In Italia, e in tutti i paesi dell’Unione Europea, si sono eletti i rappresentanti al Parlamento dell’UE, in Piemonte è stata scelta la presidenza della giunta e rinnovato il Consiglio Regionale, nonché alcune amministrazioni comunali.
La nostra Costituzione è estremamente sintetica affrontando il tema, infatti all’articolo 48 afferma: «sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico».
Qualche spunto
Al fine di permettere un’effettiva partecipazione allo stato democratico, come delineato dall’articolo 1 della Costituzione stessa, il 48 pone le basi per l’esercizio del voto. Tutti i cittadini e le cittadine con la nazionalità italiana, che godono dei diritti civili, possono votare e la sua espressione è personale, deve essere libera e segreta, nonché uguale per tutti. Quindi l’ammissione al voto è indipendente da condizioni economiche, culturali o legate al sesso, ogni voto ha la stessa importanza, non può essere esercitato a seguito di pressioni esterne o coercizioni, cioè è libero, infine non è obbligatorio in quanto costituisce un dovere civico.
Il lungo cammino per il suffragio universale
In Italia si iniziò a votare il 27 gennaio del 1861, in occasione della prima legislatura del Regno. Ma tale diritto fu limitato ai soli maschi dell’alta borghesia, ovvero a chi aveva più di 25 anni e pagava un certo ammontare di tasse all’anno allo stato. Vent’anni dopo l’età fu abbassa a 21 e la possibilità di esprimere il voto venne allargata alla media borghesia; per il suffragio universale maschile si dovette aspettare fino al 1918.
Il diritto di voto per le donne, che oggi appare scontato, fu conquistato solo nel 1945 e venne esercitato per la prima volta nel 1946, in occasione delle elezioni amministrative e poi nel referendum per la scelta tra monarchia e repubblica del 2 giugno. La possibilità di essere elette fu stabilita in un decreto del 10 marzo dello stesso anno.
Passi indietro
Al citato referendum la percentuale dei votanti fu dell’89,08. Passiamo a elezioni più recenti. Appena entrata in vigore la legislazione costitutiva delle regioni, nel 1970 per il Consiglio del Piemonte votò quasi il 95% degli aventi diritto; la prima volta che il Parlamento Europeo fu eletto dai cittadini nel 1979 l’affluenza alle urne fu dell’85,65%. Poco più di dieci anni fa, alle politiche del 2013, la percentuale dei votanti fu di poco superiore al 75%, mentre nell’ultima tornata del 2022 diminuì al 63%. Per le recenti europee la percentuale è scesa al di sotto del 50%.
Come si può constatare è una continua discesa, e il fenomeno ha caratterizzato l’ultima quindicina d’anni, avendo addirittura due record assoluti. Il primo è relativo alle elezioni suppletive di Roma centro per la sostituzione di un deputato deceduto, svoltesi nel gennaio 2022: si è recato alle urne solo l’11,33% del corpo elettorale. Il secondo riguarda sempre delle suppletive, necessarie per coprire il posto di senatore lasciato da Silvio Berlusconi nel collegio di Monza e Brianza, svoltesi nello scorso ottobre: la percentuale dei votanti è stata del 19,23%.
In generale è possibile affermare che mediamente alle ultime tornate elettorali si è recata alle urne una persona su due, tra le aventi diritto.
Quali le conseguenze? Riferendosi alle politiche del 2022 è possibile sostenere che, proprio a causa dell’astensione, il governo in carica è stato scelto soltanto dal 20% degli elettori. Si tratta dunque di un grave problema per la democrazia.
Un segnale di sfiducia
Gli esperti oramai affermano che il fenomeno dell’astensionismo è fisiologico e inarrestabile. Le ragioni sono riscontrabili nel sentire che il proprio voto non ha nessuna importanza, non conta nulla, in una forte mancanza di sintonia tra elettorato e classe politica. Sono poi venute a mancare le ragioni di appartenenza ideologica a una forza politica, insieme a una percezione di distanza tra i cittadini e coloro che li rappresentano. Le istituzioni non godono di grande fiducia, così come i personaggi che rappresentano i partiti, forse anche a causa dell’estrema personalizzazione della politica, che oggi si gioca anche e soprattutto sui leader, al punto tale che molti partiti accanto alla denominazione e al simbolo riportano il nome dell’esponente più in vista.
È possibile infine fornire un’interpretazione più precisa e propositiva del non voto: un’affermazione di forte dissenso, di protesta, astenersi per mandare alla politica il segnale della necessità di una sua profonda trasformazione.
Partecipare
L’unico antidoto ai problemi della democrazia, e a questa china, è prendersi ogni persona le sue responsabilità. Sul resto dei problemi non possiamo agire, ma su ciascuno di noi sì, insieme agli altri. Si tratta di riscoprire il valore dell’essere comunità, di contribuire tutti per il bene comune, di non considerarsi una somma di individui che badano ciascuno al proprio esclusivo interesse, come vorrebbe il dogma del nostro sistema, ma riprendere uno dei riferimenti della democrazia: riscoprire la fraternità oltre alla libertà e all’uguaglianza.
E partecipare. Pensare che se un contributo non lo porto io non lo porterà nessuno, che non posso delegare agli altri la mia vita. Non votare, in primo luogo, significa proprio affidare agli altri la politica, le scelte che riguardano la mia esistenza e quella dei miei cari.
La democrazia non è scontata
Non possiamo dare per scontata la democrazia: è un sistema prezioso ed essenziale che garantisce il diritto di partecipare alla formazione del nostro futuro come collettività. Il diritto di voto è una delle componenti essenziali della democrazia, consentendo alle persone di avere voce in capitolo nei processi decisionali e contribuendo al sostegno dei suoi principi.
Ma votare non basta, è necessario farlo in modo responsabile, informandosi, costruendosi opinioni, scegliendo con cognizione di causa, valutando l’operato di partiti e politici per operare le proprie scelte.
Il futuro dipende anche dalla nostra capacità di votare bene, magari alle prossime elezioni.