La presidente della Commissione Europea ha presentato il piano “ReArm Europe”, volto a rafforzare le capacità difensive dell’UE in risposta alle crescenti tensioni geopolitiche. Questo piano prevede la mobilitazione di circa 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, con l’obiettivo di potenziare la sicurezza e la resilienza dell’Europa.
Il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione sul Libro bianco della difesa, che accoglie il piano, con 419 voti a favore, 204 contrari e 46 astenuti.
Qualche dato
La NATO fornisce le spese per la difesa, in rapporto al PIL: ai primi posti vi sono la Polonia col 4,12%, seguita da Estonia (3,43%) e USA (3,38%), l’Italia è all’1,49%. A livello mondiale si distinguono l’Arabia Saudita col 7,1% e la Russia col 6,7%.
Sul terreno del mercato internazionale degli armamenti lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), un istituto indipendente che conduce ricerche su conflitti, armamenti, controllo delle armi e disarmo, pubblica annualmente il SIPRI Yearbook, con dati molto utili. I più recenti, che si riferiscono al 2023, parlano di una spesa militare globale in aumento per il nono anno consecutivo giunta alla ragguardevole cifra di 2,4 trilioni di dollari, con un incremento del 6,8% rispetto al 2022. La spesa globale, come quota del PIL, è salita del 2,3%: in media i governi hanno speso il 6,9% del loro bilancio (pari a $306 a persona) per le forze armate.
I principali esportatori di armi, responsabili del 75% del totale, sono gli USA, largamente in testa con il 42% del mercato mondiale, seguiti da Francia (11%), Russia (11%), Cina (5,8%), Germania (5,6%) e Italia (4,3%).
I sostenitori del piano ReArm Europe
Ecco le principali argomentazioni. Si auspica una maggiore autonomia strategica dell’Unione, in quanto dipende ancora troppo dalla protezione degli USA e della NATO; la guerra in Ucraina ha dimostrato che deve essere in grado di difendersi da sola in caso di minacce dirette e una maggiore preparazione militare potrebbe dissuadere potenziali aggressori.
I favorevoli sostengono la necessità di un rafforzamento dell’industria della difesa, attraverso maggiori investimenti che possono stimolare l’economia, creare posti di lavoro e sviluppo tecnologico. Oggi molti stati membri acquistano armi da aziende statunitensi, mentre un piano europeo favorirebbe l’industria militare europea e ridurrebbe la dipendenza da fornitori esterni.
Si sottolinea poi l’importanza di una risposta coordinata e più efficiente: il piano ReArm Europe mira a organizzare meglio gli investimenti e rendere più efficace la difesa.
Viene posta in risalto la necessità di rispettare gli impegni NATO rafforzando l’alleanza e dando all’UE un ruolo più importante: con un’Europa più forte militarmente, ci sarebbe una maggiore stabilità internazionale. La sicurezza non riguarda solo le minacce dirette, ma anche la gestione delle crisi dove l’UE ha già interessi strategici.
I critici
Chi è contrario avanza diverse obiezioni, mettendo in discussione le implicazioni politiche ed economiche della proposta. Ecco i principali argomenti.
Si segnala il rischio di militarizzazione dell’UE, allontanandola dalla sua tradizionale vocazione di soft power, basata sulla diplomazia e la cooperazione internazionale, c’è il timore che la creazione di una struttura militare più forte possa indebolire il ruolo della politica estera e della diplomazia nella gestione dei conflitti.
Destinare centinaia di miliardi di euro al riarmo sottrae fondi a sanità, istruzione, welfare e transizione ecologica, che sarebbero investimenti più utili per la sicurezza e il benessere dei cittadini europei: la vera sicurezza non si ottiene solo con le armi, ma con politiche sociali ed economiche che prevengano le crisi.
Una sottolineatura importante è sulla necessità di una politica unitaria che prevenga il rischio dell’agire autonomo di ogni paese, rendendo inefficace una maggiore spesa per la difesa. L’UE non ha ancora una chiara strategia di difesa collettiva né un comando militare unico, quindi il potenziamento militare potrebbe risultare disorganizzato e inefficiente.
Viene sostenuto come un’Europa più armata potrebbe esacerbare le tensioni con altri attori globali, alimentando una corsa agli armamenti, invece di ridurre i rischi.
I critici vedono nel piano un forte sostegno alle grandi aziende produttrici di armi, senza meccanismi chiari di controllo e trasparenza, vi è il timore che le pressioni delle lobby dell’industria militare spingano l’UE a investire sempre di più in armi, senza una reale necessità strategica.
Per un’UE più forte
Il nodo centrale è un’Unione politicamente rilevante e coesa: la strada maestra è riprendere le intuizioni dei fondatori che puntavano a una federazione.
Va perseguita una maggiore integrazione con più poteri al Parlamento Europeo: dare più forza ai rappresentanti eletti aumenterebbe la legittimità democratica delle decisioni. Andrebbe rafforzata la leadership, ad esempio unendo i ruoli del presidente della Commissione e del Consiglio Europeo e superando il limite delle decisioni prese all’unanimità.
Le politiche estera e di difesa dovrebbero essere unitarie, il che consentirebbe di avere una voce unica e ridurre la dipendenza dagli USA, rafforzando il ruolo dell’UE: un vero ministero degli esteri europeo avrebbe un peso decisamente superiore alla somma dei 27. Basti pensare che ruolo avrebbe il ministro dello Utah, con tutto il rispetto per questo stato americano, in rapporto a quello del governo federale!
Un ulteriore tassello è rappresentato da un’economia più solida e integrata, con la riforma del Patto di Stabilità, più fondi europei per i cittadini e le imprese, insieme a un sistema fiscale comune: oggi ci sono enormi differenze tra i paesi, con situazioni di concorrenza sleale. È da implementare l’innovazione tecnologica, investendo di più e meglio in ricerca e sviluppo, operando a livello continentale e non dei singoli paesi.
Va rafforzata la cittadinanza europea, sono da uniformare i diritti sociali e civili, è da favorire la partecipazione democratica, dando ai cittadini più strumenti per influenzare le decisioni dell’UE.
Deve essere coltivata e promossa l’identità per fare in modo che tutti si sentano “europei”, per questo andrebbe anche migliorata la comunicazione: spesso le istituzioni appaiono lontane dai cittadini e quindi serve un’informazione più chiara e accessibile su decisioni e progetti.
Un’altra Unione è possibile
È necessario rilanciare fortemente il progetto dell’Unione perché sia una comunità pacifica, solidale e accogliente, luogo di vera democrazia, non solo per chi ci vive, ma per tutto il mondo. Va accelerata una nuova fase costituente che consenta tale rilancio, che abbia come traguardo, e nuovo punto di partenza, la federazione. I passi condotti finora devono proseguire con questo obiettivo.
Cedere sovranità significa essere tutti più forti, perché procediamo insieme, perché l’unità nelle diversità, come recita il motto dell’Unione, significa maggiore ricchezza, in tutti i sensi, e continuare a svolgere il ruolo di faro di un’autentica democrazia che punta alla libertà, all’uguaglianza e, soprattutto all’essere sorelle e fratelli.