Il 20 novembre di 25 anni fa scompariva uno dei protagonisti della vita politica italiana, che per oltre mezzo secolo ebbe incarichi prestigiosi: cinque volte presidente del Senato, sei volte a capo del governo, nove volte ministro, segretario della Democrazia Cristiana per otto anni e presidente del partito per un biennio. Fu un economista e storico dell’economia, dedicandosi inoltre con ottimi risultati alla pittura.
La vita
Amintore Fanfani nacque a Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, da Giuseppe, avvocato e notaio, e Annita Leo. Nel 1919 la famiglia si trasferì ad Anghiari, da dove nei primi anni Venti si spostò a Sansepolcro. Nel 1920 aderì all’Azione cattolica organizzando nel capoluogo, dove frequentò il liceo scientifico, l’Unione studenti medi. Nel 1926 si iscrisse alla Scuola di Scienze politiche, economiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove visse fino al 1951, quando si trasferì definitivamente a Roma. Nel 1927 in una mostra d’arte ad Arezzo espose per la prima volta proprie opere pittoriche, due anni dopo pubblicò sulla «Rivista Internazionale di Scienze Sociali», periodico edito dall’Istituto di Scienze Economiche dell’Università Cattolica, il suo primo lavoro scientifico. Nello stesso anno venne eletto consigliere e poco dopo presidente della Federazione giovanile cattolica aretina. Il 5 luglio del 1930 si laurea con lode discutendo una tesi sugli Effetti economici dello scisma inglese, pubblicata nel ‘32 con il titolo Scisma e spirito capitalistico in Inghilterra. 1932 febbraio Conclude a Spoleto il Corso allievi ufficiali e si congeda dal servizio militare col grado di sottotenente. Padre Agostino Gemelli, fondatore e rettore dell’Università Cattolica, nel 1933 gli affidò la cattedra di Storia dei fatti economici e la direzione della «Rivista Internazionale di Scienze Sociali». Nel 1936 vince il concorso per la cattedra all’Università di Genova, ma sceglie di diventare professore straordinario di Storia economica alla facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica, per poi ottenere due anni dopo alla Ca’ Foscari di Venezia la cattedra di Storia economica, che mantenne fino al 1943, conservando anche quella all’Università Cattolica. Nel 1939 si sposò con Biancarosa Provasoli e divenne professore ordinario di Storia economica alla facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica, per poi passare nel 1947 passerà alla facoltà di Economia e commercio dello stesso ateneo.
Nel 1941 nell’abitazione di Umberto Padovani, anche lui docente alla Cattolica, intervenne alle riunioni promosse per elaborare un programma di azione politica, ispirato ai principi del cattolicesimo, da attuare dopo la caduta del regime fascista e la fine della guerra, con Giuseppe Dossetti, Carlo Colombo, Antonio Amorth, Giuseppe Lazzati, Gustavo Contadini, Sofia Vanni Rovighi e saltuariamente Giorgio La Pira: i componenti di questo gruppo, che dopo il 1945 si impegneranno personalmente in politica, vennero in seguito chiamati “i professorini”.
Durante la guerra venne chiamato alle armi, per poi espatriare in Svizzera, dalla quale ritornò al termine del conflitto.
Si iscrive alla Democrazia Cristiana e il vicesegretario del partito Dossetti lo chiamò a Roma per inserirlo nell’Ufficio studi, propaganda e stampa, del quale nel 1946 assunse la direzione. Pio XII lo incoraggiò a optare per la carriera politica, entrando nel consiglio nazionale e nella direzione della Democrazia cristiana e venendo eletto all’Assemblea costituente, dove fece parte della Commissione dei 75.
Il 31 maggio del 1947 ricevette il primo incarico di governo come ministro del Lavoro e previdenza sociale nel IV Governo De Gasperi, l’anno dopo fu eletto deputato e confermato ministro conservando l’incarico fino al 27 gennaio 1950. Come ministro competente presentò un disegno di legge contenente Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori, che entrò in vigore il 1° aprile 1949 ed è ricordato come Piano Fanfani Ina-casa. Nel 1951 fu ministro dell’Agricoltura e foreste, incarico che conservò fino al 16 luglio 1953. In novembre uscì il primo numero della rivista «Iniziativa Democratica», organo dell’omonima corrente riformatrice della DC.
Nel 1954 costituì il suo primo governo, un monocolore democristiano, che però non ottenne la fiducia del Parlamento, in compenso venne nominato componente della rappresentanza della Camera dei deputati all’Assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, e fu eletto segretario nazionale del partito, succedendo a De Gasperi. In 29 ottobre uscì il primo numero della rivista «Economia e storia», da lui fondata e che diresse fino al 1970.
Nel 1955 data l’intensità dell’impegno politico lasciò la cattedra di Milano e ottiene a Roma quella di Storia economica alla facoltà di Economia e commercio dell’Università La Sapienza. Nel 1958 fu rieletto deputato e a luglio costituisce il suo secondo governo che restò in carica fino 15 febbraio 1959; nello stesso periodo lascò la segreteria della Democrazia cristiana sostituito da Aldo Moro.
Nel 1960 ricevette il mandato di formare un nuovo governo e, dopo un primo fallimento, costituisce il suo terzo governo, un monocolore DC, che ottiene la fiducia del Parlamento grazie al voto favorevole di Psdi, Pri, Pli e l’astensione non contrattata dei socialisti, che restò in carica fino al 21 febbraio 1962, cui fece seguito un nuovo esecutivo da lui guidato, un tripartito Dc, Psdi, Pri, il cui programma viene concordato con i socialisti, i quali si astengono nel voto di fiducia ma si impegnano ad approvarne i provvedimenti in Parlamento, in carica fino al 21 giugno 1963.Alle elezioni di quell’anno fu rieletto deputato, rifiutando di entrare nel governo Moro, il primo organico di centro-sinistra, di cui fanno parte ministri democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, per poi accettare l’incarico di ministro degli esteri nel secondo governo Moro.
Nel 1965 fu eletto presidente della XX Assemblea generale delle Nazioni unite; l’anno successivo venne confermato ministro degli Affari esteri, conservando l’incarico fino al 24 giugno 1968. In quell’anno fu rieletto deputato nonché senatore, optando per questa seconda carica, diventandone per la prima volta presidente.
Il 26 settembre fu colpito da un gravissimo lutto con la morte della moglie.
Nel 1970 pubblicò Storia economica. Parte seconda. Età contemporanea e, avendo ripreso con maggiore intensità l’attività pittorica, espose proprie opere in diverse città italiane e straniere.
Nel 1972 il presidente Leone lo nominò senatore a vita, per «altissimi meriti scientifici e sociali», venendo eletto per la seconda volta presidente dell’Assemblea
Nel 1973 fu di nuovo alla guida del partito, dimettendosi contestualmente dalla presidenza del Senato. L’anno dopo guidò la battaglia della Democrazia cristiana per l’abrogazione della legge sul divorzio, che il 12 maggio venne invece confermata dal referendum popolare.
Nel 1975 non venne confermarlo alla segreteria del partito e il 3 agosto sposò Mariapia Tavazzani. L’anno seguente fu eletto presidente del consiglio nazionale del partito, incarico lasciato dopo pochi mesi perché tornato alla presidenza del Senato che abbandonò il 1° dicembre 1982 per tornare alla guida di un governo, in carica fino al 4 agosto 1983.
Il 9 luglio 1985 tornò per la quinta volta alla presidenza del Senato al posto di Francesco Cossiga, eletto presidente della Repubblica, dimettendosi nuovamente dall’incarico il 17 aprile 1987 per tornare alla guida di un governo, che non ottiene la fiducia; fu quindi nominato ministro dell’Interno nel successivo esecutivo e ministro del Bilancio e programmazione economica nel successivo governo.
Nel 1988 diede vita, insieme all’ex-primo ministro giapponese Yasuhiro Nakasone, al Praemium Imperiale, che verrà considerato il Nobel per le arti, restandone consigliere internazionale fino al 1995.
Nel 1994 dopo lo scioglimento della Democrazia cristiana aderì al Partito popolare italiano.
Il 20 novembre 1999 morì a Roma, nella nuova abitazione di corso Rinascimento dove si era trasferito in seguito all’incendio del proprio appartamento di viale Platone, nel quale era vissuto dal 1959.
Il commento
«Espressione tra le più autentiche e ricche della tradizione popolare e democristiana, Amintore Fanfani è stato certamente uno dei più autorevoli interpreti del primo cinquantennio di vita repubblicana del Paese. Una carriera costellata di trionfi, brusche cadute, inaspettate ricomparse; la vicenda di un uomo sicuro di sé e autoritario, impulsivo e amante della sfida, aperto al compromesso, mai alla resa: questa, in estrema sintesi, la biografia politica di un uomo che, tuttavia, con la passione per la cosa pubblica ha sempre saputo coniugare quella per gli studi storico-economici. Coltivati sin dalla gioventù, essi hanno contribuito in maniera decisiva a forgiare quella sensibilità cristiano-solidarista che, fin dalla Costituente, avrebbe rappresentato l’anima più profonda del suo riformismo sociale». Così si apre la voce dell’Enciclopedia Treccani dedicata al nostro testimone.
L’economista
Prima che uomo politico Amintore Fanfani è stato un accorto studioso di economia e della sua storia, non solo, tale suo bagaglio ha sempre condizionato le sue scelte politiche e la sua coscienza critica. Esaminiamo alcune sue posizioni.
La sua lettura del rapporto tra fede ed economia, che ha caratterizzato molti lavori giovanili, si differenzia da quelle in voga allora, soprattutto riferite a Max Weber, secondo il quale la dottrina della predestinazione, introdotta dalla Riforma, avrebbe sollecitato negli uomini l’amore per il successo negli affari, interpretato come una prova della propria elezione. Per questa via il protestantesimo avrebbe spinto per la massima industriosità e, incoraggiando l’accumulazione del risparmio, avrebbe permesso al capitalismo di avviare la sua rapida diffusione. Fanfani, al contrario, riconduceva il successo del capitalismo proprio alla disgregazione dei valori tradizionalmente difesi dalla cristianità. Per lui fu lo spirito capitalistico, già vivo e in espansione, a indirizzare la Riforma verso un’etica a esso favorevole, ed essa, svincolando la salvezza dal comportamento della persona, fece venire definitivamente meno gli ostacoli morali che fino allora avevano trattenuto il libero agire dell’individuo. Emerge in Fanfani un atteggiamento di sfiducia nei confronti del capitalismo e di quelle dottrine liberali che, giustificandolo, lo avevano condotto al trionfo, questa sfiducia fu alimentata anche dalla crisi del 1929.
Per lui il capitalismo, se non correttamente gestito, produce insopportabili ingiustizie, disuguaglianze e crisi ricorrenti; è per questo che propugnò sempre un controllo dell’economia e una visione solidaristica. Andavano superati sia l’individualismo liberista, per assicurare una giustizia distributiva che il capitalismo non sapeva garantire, sia la prospettiva socialista che soffocava alcuni diritti della persona, come quello delle libera iniziativa individuale.
In sintesi, per Fanfani il capitalismo andava riformato.
Il costituente
Da porre in risalto il suo contributo alla redazione della nostra Carta. In particolare è significativo ricordare che l’incipit si deve a lui: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». L’espressione «sul lavoro» la si deve proprio a Fanfani che si batté per utilizzarla in alternativa a «fondata sui lavoratori», poiché l’espressione da lui caldeggiata non si limitava a valorizzare una parte dei soggetti coinvolti, i lavoratori appunto, bensì anche le altre, come gli imprenditori. Tale convinzione derivava dalla sua fede e dal giudizio sul capitalismo. La particolare attenzione nei confronti di chi è in difficoltà lo portava infatti a prospettive di superamento dell’indigenza possibili solo col lavoro e quindi anche attraverso le diverse forme di impresa, credendo inoltre nella necessità di una redistribuzione degli utili.
Il politico
Amintore Fanfani è stato un protagonista di primissimo piano della vita politica italiana della seconda metà del XX secolo. A lungo ai vertici del partito della DC, più volte Presidente del Consiglio e ministro nonché presidente del Senato, ha occupato per anni una posizione centrale sulla scena politica e istituzionale italiana, lasciando una traccia assai rilevante nelle vicende del nostro Paese.
È stato propugnatore di un nuovo umanesimo che renda capace di guidare lo sviluppo economico verso traguardi autenticamente positivi, nella direzione cioè di un autentico miglioramento delle condizioni dei popoli, e tali traguardi saranno raggiungibili soltanto percorrendo la strada della partecipazione: i cittadini devono essere protagonisti consapevoli delle scelte politiche che orientano il futuro.
È stato un politico realista, che guardava agli interessi nazionali, sempre e comunque tesi al bene comune, non disdegnando mai di far notare che tutti i lavoratori avevano gli stessi diritti, indipendentemente dagli interessi specifici delle varie categorie. Conosceva la realtà del paese, le aspettative della gente più bisognosa. Preparatissimo in ogni settore, ascoltava in silenzio il suo interlocutore, specie nel contesto dei problemi sociali.
Di una cosa, si racconta, andasse indubbiamente fiero: del suo primo successo sociale, il Piano INA-Casa, l’unico nella storia del nostro paese, che riuscì a dare un alloggio a centinaia di migliaia di cittadini, che mai avrebbero potuto avere un loro dignitoso appartamento.
Una forte personalità
Fanfani è stato sempre considerato una persona dal carattere spigoloso, una figlia lo descrive come «granitico», che aveva sempre il desiderio di imporre le sue idee e il proprio potere: una conseguenza è che è stato poco amato, anche ora. A questo proposito la stessa figlia fa notare che non vi sono vie a lui intitolate!
Il suo modo di essere viene attribuito a radici profonde, che risalgono all’infanzia, e alla sua mamma. Un aneddoto è esplicativo. La madre era una donna col polso di ferro, calabrese di nascita, persona del suo tempo, e quando il marito andò in guerra nel 1915, Amintore aveva sette anni, un giorno disse al figlio che vista l’assenza del padre era lui il capo della casa, quindi doveva mettersi a tavola al posto del babbo, tornando a casa dalla scuola doveva comprare il giornale, leggerlo e raccontare le notizie ai fratelli e alle sorelle per raccontare la guerra: ecco l’imprinting dato da sua madre!
Le fonti
Decisamente ampia è la documentazione per conoscere meglio la figura di Amintore Fanfani, a partire dalla sua notevole produzione libraria e dai Diari, pubblicati finora in quattro volumi dall’editore Rubbettino, che coprono il ventennio compreso tra il 1943 e il ’63.
Importante è anche la bibliografia a lui dedicata, come pure, più accessibili, le pagine Web che parlano di lui. Sempre in rete sono disponibili numerosi video con servizi e interviste che lo vedono protagonista.
Come sempre ecco alcune citazioni del nostro testimone.
«Un nemico si può immobilizzare anche con un abbraccio.»
«La rivolta universale contro la civiltà capitalistica, fatta in nome d’un ideale di dignità e di giustizia umana, prova che la coscienza cristiana può addormentarsi, ma non può morire.»
«Un partito, anche se imprudentemente si chiama cattolico, non dev’essere sottoposto alla Chiesa. Nell’interesse reciproco.»
«In politica le bugie non servono.»
«Non dimentico i fatti che m’hanno ostacolato e offeso, ma non serbo rancore verso chi li ha compiuti. Né cerco rivalse.»
«Una volta stavo lasciando la politica attiva nella DC. Lo avevo già deciso. Era poco dopo il Natale del 1945. […] Il Papa [Papa Pio XII] mi guardò e pronunciò queste parole: “Quando è di fronte a un bivio e non sa che strada prendere, abbia almeno il coraggio di scegliere la più difficile.” Capii tutto; mentre lui mi benediceva avevo già deciso di restare a Roma e nella DC.»
«Dossetti, De Gasperi, ma potrei aggiungere anche Piccioni, La Pira, Moro. Gente di quel livello, di quel carattere, di quella storia, nel partito non l’ho più vista.»