Il personaggio
Quando Bianca Guidetti Serra si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza le immatricolate erano il 3,1% del complesso degli studenti, mentre il censimento generale della popolazione del 1931 registrava lo 0,6% di donne che svolgevano la professione di avvocato e di procuratore su un totale di 27.951. La liberalizzazione dell’accesso delle donne all’avvocatura era stata decretata nel 1919, ma durante il fascismo ci fu una nuova chiusura. All’inizio degli anni 50 del secolo scorso, quanto si mise in proprio, le avvocate continuavano a essere delle mosche bianche: nel 1951 erano l’1,2% su 29.924, costrette ad affrontare i pregiudizi dei colleghi e dei giudici, che costituivano una casta chiusa e totalmente maschile. È significativo ricordare che l’ingresso delle donne nella magistratura fu autorizzato solo nel 1963!
Lo scorso anno sono state realizzate una serie di iniziative per celebrare il centenario della nascita di Bianca Guidetti Serra a cura di un Comitato costituito a questo scopo.
Dal sito WEB del Comitato stesso proponiamo alcune note biografiche.
Bianca Guidetti Serra nacque il 19 agosto 1919 a Torino, la città dove abitò e cui rimase legata per tutta la vita. La sua adolescenza, ricca di letture e passioni sportive, fu segnata dalla prematura morte del padre, avvocato civilista, quando lei non aveva ancora diciotto anni, e poco dopo, all’epoca delle leggi razziali del 1938, dall’incontro con un gruppo di giovani amici ebrei tra cui Alberto Salmoni, suo futuro marito, e Primo Levi, che proprio a lei, amica fidata di tutta la vita, fece pervenire per posta le poche notizie della sua deportazione ad Auschwitz.
Tra gli altri, facevano parte del gruppo Luciana Nissim, Emanuele Artom, Vanda Maestro, e fu così che, scoprendo il concreto impatto delle leggi razziali sulle loro vite, maturò la consapevolezza politica che la porterà all’impegno antifascista e alla partecipazione alla Resistenza. Con alcuni di loro organizzò un gesto di aperta protesta contro la campagna antiebraica andando a strappare nella Torino sotto i nazifascisti i manifesti che tappezzavano via Roma con la scritta “Sono i nemici della patria!”, al grido di “Siamo tutti italiani!”.
Per le difficoltà economiche della famiglia, che si trovò ad affrontare insieme alla madre e alla sorella minore Carla, nei primi anni della guerra riuscì a farsi assumere dall’Unione industriale come assistente sociale, e questa esperienza fu per lei la scoperta della fabbrica e della condizione operaia. Si era intanto iscritta a Giurisprudenza, conseguendo la laurea il 3 luglio 1943, con una tesi sperimentale per lo “Studio del senso morale dei delinquenti minori”, basata su interviste che le permisero di entrare a diretto contatto con il mondo dei reclusi nel riformatorio minorile Ferrante Aporti. Dopo la breve estate di speranze seguita al 25 luglio e alla caduta di Mussolini, con l’8 settembre fece la scelta della Resistenza, nelle file del Partito comunista cui aveva già aderito in seguito a un primo contatto casuale di fronte ai cancelli di Lingotto durante gli scioperi del marzo 1943. Nel giro di pochi mesi divenne militante a tempo pieno nelle strutture clandestine del Pci, e il suo impegno principale fu dedicato a organizzare quel movimento femminile unitario tra le varie componenti politiche del Cln che prese forma nei “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà”, di cui Bianca fu attiva promotrice a Torino insieme ad Ada Gobetti, esponente del Partito d’Azione. Aveva conosciuto Ada già prima di questa collaborazione e ne era nata un’amicizia, destinata a durare tutta la vita, a partire dalle cosiddette “gite” in montagna compiute insieme per mantenere i contatti, l’una con il figlio Paolo, l’altra con il fidanzato Alberto, che militavano entrambi nella stessa banda partigiana di Giustizia e Libertà, basata nella Valle di Susa e nelle adiacenti valli Pellice, Germanasca e Chisone.
Nell’immediato dopoguerra Bianca ricoprì vari incarichi presso la Camera del Lavoro torinese, come membro del Consiglio direttivo e responsabile della Commissione femminile, prestando inoltre assistenza nell’Ufficio legale del sindacato, mentre proseguiva il suo impegno con le donne nell’Udi. La sua iniziativa più significativa di quel periodo fu l’organizzazione di uno sciopero esclusivamente femminile, indetto per il 14 luglio 1945 nella sola città e provincia di Torino, che vide una straordinaria adesione e partecipazione di tutte le categorie di lavoratrici contro la misura del governo che fissava in misura più bassa l’indennità di contingenza sui salari delle donne, fino a ottenerne la revoca.
Il 1947 segnò una svolta decisiva nella vita di Bianca che, superati gli esami di procuratore legale, volle dedicarsi all’attività professionale che avrebbe continuato a svolgere fino al 2001, soprattutto come avvocato penalista. Quando si iscrisse all’Ordine, il mondo forense era ancora un universo chiuso a monopolio maschile, con rarissime presenze femminili (6 sugli 800 avvocati del Foro torinese) e la sua figura si contraddistinse ben presto per l’impegno a sostegno dei più deboli, degli operai, spesso a fianco del sindacato in molteplici cause di lavoro, come nel campo del diritto di famiglia e della tutela dei minori e dei carcerati.
Un anno cruciale fu per Bianca il 1956, per la rottura con il Pci dopo l’intervento sovietico in Ungheria, particolarmente dolorosa per la sensazione di isolamento e le lacerazioni di rapporti personali che comportò. Da quel momento non si iscrisse più a nessun partito, ma reagì facendo della professione una diversa forma di militanza, mettendo le sue competenze al servizio di cause coerenti con la sua visione di un mondo più giusto. E lo fece con un’attività infaticabile di cui ci limitiamo a citare alcuni momenti salienti, che testimoniano anche come molte conquiste giuridiche siano state precedute da battaglie giudiziarie di cui è stata protagonista (parità salariale uomo-donna, abolizione della clausola del nubilato nei contratti di lavoro delle donne, depenalizzazione dell’aborto, per non dare che qualche esempio utile anche a sottolineare il suo impegno dalla parte delle donne). Accanto ai processi di grande risonanza pubblica, vanno pur sempre ricordate le innumerevoli e meno visibili azioni legali che continuò a svolgere a titolo volontario e generosamente gratuito in difesa di operai, studenti, minori, carcerati, obiettori di coscienza, militanti politici e sindacali, come di tante persone semplici prive di mezzi.
Accanto all’attività professionale, Bianca mantenne un impegno civile e sociale praticato anche attraverso varie associazioni. Fu tra i soci fondatori, nel 1961, del Centro studi Piero Gobetti (di cui ricoprì la carica di presidente dal 1994 al 2002). Nel 1962, con Francesco Santanera, fu socia fondatrice dell’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affilianti) in difesa dei diritti dell’infanzia e per una riforma della legge sulle adozioni (approvata nel 1967); poi, nel 1965, dell’Uces (Unione contro l’emarginazione sociale) in difesa dei minori ricoverati negli istituti assistenziali. Difesa che si tradusse nella promozione di tanti casi giudiziari in varie parti d’Italia che videro infine condannati, anche in processi clamorosi, i responsabili di maltrattamenti e avviarono la chiusura delle strutture di internamento a favore di nuove forme di accoglienza comunitaria.
In veste di avvocato, Bianca fece parte di numerose missioni internazionali: a Madrid, nel 1959, su incarico dell’Udi, con una delegazione organizzata dalla Federazione internazionale delle donne democratiche in sostegno delle detenute politiche del regime franchista; ancora a Madrid, nel 1973, inviata dai sindacati italiani come membro dell’Associazione giuristi democratici nel ruolo di osservatrice al processo contro gli attivisti sindacali delle Comisiones obreras; nel 1979 in Paraguay, su incarico dei Giuristi democratici, per il caso del desaparecido Amilcar Santucho, avvocato argentino militante nella Lega per i diritti dell’uomo.
Fu promotrice, nel ruolo di difensore delle vittime, delle prime battaglie giudiziarie per la tutela della salute in fabbrica e contro l’inquinamento ambientale, nei casi che misero sotto accusa l’Ipca di Ciriè (1972-77) e l’Eternit di Casale (1983-94). Tra i grandi processi di rilievo nazionale di cui fu protagonista in varie città italiane, su molti dei quali ci ha lasciato lei stessa memoria nei suoi scritti, vogliamo ricordare quello relativo alle schedature Fiat (1976-78) e il difficile esercizio della difesa d’ufficio nel processo al nucleo storico delle Br (1976-78).
Bianca Guidetti Serra ha inoltre ricoperto gli incarichi istituzionali – sempre eletta come candidata indipendente – di consigliere comunale a Torino dal 1985 al 1987 (capolista di Democrazia proletaria) e dal 1990 al 1999 (nelle liste del Pci, dal 1991 Pds), e di deputata al Parlamento dal 1987 al 1990 (nelle liste di Democrazia proletaria). Come parlamentare, oltre a far parte delle commissioni Giustizia e Antimafia, è stata la prima firmataria della proposta di legge per la messa al bando dell’amianto, elaborata con il contributo di Medicina democratica e dell’Aea (Associazione esposti amianto), approvata infine nel 1992. Nel Consiglio comunale si è particolarmente occupata delle condizioni carcerarie, in particolare sui temi della socialità negli istituti penitenziari, della ricerca di forme alternative di pena e delle misure per il reinserimento dei detenuti.
Figura esemplare per la coerenza dell’impegno con cui ha saputo attraversare la storia del Novecento, Bianca Guidetti Serra si è spenta a Torino il 24 giugno 2014.
Il commento
Una vita spesa per i più deboli, dagli ebrei perseguitati nell’Italia fascista alla difesa gratuita di chi non poteva permettersi un avvocato, se non quello d’ufficio, alla denuncia delle schedature Fiat.
Ma non una donna “contro” una donna “con”, “per”, anche nelle istituzioni e non solo nel lavoro.
Significative la prima presa di coscienza di quanto stava succedendo nel Paese, e ai suoi amici, con le leggi razziali; e le difficoltà familiari, ed economiche, dovute alla morte prematura del padre, che non le impedirono di perseguire l’obiettivo di studiare e occuparsi di giurisprudenza.
Anche nella tesi manifestò la scelta di stare dalla parte di chi conta di meno, occupandosi dei giovani reclusi al carcere minorile di Torino, il “Ferrante Aporti”, come pure nella prima occupazione come assistente sociale, che le fece conoscere il mondo operaio e la vita in fabbrica.
È stata costantemente una persona “impegnata”, nel suo lavoro, in primo luogo, poi nell’azione sindacale e politica. Da avvocato si contraddistinse per il sostegno di chi contava di meno nella società, degli operai, spesso a fianco del sindacato in molteplici cause di lavoro, come nel campo del diritto di famiglia e della tutela dei minori e dei carcerati. Molte le battaglie giudiziarie di cui è stata protagonista: citiamo la parità salariale tra uomini e donne, l’abolizione della clausola del nubilato nei contratti di lavoro delle donne. Fu promotrice, nel ruolo di difensore delle vittime, delle prime controversie giudiziarie per la tutela della salute in fabbrica e contro l’inquinamento ambientale, ad esempio nei casi che misero sotto accusa l’Ipca di Ciriè negli anni Settanta e l’Eternit di Casale, a cavallo tra gli anni ’80 e ‘90. Tra i grandi processi di rilievo nazionale di cui fu protagonista è importante ricordare quello, già citato, relativo alle schedature Fiat (1976-78) e il difficile esercizio della difesa d’ufficio nel processo al nucleo storico delle Br negli stessi anni. Accanto ai processi di grande risonanza pubblica, vanno menzionate le innumerevoli e meno visibili azioni legali che svolse a titolo volontario e gratuito in difesa di operai, studenti, minori, carcerati, obiettori di coscienza, militanti politici e sindacali, come di tante persone semplici prive di mezzi.
Significativa anche la sua parabola politica. Dopo la militanza nel periodo bellico e nel dopoguerra nel Partito Comunista lo abbandonò in occasione dell’intervento sovietico in Ungheria del 1956, come forte segnale di condanna di quell’azione repressiva. La scelta fu dolorosa sia per le ovvie ragioni politiche sia sul piano personale per la rottura di importanti rapporti.
In tutti gli anni che seguirono chi continuò la militanza nel PCI e la frequentò, non colse mai alcunché di ostile nei confronti del partito, nessun astio, nessun tono presuntuoso. Si limitava ad affermare che «nel 1956 si era perso il treno per una svolta che avrebbe fatto crescere il consenso in Italia agli ideali del comunismo democratico».
Da quel momento non si iscrisse più a nessun partito, ma reagì facendo della professione una diversa forma di militanza, mettendo le sue competenze al servizio di cause coerenti con la sua visione di un mondo più giusto, accompagnata da un impegno civile e sociale praticato anche attraverso varie associazioni. Fu tra i soci fondatori, nel 1961, del Centro studi Piero Gobetti, da lei presieduto dal 1994 al 2002; nel 1962, con Francesco Santanera, fondò dell’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affilianti) in difesa dei diritti dell’infanzia e per una riforma della legge sulle adozioni, che fu approvata qualche anno dopo, nel 1967; poi, nel 1965, dell’Uces (Unione contro l’emarginazione sociale) in difesa dei minori ricoverati negli istituti assistenziali. Difesa che si tradusse, sul piano professionale, nella promozione di tanti casi giudiziari in varie parti d’Italia che videro condannati, anche in processi clamorosi, i responsabili di maltrattamenti e avviarono la chiusura delle strutture di internamento a favore di nuove forme di accoglienza comunitaria.
Bianca Guidetti Serra, pur avendo lasciato il partito al quale aveva aderito in gioventù, non smise mai di impegnarsi in politica, presentandosi anche come candidata a elezioni, sempre come indipendente, e ricoprendo incarichi istituzionali. Fu infatti consigliere comunale a Torino dal 1985 al 1987, nella lista di Democrazia proletaria, e dal 1990 al 1999 nel Pds, e deputata al Parlamento dal 1987 al 1990 sempre in Democrazia proletaria. Come parlamentare, oltre a far parte delle commissioni Giustizia e Antimafia, fu la prima firmataria della proposta di legge per la messa al bando dell’amianto, elaborata con il contributo di Medicina democratica e dell’Aea (Associazione esposti amianto), approvata nel 1992. Nel Consiglio comunale si occupò in modo particolare delle condizioni carcerarie, sui temi della socialità negli istituti penitenziari, della ricerca di forme alternative di pena e delle misure per il reinserimento dei detenuti.
Nella sua vita, nella lunga esperienza di avvocato e nell’attività politica coniugò sempre il piano dei diritti con quello delle conquiste sociali e la dimensione della democrazia con la salvaguardia delle minoranze. La sua pratica professionale nel diritto la esercitò in una prospettiva di difesa e allargamento dei diritti, personali e sociali, in questo, come nel resto della sua attività, fu una donna limpida, coraggiosa e determinata, sempre rispettosa e attenta alle persone e ai loro ambienti, anche nei confronti di chi era lontano dai suoi valori, come i terroristi o alcuni delinquenti comuni.
Coloro che la videro nell’esercizio della sua professione la descrivevano come una persona vivace, piena di umanità, priva totalmente, ad esempio nelle arringhe, di ogni forma retorica, sempre sul filo della ragione, senza le “trombonate” molto di moda nelle aule di giustizia. Ancora qualcuno ricorda come non ci fosse processo dove veniva giudicato uno di quelli che il Vangelo chiama “gli ultimi”, i più diseredati (sfrattati, senza fissa dimora, disoccupati, autori di piccoli furti, alcolizzati o con lievi disturbi psichici), che la vedesse assente.
Una caratteristica fatta notare da chi la conosceva era di non esibire certezze politiche e tanto meno ideologiche, le sue erano convinzioni morali su ciò che considerava giusto o ingiusto, da cui conseguivano le scelte di vita, professionali e politiche, fin da quella antifascista, che fece da giovanissima per reazione alle leggi razziali, di cui vedeva i soprusi imposti ai suoi amici ebrei. Dall’attività politica affermò di aver tratto sempre meno soddisfazioni rispetto alla professione; delle esperienze istituzionali, soprattutto di quella parlamentare, evidenziò in maniera particolare che «in politica si parla troppo e si ascolta poco», mentre apprezzò del Consiglio comunale la concretezza di molte tematiche affrontate.
Nell’ultima parte della sua esistenza vi fu un tema su cui interrogava e si interrogava con frequenza, quello della democrazia, intesa come capacità di convivere con gli altri, tra diversi e anche avversi, confrontandosi in modo aperto per trovare tuttavia una risoluzione regolata dei conflitti, senza sopraffazioni. Affermava che la democrazia «è un progetto di libertà al plurale che per una sua realizzazione in senso pieno considero inscindibile dalla giustizia anche sul terreno sociale. […] La democrazia si impara facendola, e bisogna ammettere che siamo ai primordi». Sosteneva, con grande lungimiranza, che su questo terreno siamo apprendisti di un processo in costruzione, che può esaurirsi se si perde il filo delle sue ragioni e ne vedeva i limiti e i pericoli.
Significative alcune notazioni che emergono da sue esternazioni private e da persone che bene la conoscevano. Ad esempio alla domanda su cosa l’avesse colpita nel suo fidanzato, diventato poi marito, la risposta fu semplice: «che fosse un così bel ragazzo». Infine chi collaborò alla stesura della sua autobiografia affermò: «voglio concludere ricordando come Bianca amasse anche i piccoli piaceri della vita: il bicchiere di vino “rosso” che il figlio Fabrizio non le ha mai fatto mancare fino all’ultimo, i “torcetti” torinesi che offriva con il tè al pomeriggio, il “ballo” in cui l’abbiamo vista volteggiare ancora alla sua festa dei 70 anni…»
Le fonti
Come già citato, in occasione dei cento anni dalla nascita è stato costituito un Comitato nazionale che ha organizzato una serie di iniziative per ricordarne la figura. Queste proseguono anche nel 2020 e sul sito del Comitato è possibile consultarle. Lo ringraziamo per la disponibilità manifestata a consentire la pubblicazione di materiale presente sul sito stesso.
Esiste anche un’associazione che porta il suo nome e ha una pagina Facebook.
In rete è disponibile un breve testo intitolato Bianca Guidetti Serra. Un percorso lungo un secolo.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il paese dei celestini (con Francesco Santanera), Einaudi, Torino 1973; Compagne, Einaudi, Torino 1977; Le schedature Fiat, Rosenberg & Sellier, Torino 1984; Storie di giustizia, ingiustizia e galera, Linea d’ombra, Milano 1994. Una citazione particolare merita Bianca la rossa, l’autobiografia scritta con la collaborazione di Santina Mobiglia, pubblicata da Einaudi nel 2009, anche perché il titolo, voluto dalla casa editrice per ovvie ragioni di marketing, non fu apprezzato dalle autrici e dalla famiglia. Infatti il figlio Fabrizio Salmoni affermò: «Mia madre è stata soprattutto un bravo avvocato, politicamente impegnata. Invece da questo titolo sembra una pasionaria comunista».
Ecco, infine, alcune sue affermazioni.
«Mi attrae e incuriosisce sempre di più invecchiando tutto ciò che non so della natura di cui siamo parte mentre ci affanniamo nel cercare di dare un senso al nostro avventuroso cammino nella storia. Il mondo va un po’ dove vuole né si lascia pilotare e nel fluire degli eventi ciò che ciascuno di noi può fare è poco più del classico granello di sabbia ma anche un piccolo granello di sabbia unendosi ad altri può creare degli argini a correnti pericolose e può inceppare ingranaggi e meccanismi perversi. Non bisogna arrendersi, rinunciare al cambiamento per quanto parziale mai definitivo e salvifico».
«Mi ha sempre interessato l’aula giudiziaria come luogo dei diritti in movimento, del confronto tra le istanze della società e i rapporti codificati di potere, di una dialettica tra le parti che tende a discutere e a ridefinire i confini di ciò che si intende per giusto o ingiusto della vita sociale.»
«Nel mestiere e nella militanza ho cercato di far valere contro la legge del più forte i diritti dei più deboli. Non mi sono mai sentita antagonista per principio: quando mi sono battuta contro qualcuno era per difendere qualcun altro. Mi è piaciuto il fare e ho fatto quel che ho potuto cercando sempre di essere me stessa. Nel mio operare ho anteposto i fatti concreti ai discorsi, la moralità delle persone alle idee. Non sono scontenta della mia vita non ho particolari rimpianti o rammarichi. Ne ho raccontato tutto il percorso lungo quasi un secolo tra le tante storie di giustizia ingiustizia che mi hanno coinvolto non solo professionalmente e in cui ho trovato un senso da dare al tempo che mi è toccato in sorte».