deformare tutto. Al punto che un simulacro di progresso e di democrazia prende il sopravvento su questa realtà vera, che finiamo per perdere di vista. Così i valori universali stanno scomparendo e diventando superflui».
«Il commercio equo e solidale è una pratica commerciale fondata sull’efficienza economica e sulla sostenibilità sociale ed ecologica. Il prezzo di costo totale (che include i costi produttivi e sociali necessari alla riproduzione sociale dei piccoli produttori, affinché possano realmente provvedere ai bisogni quotidiani e avere accesso a un certo numero di beni collettivi) è lo strumento indispensabile all’attuazione di questo modello. Il commercio equo e solidale si conforma a suo modo alle leggi economiche generali, mentre il sistema dominante il più delle volte si limita al rendimento economico accontentandosi di professare a parole la sostenibilità sociale ed economica».
«Noi non ci opponiamo a una liberalizzazione del mercato. Le barriere fiscali, i protezionismi, i pregiudizi commerciali internazionali ecc. non hanno favorito la coesistenza pacifica tra i popoli. Al contrario, sono stati causa di molti conflitti a tutti i livelli, mondiale, nazionale o locale, e di una ripartizione diseguale del bene comune. Un protezionismo superato si è presentato come la variante di un capitalismo favorevole alle grandi potenze economiche. È infatti dal protezionismo degli anni trenta che sono nate le prime multinazionali; queste, ponendosi a un livello internazionale, cercavano di sfuggire alle leggi che le penalizzavano, traendo vantaggio da quelle stesse leggi a livello nazionale». «Noi ci siamo opposti tanto all’interventismo statale quanto all’economia neoliberista e proponiamo, in cambio, un’economia sociale sostenibile. Si tratta di un protezionismo di un genere nuovo, suscettibile di garantire la protezione dell’ambiente naturale, di ridurre le diseguaglianze economiche e di rispondere correttamente agli imperativi sociali e umani di tutti, non soltanto dei privilegiati. Il protezionismo è una buona cosa, a condizione che se ne correggano le applicazioni pregiudizievoli che ne sono state fatte in passato. Noi proponiamo un’economia di integrazione e di vita che abbracci le tre “E”: economia, ecologia ed equità».