Il personaggio
Il “testimone” con cui iniziamo questa rubrica del sito si collega al tema del “fatto”, la fabbrica e la dignità del lavoro, ma soprattutto ci permette di ricordare un grande sacerdote, impegnato forse come pochi nella pastorale sociale e del lavoro, che ci ha lasciato.
Ne presentiamo la figura utilizzando le brevi note biografiche pubblicate sul sito della Diocesi di Torino.
Don Carlo Carlevaris nacque a Cardé, diocesi di Saluzzo e provincia di Cuneo, il 12 aprile 1926. Iniziò la formazione nel seminario dei «Tommasini» al Cottolengo e venne ordinato prete per la diocesi di Torino il 29 giugno 1950. Destinato come vicario parrocchiale a San Giacomo Apostolo alla Barca in Torino vi rimase fino al 31 dicembre 1953.
Al seguito di don Esterino Bosco don Carlo si coinvolse sempre più profondamente nei problemi del mondo del lavoro, trascorrendo anche periodi di ministero a Parigi, dove conobbe le esperienze francesi delle parrocchie di banlieue, dei preti operai e della pastorale del lavoro.
La svolta nella sua esperienza umana e sacerdotale venne con la scelta di condividere fino in fondo la condizione operaia lavorando direttamente in fabbrica. Fu tra i primi preti operai italiani, e rimase a lungo un riferimento per tutti gli altri sacerdoti che condivisero questa esperienza. Lungo tutto il tempo del ministero don Carlo fu tra i più attenti ai problemi della condizione operaia in una società in rapido cambiamento, senza perdere mai di vista la dimensione pastorale del suo lavoro. In questo la vicinanza di don Esterino Bosco e il confronto con i preti della Pastorale del Lavoro rimasero per lui un riferimento fondamentale.
Come operaio don Carlo venne assunto alla Lamet e lavorò poi in diversi stabilimenti Fiat, Lancia e Michelin dell’area torinese. Si caricò anche di importanti impegni nel sindacato. Sono questi gli anni centrali della vita di don Carlo, che esercita il ministero rimanendo sempre a stretto contatto con la realtà della fabbrica, in un periodo particolarmente duro di scontro sindacale.
Negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II don Carlo è impegnato, a fianco dell’arcivescovo card. Michele Pellegrino, nel portare l’esperienza del mondo del lavoro al centro della riflessione e coscientizzazione dell’intera comunità diocesana. La «scelta preferenziale per i poveri» che il cardinale Pellegrino indica come priorità della Chiesa particolare, matura soprattutto nel contesto e nelle modalità con cui si prepara la Lettera pastorale «Camminare insieme», pubblicata l’8 dicembre 1971. Nella «Camminare insieme» si ritrovano molte delle sensibilità, delle intuizioni, dell’esperienza che il mondo del lavoro torinese, con don Carlo come con don Esterino Bosco e gli altri sacerdoti impegnati in questo servizio, hanno saputo trasfondere e condividere con tutta la diocesi. In questi stessi anni don Carlo è impegnato in prima persona negli organismi consultivi diocesani, quei Consigli pastorale e Presbiterale che il cardinale Pellegrino ha voluto far nascere e promuovere come concreta attuazione delle indicazioni del Concilio Vaticano II. Anche in queste sedi don Carlo porta, con passione e convinzione, tutto il peso della sua esperienza di prete operaio, uomo del sindacato e della fabbrica.
Conclusa questa lunga stagione don Carlo, dalla sua abitazione di via Belfiore a San Salvario, rimane a servizio della diocesi e delle comunità che continua a seguire. I lunghi anni di una malattia che gli ha tolto progressivamente la memoria sono stati anche anni vissuti nella fedeltà e nell’amicizia delle persone che gli sono state vicine.
È morto alla Piccola Casa del Cottolengo, là dove aveva cominciato il suo cammino di formazione sacerdotale, all’alba di lunedì 2 luglio. La salma è stata tumulata al Cimitero monumentale di Torino nella tomba dei sacerdoti.
Il commento
Alessandro Svaluto Ferro, direttore dell’Ufficio pastorale sociale e del lavoro della Diocesi e Antonio Sansone, segretario Fim Cisl Piemonte, hanno pubblicato sul settimanale La Voce e il Tempo una riflessione sulla figura di don Carlo che è anche un appello per portare avanti il suo impegno e la sua testimonianza.
Mercoledì 4 luglio si è celebrato il funerale di don Carlo Carlevaris, sacerdote della Chiesa torinese, tra i primi preti operai della nostra diocesi e pioniere di cammini di amicizia con il mondo del lavoro. È stata una celebrazione emozionante e commuovente perché ha richiamato il profondo spirito evangelico di una scelta di povertà e di adesione al Vangelo che ha coinvolto tanti sacerdoti e molti laici presenti, che tuttora credono nell’impegno dei credenti nella storia dell’uomo e per il mondo del lavoro.
È stato un avvenimento corale, che ha visto riunite le varie comunità di cui don Carlo è stato attento e impegnato promotore e animatore. La fraterna comunità dei preti operai, di cui è stato protagonista fondante, affaticata dagli anni, dalla fatica operaia e, talvolta, ecclesiale. Una comunità che, lungi dal vivere la dimensione di «ex combattenti e reduci», è composta da sacerdoti che si interrogano sulle prospettive di un’esperienza e di una missione a cui hanno dedicato la vita.
Vi era poi la comunità di persone, giovani e adulti, che vive o che è cresciuta nelle esperienze della Gi.O.C. e dei CMO; persone che hanno guardato a don Carlo (e alla sequela di preti da lui promossa) come all’ispiratore di una peculiare dimensione di impegno e testimonianza di fede nei luoghi e negli ambienti in cui la vita li ha collocati.
Era presente alla funzione anche la comunità che partecipa e anima la Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Torino, inesausta esperienza che, dallo stimolo ricevuto da don Carlo, si sforza di far vivere la dimensione dell’impegno sociale e sul lavoro, in tutte le sue dimensioni, come passaporto di partecipazione e piena cittadinanza alla vita della Chiesa.
A completare il panorama, era presente la comunità dei sindacalisti – di Fim e Cisl, l’organizzazione in cui ha militato – ma anche di Fiom e Cgil, compagni di strada e di impegno di don Carlo nella missione vissuta nei luoghi del lavoro e dei lavoratori. E poi, ancora, donne e uomini, singoli o di associazioni e gruppi che hanno trovato in don Carlo un forte riferimento per la loro vita.
Don Carlo e tanti altri sacerdoti del mondo della pastorale del lavoro, tra cui don Esterino Bosco, don Matteo Lepori, don Gianni Fornero e don Mario Operti, hanno lasciato un segno indelebile nella storia della nostra Chiesa, locale e nazionale. Non solo perché si ricordano gesti, azioni, progetti, scelte di vita e sensibilità particolari che li hanno resi autentici testimoni del vangelo, ma soprattutto perché sono stati capaci di essere generativi e di consegnare oggi un patrimonio umano, culturale, sociale, politico ed ecclesiale che abbiamo il dovere di non disperdere.
Nell’accompagnare don Carlo al suo incontro con il Padre, non abbiamo celebrato il funerale di un’importante stagione di vita nella società e nella Chiesa, ma il sacro rito di un passaggio di testimone.
Non mettiamo la parola fine all’entusiasmo e all’impegno di un gruppo di chierici torinesi e di laici militanti, ma vogliamo interrogarci su come, nel mutato contesto storico, dare continuità agli ideali sottesi alla vita che don Carlo e tanti preti e laici hanno speso per dare dignità e valore all’attuazione del Concilio Vaticano II nella società, nei luoghi di lavoro, nella militanza d’ambiente, nelle associazioni.
Ricordiamo, a tal proposito, la parabola dei talenti in cui ognuno di noi è chiamato a non sotterrare i doni e i carismi che il Signore ci ha donato. Anche la comunità cristiana torinese ha il dovere di interrogarsi sui talenti che ha ricevuto: tra questi vi è quello di una forte sensibilità per il mondo del lavoro e dell’impegno laicale nella società.
Sappiamo che sono stati, quelli vissuti da don Carlo e gli altri, anni di forti contrasti sociali, di lotte per ridurre le diseguaglianze e di conflitti ideologici e politici molto aspri. È stata anche una stagione ecclesiale molto feconda perché figlia del Concilio Vaticano II, ma anche molto complessa perché non sono mancate divisioni, distorsioni e fratture nel mondo cattolico circa questa attenzione e passione per il sociale e il politico. Oggi viviamo un’era sociale ed ecclesiale molto diversa, che non è più abitata dai conflitti ideologici, ma spesso, troppo spesso, attraversata dall’indifferenza per questi ambiti della vita.
Per tale ragione la celebrazione di questa storia non può e non deve ridursi al mero ricordo di una stagione conclusa, ma deve essere stimolo a continuare in maniera rinnovata l’impegno da credenti nella storia dell’uomo; deve essere aperta al futuro e alla possibilità di proseguire il cammino. Per tale ragione riteniamo che il miglior modo di rendere onore e fare memoria di questa ricca tradizione sia continuare ad operare in tal senso.
La storia non si ripete mai per come si è sviluppata, pertanto non possiamo avere la pretesa di replicarla, bensì di operare nel senso dell’eredità. Lo ricorda Massimo Recalcati, nel suo testo «Il complesso di Telemaco», quando l’Autore, nell’analisi del rapporto tra le generazioni ricorda che «l’ereditare non è un ripiegamento verso il passato ma una ‘ripresa’, come spiegava a suo modo Kierkegaard, un retrocedere avanzando».
Alle variegate comunità riunite attorno a lui, don Carlo porge l’invito a raccogliere il testimone per farsi testimoni. Testimoniare che il lavoro e la società sono ambiti privilegiati e naturali per la pratica dell’insegnamento cristiano e per vivere una dimensione di fede incarnata. Non c’è un Papa Francesco che copre e giustifica tutti, ma ognuno è chiamato a professare l’impegno; il Popolo di Dio non incontra nella sua vita quotidiana, Papa Francesco, ma i tanti cristiani presenti nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle comunità territoriali; a loro passa, e sta a loro ricevere, il testimone che don Carlo trasmette.
Associazioni e gruppi ecclesiali, chiamati a raccogliere la sfida del multiculturalismo e delle differenti professioni religiose; sfidati a non erigere muri, ma a condividere le condizioni umane e l’impegno a migliorarle nella libertà di esercizio del loro credo e nella tensione a occasioni di preghiera comune. La Chiesa locale è chiamata a aprire continue occasioni di dialogo con la condizione degli uomini e delle donne, nei luoghi e nei tempi in cui essi abitano l’esistenza. Una Chiesa che veda un forte protagonismo dei laici, capaci di assumere e delegati a farlo, importanti responsabilità e incarichi di pastorale e animazione sociale e di ambiente.
Un testimone, nell’esperienza di don Carlo, che non è ascetica testimonianza solitaria, ma anelito a sporcarsi le mani, con i problemi e disagi del mondo del lavoro; vivendo una dimensione di rete che superi le singole appartenenze.
Niente nostalgie quindi, ma solo consapevolezza delle proprie radici, con lo sguardo di chi, grato a questi testimoni autentici della fede in Cristo, vuole continuare a dar seguito, con formule inedite alla sfida dell’evangelizzazione. Celebrare le figure di don Carlo, don Esterino, don Matteo, don Gianni, don Mario e di tanti altri ancora oggi impegnati in questa sfida deve essere una premessa per un impegno che continua nella sua quotidianità e ordinarietà. Anzi non vi è miglior modo di mettere a tacere la storia ponendola in una teca di cristallo. La sfida odierna non si pone sul senso dell’impegno della Chiesa nel e per il mondo del lavoro che continua, oggi come ieri, ad affondare le radici nell’ispirazione evangelica; mutano invece le forme e le strategie perché è la società che continua a cambiare.
Per tali ragioni sentiamo l’esigenza, forti di una storia significativa e in qualche modo profetica, di rilanciare due appelli. Il primo è rivolto al clero torinese, affinché riscopra, anche tra le giovani generazioni, il senso profondo dell’impegno della Chiesa nel mondo del lavoro, della società e della politica in senso lato. Ancora oggi è importante avere dei sacerdoti che siano capaci di accompagnare il laicato a vivere la propria vocazione battesimale, secondo lo spirito del Concilio Vaticano II. Sacerdoti che vivono e conoscono le gioie e i dolori del mondo del lavoro, capaci di essere attivatori di percorsi di discernimento alla luce del Vangelo e che aiutino a costruire comunità abitate dai problemi del mondo del lavoro. Sacerdoti che siano in grado di far maturare nel laicato tale attenzione, di accompagnare l’emergere di nuove vocazioni laicali robuste, serie, coerenti con la fede cristiana e che siano capaci di assumersi responsabilità nel mondo.
Il secondo appello lo rivolgiamo al laicato, perché sia in grado di testimoniare la propria fede nei luoghi della vita. Perché torni ad abitare con rinnovato protagonismo il mondo del lavoro, il sindacato, le imprese, le associazioni e le istituzioni pubbliche, con la logica di essere lievito e sale nella realtà. Essere credenti significa impegnarsi con coscienza e conoscenza in ambiti che travalicano i muri della parrocchia: essere lavoratori, sindacalisti, imprenditori, cooperanti, formatori e politici è segno dell’amore di Dio nella storia e nella società umana. Si tratta di una di quelle forme di Chiesa in uscita di cui spesso Papa Francesco ci parla. Tali azioni sono costitutive ed essenziali per la testimonianza della fede e non marginali per una vita evangelicamente ispirata.
Ancora oggi questi mondi hanno bisogno del segno tangibile del Vangelo e di gesti di solidarietà capaci di penetrare nella storia grazie all’azione dello Spirito santo e con il contributo decisivo dell’azione umana. Abbiamo quindi bisogno di operatori di pastorale sociale che siano in grado di abitare con responsabilità e passione evangelica i territori e le comunità civili perché la sfida della testimonianza cristiana non può concludersi con il termine storico di una stagione, ma con la rinnovata promessa di continuare ad operare nella storia con amore.
Coraggio amici, impegniamoci e partecipiamo a costruire una storia abitata dalla fraternità!
I documenti
Mettiamo a disposizione alcuni brevi brani tratti da pubblicazioni di don Carlo. Il suo archivio è stato destinato alla fondazione “Vera Nocentini”, che sta provvedendo alla sua catalogazione e organizzazione in modo da poterlo utilizzare per approfondire la vita e il pensiero di don Carlo.
Desideriamo quindi ringraziare per averci permesso di accedere in anteprima a questa miniera di informazioni.
Ancora, la Voce del Popolo, in occasione degli 80 anni di don Carlo, pubblicò un’intervista che ce lo fa conoscere dalla sua viva voce. Il settimanale online della diocesi di Bergamo l’ha riproposta per ricordarlo (http://www.santalessandro.org/2018/07/auguro-tutti-la-scoperta-dei-poveri-dei-deboli-degli-ultimi-la-parabola-don-carlo-carlevaris-prete-operaio/).
Infine, al seguente link, è a disposizione un video nel quale è presente una sua brevissima dichiarazione.