Le Piccole Officine Politiche insieme ad Azione Cattolica e Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale hanno organizzato, sabato 13 aprile, il primo degli appuntamenti del percorso presentato nell’incontro tra l’Arcivescovo e i politici locali. La partecipazione è stata significativa, dal nostro punto di vista, poiché malgrado i mille impegni che caratterizzano la vita delle persone che sono impegnate in politica, un quarantina hanno deciso di intraprendere tale percorso, che ha lo scopo di offrire un’occasione per condividere esperienze, problemi, aspirazioni, un luogo in cui dialogare andando oltre gli steccati delle singole appartenenze, alla ricerca di prospettive per il bene comune.
L’incontro aveva per tema “mantenere le motivazioni dell’impegno” ed è stato introdotto da una riflessione biblica di don Germano Galvagno, docente di Antico Testamento presso la Facoltà teologica di Torino, a partire da due passi dell’AT, che si possono riassumere nella parola “discernimento”.
Il sogno di Salomone: la sapienza
Il primo brano ha a che fare con il modo di stare dentro la cosa pubblica e di farsi carico di una responsabilità sapendo che lo stile non è semplicemente una questione di galateo, ma è la declinazione concreta di quelli che sono i propri riferimenti. In questo senso è possibile porsi in ascolto della Parola di Dio per recuperare alcune dimensioni di fondo.
La citazione è tratta dal capitolo 3 del Primo Libro dei Re e riguarda Salomone, uno dei grandi sovrani della tradizione veterotestamentaria, quello che è rimasto nell’immaginario biblico come il re sapiente. C’è un passaggio decisivo che contribuisce a connotare in tal modo Salomone. Egli è a Gabaon e in sogno gli appare il Signore (il sogno nella mentalità biblica è uno spazio non gestito dall’uomo, è uno spazio in cui Dio si può manifestare), e riceve una richiesta: «chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone allora domanda il dono della Sapienza, poiché si definisce solo un giovane che non sa come regolarsi. La questione non è solo anagrafica: nel mondo biblico dire «io sono solo un ragazzo» non è semplicemente un fatto di età, ma è riconoscere la propria inadeguatezza. Al Signore piace che Salomone chieda un cuore docile (letteralmente in ebraico significa un cuore in ascolto, un cuore capace di ascoltare per rendere giustizia, per distinguere il bene dal male) e non un lungo governo, la ricchezza o la vita dei nemici. Salomone assume dunque i connotati del saggio, del re sapiente capace di giudicare, di rendere giustizia, di discernere il bene dal male.
Se noi fossimo al posto di Salomone cosa chiederemmo? Abbiamo mai pensato di aver perseguito delle priorità che sono risultate effimere o illusorie, non all’altezza del meglio di noi, del compito che Dio ci ha affidato? Come alimentiamo la difficile arte del discernimento nel giudicare nella nostra vita le responsabilità piccole o grandi? Come si mantiene viva la sensibilità all’ascolto, ad approfondire le cose nel modo più adeguato possibile?
Giudicare il bene e il male
Il secondo testo è più noto, ma come spesso accade nella Bibbia viene talvolta frainteso, non colto in tutte le sue sfumature. Si tratta del secondo racconto della creazione e, in particolare, della prima disobbedienza. Dio in questa versione crea l’uomo, lo colloca nel giardino, il paradiso terrestre: un luogo bello, ma comunque impegnativo, poiché come recita il versetto 15 del capitolo due, «il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse», quindi doveva lavorare indipendentemente da quanto accade in seguito. Dopodiché, nel versetto successivo, Dio esprime un ordine: «tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».
Giudicare il bene e il male è significativo nel mondo biblico, ma l’approccio è molto pragmatico e tipico della mentalità ebraica dell’Antico Testamento: è concreto, non c’è spazio per idee astratte. Il racconto afferma che Dio vieta di mangiare quell’albero, non la conoscenza del bene e del male. Dove sta la differenza? Dio chiede un atteggiamento preciso: di non ridurre tale conoscenza a ciò che è consumabile, a ciò che si può “mangiare”, chiede un modo diverso di assumere quella consapevolezza.
In seguito c’è il racconto del cosiddetto “peccato”: questo non è però il termine utilizzato nel testo originale, bensì è “disobbedienza”. Il serpente, una figura mitica che è l’espressione delle parti più oscure di noi, si pone come maestro del sospetto, insinuando il dubbio che Dio non stia facendo il bene dell’umanità, che la voglia tenere in una condizione di minorità per salvaguardare se stesso. Questa si lascia affascinare dalla proposta ambigua del serpente e assume il frutto. L’effetto però non è quello di diventare come Dio, come suggerito, ma di ritrovarsi più impoveriti, poiché la conoscenza del bene e del male è stata ridotta a oggetto di consumo. La sfida da parte di Dio era di mantenere il senso di una differenza, del fatto che certe dimensioni sono più alte ed è necessario avere la consapevolezza dei diversi livelli di “assimilazione” di quanto ci circonda: non tutto può essere ridotto a oggetto di consumo. Dio chiede all’umanità di rimanere consapevole di tali differenze, altrimenti la conoscenza del bene e del male viene preclusa: invece essa ha bisogno di strumenti adeguati.
Consideriamo quali spunti derivano dal brano. Ci concediamo tempo e strumenti per riflettere in modo adeguato sulla realtà e per alimentare in modo robusto l’impegno politico? Non si corre il rischio di finire in una sorta di “tritacarne” correndo di continuo dietro agli impegni, senza alimentare il senso del discernimento, quella Sapienza prima accennata? La realtà impone l’urgenza delle scelte concrete e operative, ma l’attività politica si spende tutta nella soluzione concreta dei problemi o non bisogna anche perseguire strategie di lungo termine?
È indispensabile tenere insieme la buona amministrazione con gli ideali, la lettura del sociale, di quel che accade, altrimenti il rischio è che essa diventi semplicemente una rincorsa alle urgenze del momento, al mero consenso elettorale, per cui la responsabilità politica cade semplicemente in una logica di consumo, di immediatezza, senza un salto di qualità che guarda con lucidità alle prospettive. Allora la politica scivola nella banalità degli slogan, nelle strategie di corto respiro, dimenticando quelle di lungo periodo.
È necessario invece domandarsi cosa sta succedendo alla nostra società e come giudicare il bene e il male in questo contesto.