Il fatto
«La disuguaglianza economica è un fenomeno ormai fuori controllo. Nel 2019 i miliardari della Lista Forbes (solo 2.153 individui) possedevano più ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione mondiale. Questo grande divario è il risultato di un sistema economico iniquo che valorizza la ricchezza di pochi privilegiati». Così si apre la sintesi in italiano del Rapporto che l’associazione internazionale Oxfam ha diffuso in concomitanza con il meeting annuale del World Economic Forum di Davos.
Andando oltre i 2.153, altri dati sono altrettanto inquietanti: l’1% più facoltoso del pianeta possedeva, secondo i dati fotografati a metà del 2019, più del doppio della ricchezza di quasi sette miliardi di persone; il patrimonio delle 22 persone in cima alla classifica superava quello di tutte le donne africane.
«Al vertice dell’economia globale si attesta una piccola élite di individui ricchi in maniera inimmaginabile, la cui ricchezza cresce in modo esponenziale nel tempo, con poco sforzo e indipendentemente dal fatto che essi apportino valore alla società o no».
Nel mondo il 46% degli abitanti vive, per contro, con meno di 5 dollari e mezzo.
Venendo a parlare dell’Italia, «il 10% più ricco possedeva oltre 6 volte la ricchezza del 50% più povero dei nostri connazionali. Una quota cresciuta in 20 anni del 7,6% a fronte di una riduzione del 36,6% di quella della metà più povera degli italiani. L’anno scorso inoltre, la quota di ricchezza in possesso dell’1% più ricco degli italiani superava quanto detenuto dal 70% più povero, sotto il profilo patrimoniale».
La quota del reddito da lavoro del 10% degli occupati con retribuzioni più elevate (pari a quasi il 30% del reddito da lavoro totale) nel 2017 superava complessivamente quella della metà dei lavoratori italiani con retribuzioni più basse (25,82%).
Il report, intitolato Time to care – Avere cura di noi, pone in risalto, in primo luogo, come abbiamo accennato, il fenomeno delle enormi disuguaglianze presenti nel mondo e in Italia, che «mettono a repentaglio i progressi nella lotta alla povertà, minano la coesione e la mobilità sociale, alimentano un profondo senso di ingiustizia e insicurezza, generano rancore e aumentano in molti contesti nazionali l’appeal di proposte politiche populiste o estremiste».
Si allarga sempre più la forbice tra i pochi che vedono le proprie fortune e il potere economico consolidarsi e i tanti esclusi dalla crescita.
Il rapporto mette al centro dell’attenzione la dignità del lavoro, complessivamente «poco tutelato e scarsamente retribuito, frammentato o persino non riconosciuto né contabilizzato, come quello di cura, per ridargli il giusto valore». Prosegue dunque un’analisi dura del lavoro. Dopo il report del 2018 dal titolo Ricompensare il lavoro, non la ricchezza, dedicato alle occupazioni sottopagate e alle moderne e nascoste forme di sfruttamento, quello del 2019 presenta le attività domestiche e di cura delle persone, pagate poco o nulla, che gravano in particolare sulle spalle delle donne, la cui importanza è scarsamente riconosciuta.
I dati non fanno che confermare tali affermazioni. Le donne passano ogni giorno 12,5 miliardi di ore in attività di cura non retribuite, un contributo all’economia globale che vale oltre 10 trilioni di dollari l’anno, pari al triplo del mercato di beni e servizi tecnologici. Nel mondo il 42% delle donne non può lavorare perché impegnate nell’assistenza a bambini, anziani e disabili; nella stessa situazione si trova solo il 6% dei maschi; svolgono più del 75% delle funzioni di cura, spesso nella situazione di dover scegliere per soluzioni professionali part-time o a rinunciare definitivamente al proprio impiego; pur costituendo i due terzi di coloro che sono occupati con una retribuzione nel settore di cura, come collaboratrici domestiche, baby-sitter, assistenti per gli anziani, le donne sono spesso sottopagate, prive di sussidi, con orari di lavoro irregolari e carichi psico-fisici debilitanti.
In Italia oltre l’11% per queste ragioni non ha mai avuto un impiego, contro una media europea del 3,7%; quasi una madre su due, tra i 18 e i 64 anni, con figli sotto i 15 anni, ha dovuto modificare alcuni aspetti della propria professione per conciliare famiglia e occupazione, una quota superiore di oltre tre volte a quella degli uomini.
L’esigenza di persone impegnate nell’assistenza andrà inevitabilmente aumentando, con la sempre maggiore incidenza del numero degli anziani: entro il 2030 saranno 2,3 miliardi gli individui che necessiteranno di aiuto, con un incremento di 200 milioni dal 2015.
È necessario quindi che i governi affrontino il tema e si modifichi il modo con cui l’attuale modello economico e sociale considera il lavoro di cura, il quale alimenta le disuguaglianze.
Tornando al nostro Paese il Rapporto pone in risalto un elemento già conosciuto, ma non per questo poco rilavante. L’ascensore sociale è fermo: «i ricchi sono soprattutto figli dei ricchi e i poveri figli dei poveri». Il mercato del lavoro dopo la crisi del 2008 appare in ripresa, ma profondamente diseguale, con un incremento della precarietà e occupazioni stabili sempre più vulnerabili; i livelli retributivi medi sono in costante contrazione. L’accesso all’impiego per i giovani è poi difficile anche per le «debolezze sistemiche nella transizione dalla scuola al mondo del lavoro» e per una formazione non all’altezza del contesto attuale. Vi è ancora il fenomeno di chi non studia e non lavora.
Per affrontare l’iniqua situazione presentata ci potrebbero essere, secondo Oxfam, delle soluzioni. Si tratta di modificare un’economia malata attraverso scelte politiche mirate. In primo luogo agendo sulla leva dei tributi, ponendo fine alla diminuzione costate delle aliquote sulla ricchezza e sugli utili d’impresa, combattendo gli abusi come l’elusione e i paradisi fiscali.
In relazione al lavoro di cura i governi si dovrebbero impegnare in sforzi concreti e decisioni politiche coraggiose per rispondere alle esigenze sempre crescenti e supportare chi opera nell’assistenza, modificando il modo con cui viene svolta e riconoscendone il valore. La proposta di Oxfam è di costruire sistemi nazionali con la partecipazione della società civile, politiche redistributive, servizi pubblici dedicati e sistemi di protezione sociale.
«Da decenni le economiste femministe e la società civile propongono una serie di soluzioni per ridefinire radicalmente le priorità dell’assistenza, sintetizzate nel cosiddetto “quadro trasformativo delle 4R”. I principi da prendere in considerazione sono i seguenti:
- Riconoscere il lavoro di cura non retribuito e scarsamente retribuito, svolto principalmente da donne e ragazze, come una forma di lavoro o di produzione con un valore reale.
- Ridurre il numero totale di ore dedicate alle attività di cura non retribuite; ciò è possibile grazie a un migliore accesso a dispositivi e infrastrutture di assistenza a basso costo e di qualità che consentano di risparmiare tempo.
- Ridistribuire più equamente il lavoro di cura non retribuito all’interno della famiglia e contemporaneamente trasferirne la responsabilità allo Stato e al settore privato.
- Rappresentare i lavoratori più emarginati di questo settore e garantire che abbiano voce in capitolo nella progettazione e nella fornitura di politiche, servizi e sistemi che influenzano la loro vita.»
Basandosi su questi principi Oxfam propone sei azioni per sostenere i diritti di chi presta lavoro di cura.
«1. Investire nei sistemi nazionali dell’assistenza per riequilibrare il peso del lavoro di cura svolto da donne e ragazze: oltre ad investire nei servizi pubblici e nelle infrastrutture esistenti e a trasformarli, i governi devono investire anche in sistemi di assistenza nazionali intergovernativi. I sistemi nazionali di assistenza devono garantire l’accesso universale all’acqua potabile, ai servizi igienici e ai sistemi energetici domestici, e prevedere investimenti per fornire assistenza universale ai bambini, agli anziani e alle persone con disabilità. Tali investimenti dovrebbero avere come oggetto, tra l’altro, l’accesso a un’assistenza sanitaria e a un’istruzione di qualità e la fornitura di tutela sociale universale, ad esempio attraverso pensioni e assegni familiari. Nell’ambito dei sistemi nazionali di assistenza i governi devono garantire un minimo di 14 settimane di congedo di maternità retribuito e la progressiva realizzazione di un anno di congedo parentale retribuito, compresa una fase di congedo di paternità non differibile.
- Porre fine all’estrema ricchezza per porre fine all’estrema povertà: l’estrema concentrazione della ricchezza è sintomo di fallimento di un sistema economico. I governi devono prendere provvedimenti per ridurre radicalmente il divario tra i ricchi e il resto della società e dare priorità al benessere di tutti i cittadini ponendolo al di sopra della crescita insostenibile e del profitto, per affrancarsi da un sistema mondiale che rivolge l’attenzione a pochi privilegiati e condanna milioni di persone alla povertà. I governi devono compiere passi coraggiosi e decisivi, come il rafforzamento delle progressività dell’imposizione fiscale sulla ricchezza e i redditi elevati e la tolleranza zero verso le scappatoie fiscali e le inadeguate normative fiscali globali che permettono alle grandi imprese e agli individui ricchi di sfuggire alle proprie responsabilità contributive.
- Promulgare leggi a tutela dei diritti di tutti coloro che prestano lavoro di cura e garantire un salario dignitoso ai lavoratori retribuiti: nel quadro dei sistemi nazionali di assistenza, i governi devono garantire l’esistenza di politiche legali, economiche e lavorative che tutelino i diritti di tutti i prestatori di lavoro di cura, siano essi retribuiti o no, formali o informali, e monitorare l’attuazione di tali politiche. Di tali misure devono far parte la ratifica della Convenzione 189 dell’ILO sulla tutela dei lavoratori domestici, l’impegno a garantire che tutti i lavoratori percepiscano un salario dignitoso e l’eliminazione dei divari salariali di genere.
- Assicurarsi che i lavoratori possano incidere sui processi decisionali: i governi devono facilitare la partecipazione di coloro che svolgono lavoro di cura, sia retribuito che non, a fora e processi decisionali a tutti i livelli, e investire risorse nella raccolta di dati completi che possano costituire una base migliore per i processi decisionali e per la valutazione di impatto delle politiche. Queste azioni dovrebbero andare di pari passo con la consultazione di attivisti per i diritti delle donne, economiste femministe ed esperti della società civile sui temi dell’assistenza, e con l’aumento dei finanziamenti alle organizzazioni e ai movimenti femminili che lavorano in favore della partecipazione delle donne ai processi decisionali. Queste misure sono elementi basilari dei sistemi nazionali di assistenza.
- Sfatare norme sociali dannose e stereotipi di genere: le norme sociali e le convinzioni sessiste che vedono il lavoro di cura come una responsabilità delle donne e delle ragazze ne causano l’iniqua distribuzione tra i sessi, perpetuando la disuguaglianza economica e di genere. Nell’ambito dei loro sistemi nazionali di assistenza, i governi devono investire risorse per sfatare queste norme sociali e pregiudizi sessisti anche attraverso la pubblicità, la comunicazione pubblica e la legislazione. Gli uomini devono inoltre assumersi equamente le proprie responsabilità di lavoro di cura, al fine di riequilibrare la quantità sproporzionata di cure prestate dalle donne all’interno delle famiglie e delle comunità.
- Valorizzare il lavoro di cura nelle politiche e nelle pratiche aziendali: le aziende devono riconoscere il valore del lavoro di cura e sostenere il benessere dei lavoratori. Devono inoltre favorire la ridistribuzione del lavoro di cura attraverso l’offerta di prestazioni e servizi come asili nido e buoni per l’assistenza all’infanzia, nonché garantire salari dignitosi ai fornitori di servizi di cura. Le aziende e le imprese dovrebbero assumersi la responsabilità di contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fornendo la propria giusta quota di gettito fiscale, attuando pratiche lavorative favorevoli alla famiglia come, ad esempio, orari di lavoro flessibili e congedi retribuiti, e utilizzando la pubblicità progresso e la comunicazione pubblica per cambiare l’attuale sistema di distribuzione del lavoro di cura, basato sul genere.»
Il commento
La forza di questi sguardi sull’ingiustizia. Il gran peso delle briciole.
Alessandra Smerilli su Avvenire del 21 gennaio 2020.
«Uno dei motivi dell’insostenibilità dei sistemi economici attuali è l’aumento delle disuguaglianze a livello globale e all’interno dei Paesi. Il Rapporto Oxfam 2020, pubblicato lunedì 20 gennaio, sostiene che stiamo arrivando a un punto in cui le disuguaglianze economiche sono fuori controllo. Esso si concentra sulla ricchezza, misura dello stock posseduto da ogni persona, e non sui redditi, e cioè quello che si guadagna in un anno. Entrambe le misure, però, stando alle ultime pubblicazioni internazionali, mostrano che la forbice del divario tra i più ricchi e i più poveri è in costante aumento.
Branko Milanovic, grande studioso di questi temi, nel suo famoso grafico, chiamato “dell’elefante” a causa della sua forma, ci indica come dal 1980 in poi chi vede aumentare i propri redditi e le proprie ricchezze sono le élite di ricchissimi sparsi nel mondo e coloro che vedono accrescere le proprie disponibilità nelle economie emergenti, come per esempio la Cina, mentre si assiste alla sparizione della classe media nelle economie avanzate.
A chi si domanda se la disuguaglianza rappresenti un problema, Angus Deaton, premio Nobel per l’Economia, risponde con un’altra domanda: è proprio vero che il mondo migliora se pochi guadagnano un sacco di soldi e tutti gli altri ne guadagnano pochi o nulla, ma non stanno peggio economicamente rispetto al passato? Se la disuguaglianza aumenta oltre una certa soglia diventa tossica, come la presenza dell’anidride carbonica nell’aria: se troppa non si può respirare. «Quando si arriva al punto in cui una sola persona possiede una parte enorme della ricchezza di un Paese, che cosa può impedire a quella persona di imporre la propria volontà a tutta la nazione? Implicitamente o esplicitamente i suoi desideri diventano legge», scrive a sua volta Muhammad Yunus. E l’effetto sarà l’esclusione dai diritti e dalle opportunità per chi non appartiene a una cerchia ristretta. L’aumento delle disuguaglianze innesca un circolo vizioso che mina le pari opportunità per tutti. E le rivolte in Ecuador, in Cile e in altri Paesi del mondo negli ultimi mesi sono un sintomo di quanto le disuguaglianze possano diventare insostenibili.
Il rapporto Oxfam usa immagini molto plastiche per dare un’idea del fenomeno: se ciascuno si sedesse sulla propria ricchezza sotto forma di una pila di banconote da 100 dollari, la maggior parte della popolazione mondiale siederebbe al suolo, una persona della classe media di un Paese ricco su una sedia, e i due uomini più ricchi al mondo sarebbero nello spazio.
Non tutti gli studiosi sono d’accordo con i dati presentati nel Rapporto Oxfam e nel Global Inequality Report, o con gli studi di Thomas Piketty, a cui si deve il merito di aver portato questi temi al centro dell’attenzione. Una delle critiche è che nel divulgare i dati ci si concentra molto sulle fasce estreme, come il 10 o l’1% più ricco della popolazione, non tenendo in considerazione le fasce intermedie. In realtà il problema è proprio in questi estremi: se ci si limita a leggere indici sintetici di concentrazione della ricchezza, si hanno misure medie, che senza altri indicatori possono trarre in inganno. Negli ultimi anni ci si è accorti che il problema è proprio nella concentrazione abnorme di ricchezza nelle fasce più alte di reddito, un fenomeno che, se non adeguatamente misurato, può sfuggire.
Per fare solo un esempio, in Italia l’indice di Gini sul reddito disponibile, una misura della concentrazione della ricchezza, è di 33,4 per il 2017. Un dato non elevatissimo, sebbene superiore alla media europea (30,9). Se però andiamo a vedere i dati Inps sui lavoratori che guadagnano di più, osserviamo che negli ultimi 40 anni il tasso di crescita dei redditi da lavoro è aumentato del 99% per i top 10% (quelli che guadagnano di più), mentre per il restante 90% è stato del 65%. Per i top 0,01% l’aumento è stato del 298%.
Dato che si commenta da solo, insieme al fatto che per il 28% dei rapporti di lavoro la paga oraria media è inferiore ai 9 euro.
Nel rapporto Oxfam emerge anche, molto chiaramente, che a fare le spese delle disuguaglianze crescenti sono in particolare le donne, il cui lavoro molte volte è invisibile. L’80% dei lavoratori domestici nel mondo è donna, e di essi solo 1 su 10 gode delle stesse tutele di altri lavoratori, mentre per il 50% non vigono limiti legali alle ore di lavoro.
Proprio mentre mi accingevo a scrivere questo testo ho incontrato una donna che per 13 anni ha lavorato come badante senza tutele: ora è senza lavoro, senza possibilità di pensione, in cerca disperata di un’opportunità, e quindi pronta a rimanere invisibile pur di avere di che mangiare. Fino a quando ci saranno persone disposte a tutto pur di avvicinarsi alle briciole che cadono dalla tavola dei super ricchi o anche solo delle persone normali, l’economia non sarà riconciliata con le sue radici: oikos-nomos, gestione e custodia della casa, la propria e quella di tutti.»
Le fonti
«Oxfam è un movimento globale di persone che vogliono eliminare l’ingiustizia della povertà.
Oxfam (Oxford committee for Famine Relief) nasce in Gran Bretagna nel 1942, per portare cibo alle donne e ai bambini greci stremati dalla guerra. Nel 1965, adotta definitivamente il nome “Oxfam”.
Con il passare degli anni, Oxfam porta aiuto nelle più importanti crisi del mondo, come in Cambogia dopo la caduta di Pol Pot o in Etiopia vittima della carestia nel 1984, che raccoglie 51 milioni di sterline. Parallelamente, porta avanti una serie di ricerche e studi di settore, posizionandosi come esperta mondiale nei temi dello sviluppo.
Oxfam Italia ha aderito nel 2010 alla confederazione internazionale Oxfam e nasce dall’esperienza di Ucodep, organizzazione non governativa italiana che per oltre 30 anni si è impegnata con passione e professionalità per migliorare le condizioni di vita di migliaia di persone povere nel mondo, dando loro il potere e l’energia di costruirsi un proprio futuro, di controllare e orientare la propria vita, di esercitare i propri diritti.»
L’organizzazione ha un suo sito internazionale e uno italiano, nei quali sono reperibili il Rapporto completo in lingua inglese, una sintesi e ulteriori approfondimenti in italiano.