Il Rapporto ISPI 2020: un nuovo mondo in cui vivere

Un mondo è finito. Era il mondo che conoscevamo, quello liberale e a guida occidentale che era emerso dal secondo dopoguerra e che sembrava aver trionfato alla fine della guerra fredda.”.

Viviamo oggi un periodo di transizione verso un nuovo mondo, di cui però non riusciamo ancora a tracciare con chiarezza i contorni. Una fase di “lavori in corso” per la costruzione di un ordine internazionale ancora indefinito.  

Il Report ISPI 2020 vuole decifrare questo mondo dei “lavori in corso” esplorandone tre dimensioni. Chi sono i grandi attori che lavorano alla costruzione del nuovo ordine internazionale? Quali sono gli ambiti in cui stanno lavorando, ovvero in cui competono o collaborano? E che forme prendono competizione e collaborazione sui vari scacchieri regionali, dall’Asia al Medio Oriente, dall’Africa all’America Latina?»

Così l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) ha presentato sul suo sito il Rapporto 2020 intitolato Lavori in corso. La fine di un mondo, atto II. Probabilmente, anzi di certo, la situazione di questo stesso mondo nell’attuale fase caratterizzata dalla pandemia sta mutando e muterà lo scenario descritto, ma proprio per tale ragione ci sembra importante presentare i dati salienti del lavoro, come base per interpretare il passato recente e il futuro.

1. Un nuovo bipolarismo?

Il punto di partenza dell’analisi è la constatazione del declino, avvenuto negli ultimi vent’anni, dell’egemonia occidentale e lo sviluppo della competizione tra USA e Cina che «costituisce di per sé un elemento ragguardevole di trasformazione delle dinamiche politiche ed economiche internazionali». Questo nuovo bipolarismo è molto diverso da quello tra Stati Uniti e URSS del periodo della guerra fredda, per le mutate condizioni generali, la presenza di altri soggetti importanti (UE, Russia, India, Brasile) e soprattutto per l’elevato livello di interdipendenza economica tra gli attori.

«Invece di essere eretta a chiave di lettura unitaria e coerente dell’attuale sistema internazionale, la competizione tra Stati Uniti e Cina richiede di essere scomposta nelle sue diverse dimensioni e contesti regionali», questo è uno degli elementi principali, insieme alla necessità di interpretare il fenomeno come frammentazione del sistema internazionale in blocchi contrapposti, guidati da un Paese leader. Le grandi potenze, quindi, giocherebbero il ruolo di gestire la competizione e non la cooperazione, se non all’interno del loro raggruppamento di nazioni.

Se ciò è vero sul piano politico lo è ancora di più sotto il profilo economico, e con un grado di complessità decisamente superiore. L’evoluzione della globalizzazione cambia le relazioni economiche, soprattutto in due direzioni. La prima è il peso di altre potenze, emergenti, qual è l’India, l’altro gigante orientale, la seconda «è la tendenza a notevoli e frequenti cambiamenti dei paesi che occupano le 5-10 posizioni successive alle prime tre, che hanno ruoli e legami fra di loro e con i più grandi, diversi e cruciali nel determinare gli esiti delle interazioni dei tre maggiori».

Sul piano del commercio il tripolarismo vede l’Europa come uno dei protagonisti, in un contesto che tende a regionalizzarsi, nel quale non è importante il singolo paese, ma il peso della propria area, anche se lo scenario differisce in base ai settori e alle loro catene di produzione e vendita: ad esempio nell’elettronica si assiste a una maggiore globalizzazione, mentre nell’industria automobilistica le interdipendenze sono limitate.

La guerra commerciale e il clima di incertezza tra USA e Cina comportano delle conseguenze. Il WTO ha ridotto della metà le stime sulla crescita del commercio mondiale, inoltre se proseguisse la spaccatura tra le due potenze sul terreno della tecnologia (queste sembrano procedere su strade diverse) avrebbe conseguenze in tutti i settori e in ogni parte del mondo.

La competizione ha dei risvolti sul terreno militare. Cina e USA si confrontano anche sull’aumento delle spese per la difesa e i nuovi ambiti, nucleare, spaziale, informatico e missilistico. Gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump hanno «spostato il focus militare americano dal terrorismo e dalla diffusione dell’estremismo alla competizione strategica internazionale e a un possibile conflitto con Cina e Russia», mentre la Cina ha esposto la sua strategia in un Libro bianco che prospetta una «nuova era» nella quale i principali campi della sicurezza sono il nucleare, lo spazio e il cyberspazio, in una visione di egemonia crescente, in particolare nell’Asia e nel Pacifico.

La sfida si gioca ancora sulla gestione delle materie prime, delle risorse strategiche necessarie alla produzione. La Cina, ad esempio, controlla oggi quasi il 90% delle terre rare, indispensabili per batterie, schermi, auto ibride ed energie rinnovabili, come pure per l’industria bellica; inoltre da tempo ha avviato un percorso di governo e utilizzo delle ricchezze del continente africano.

Un nodo importante è il suo approccio, che non considera, nei rapporti economici e commerciali, gli aspetti legati alla democrazia, al rispetto dei diritti umani, allo sviluppo della società civile in cambio della collaborazione, come spesso fanno invece i Paesi occidentali. È un elemento caratterizzante questo nuovo colonialismo.

Per rispondere al disegno cinese di espansione dell’influenza su più fronti, gli Stati Uniti hanno rilanciato, con appositi accordi, la cooperazione con Giappone, India, Australia e con altre nazioni delle Americhe.

Rete mondiale delle esportazioni
Rete mondiale delle importazioni

All’interno dello scenario brevemente descritto, schiacciati da questa competizione, alcune potenze regionali tentano di ampliare la loro autonomia. Ancora, molti Paesi cercano di contrastare il forte impegno cinese in Africa, in modo particolare nell’area sub-sahariana, che è diventata un ulteriore luogo di scontro con Pechino.

Tale è anche l’America centrale e meridionale, dove la Cina ha investito centinaia di miliardi di dollari, soprattutto nei settori dell’energia e delle infrastrutture. Più in generale la grande potenza asiatica è diventata, nel volgere di pochi anni, il secondo partner commerciale della regione e il primo in Paesi chiave come il Brasile.

2. Le relazioni fra USA e Cina

Tracciato un veloce quadro dello scenario, «variegato e in via di assestamento», il Rapporto passa a esaminare le politiche dei principali attori. Negli ultimi anni le relazioni tra i due personaggi principali hanno manifestato un progressivo deterioramento. La Cina, da parte sua, è stata sempre più protagonista. Dal 2006 al 2016 ha decuplicato i suoi investimenti esteri, ha finanziato in modo cospicuo la modernizzazione tecnologica, ha supportato le imprese nazionali che operano sul mercato globale. Per contro si è manifestata «una crescente retorica e politica anti-cinese degli Stati Uniti, che si è sostanziata nell’adozione di tre linee di azione politica, strettamente intrecciate, nell’ambito tecnologico, commerciale e finanziario, e della sicurezza». La caratteristica più evidente della politica dell’amministrazione guidata dal presidente Trump è relativa al secondo elemento: lo scontro commerciale. Sono state colpite le importazioni cinesi, con un valore compreso tra il 10 e il 25%, per un totale di 370 miliardi di dollari. Pechino ha risposto riducendo l’acquisto di prodotti alimentari USA. Sul piano della sicurezza, e delle alleanze, Washington continua a possedere un vantaggio rispetto al rivale asiatico, per cui si assiste a una superiorità americana sotto questo profilo, bilanciata da quella cinese sul versante economico e finanziario.

«La crescita della competizione tra Stati Uniti e Cina ha un effetto ambivalente su tutti gli altri attori: se, da un lato, tende a marginalizzarli, dall’altro apre loro paradossalmente nuovi spazi di manovra». La Russia è stata particolarmente attiva in Europa e nel Medio Oriente, ha affiancato la Cina nella competizione contro gli USA e, in prospettiva, sarà il suo partner principale, attenta però a non lasciarsi schiacciare dal suo potente vicino. La sua situazione interna è però poco incoraggiante: economia stagnante, declino demografico, tensioni in vari territori, crescente distacco da parte della classe media, fuga di giovani preparati.

Investimenti esteri della Cina
  1. La situazione dell’Europa

Il Vecchio continente, e in particolare l’UE, è in una difficile congiuntura. Il suo futuro è strettamente connesso con quello dell’ordine liberale in difficoltà. Per rispondere alla crisi dovrebbe svolgere un importante ruolo nello scenario globale, una rilevanza che si scontra con le difficoltà interne, che si chiamano divisioni, sovranismi e populismi, spinte centrifughe come la Brexit. Il Rapporto mette in risalto e condivide le prime indicazioni della nuova Commissione: rafforzamento del posizionamento internazionale e potenziamento dei settori nei quali l’UE può essere una guida, come «un’economia eco-compatibile, la lotta al cambiamento climatico e la regolamentazione di internet».

L’impegno da profondere e gli investimenti necessari potrebbero essere vanificati da alcuni fattori esterni, primo fra tutti l’andamento dell’economia: «se dovesse davvero profilarsi un’altra crisi economica significativa, sarebbe difficile non vedere altre spinte per la EU-exit e un rigurgito di euroscetticismo fomentato da forze nazionaliste». Il futuro dell’Unione dipenderà anche dalla capacità dei Paesi membri di esprimere una leadership politica valida, preparata e lungimirante, convinta che nessuno Stato può e potrà competere da solo nello scenario globale. Altri due elementi saranno l’esito delle elezioni presidenziali negli USA e l’evoluzione del processo di uscita del Regno Unito dall’UE: se i costi, non solo economici, del divorzio fossero inferiori alle aspettative potrebbero spingere altri a imitare Londra.

3. Il ruolo dell’Italia

In questo complesso scenario cosa può fare il nostro Paese? Innanzitutto il Rapporto afferma che «l’Italia ha ottime motivazioni per non rassegnarsi né all’arretramento di status geopolitico, né al declino economico, né a uno scollamento progressivo tra una cittadinanza inappagata nei suoi interessi percepiti e istituzioni di democrazia rappresentativa logorate nell’autorevolezza», ma il requisito è dotarsi degli strumenti opportuni per muoversi in questo contesto.

Si tratta di identificare quello che il testo chiama «interesse nazionale», ciò che va perseguito per ottenere dei vantaggi per tutti, scongiurare le minacce e cogliere le opportunità, a partire dal principio, comunque, che nessuno può fare da solo: per noi equivale a ragionare nel quadro europeo. Poi significa migliorare i processi decisionali, assumersi responsabilità sempre più forti, considerare l’opinione pubblica non solo un bacino elettorale. Risulta indispensabile distinguere, nelle relazioni internazionali, tra alleati e partner: con i primi si condividono interessi, ma anche valori, con i secondi basta convergere sugli interessi. Perciò il nostro ambito geopolitico è l’Europa, e così è per tutti i Paesi del Continente: da questo si deve partire per rilanciare le relazioni multilaterali su basi nuove e più proficue. Ad esempio le relazioni con la Cina possono essere gestite solo con una regia europea, giacché nessuno stato potrebbe reggere il confronto con una tale potenza, demografica, produttiva, economica.

È indispensabile quindi individuare temi, obiettivi e percorsi da portare avanti in modo condiviso, consci che i problemi, nella loro complessità, possono essere affrontati con successo solo insieme, da europei.

Ciò vale anche per «quelle minacce che insidiano, con modi e gradazioni diverse, la sicurezza nazionale di ogni stato. Talché ciascuno ha il diritto di scegliere, per tutelare la sua sicurezza, le soluzioni che reputa più conformi alla propria sensibilità, tradizione, cultura istituzionale; ma tutti hanno il dovere di ingaggiarsi in linee di azione concordate, coerenti e coordinate, a meno di non lasciare campo libero a minacce che per loro natura ignorano le frontiere fisiche e le valicano agevolmente»: è il caso dei cambiamenti climatici, oppure della sicurezza cibernetica. Si tratta dunque di far emergere un «multilateralismo aggiornato, del quale tutti potrebbero beneficiare». Le nazioni europee, ma in primo luogo le popolazioni che le abitano, devono continuare a essere legate da un destino comune, rafforzando e consolidando l’Unione, facendone un soggetto più rispettato e credibile. Va costruito un percorso che preveda il perseguimento di politiche industriali e tecnologiche comuni, politiche estera e di difesa condivise, in modo da contare di più sulla scena internazionale, agendo da attore globale.

«Imperdonabile sarebbe se abbandonassimo l’europeismo a una lenta consunzione. Il dovere di essere lucidi e realistici nel perseguire l’interesse nazionale non toglie nulla al diritto di coltivare gli ideali. Non sono due corni di un dilemma, sono due esigenze vitali che si alimentano mutuamente in una tensione continua e feconda, al di là della complessità di questa fase storica. Basterebbe riscoprire la politica nella sua nobiltà di arte del possibile».

4. Cosa aspettarci per il 2020?

Dal quadro delineato in modo sintetico (il Rapporto consta di oltre 250 pagine), emergono alcuni nodi, in forma di interrogativi, che consentono di riassumere il contenuto del lavoro.

1. Il 2020 potrebbe essere l’anno della riscossa dell’Unione europea? Romano Prodi, già presidente della Commissione, se l’è augurato formulando due auspici: si deve puntare a «un’Europa sociale e che sappia armonizzare le politiche industriali. […] La nuova Commissione può e deve segnare la svolta».

2. Il 2020 sarà l’anno della recessione per l’economia globale? Infatti la certezza degli osservatori non è sul «se», bensì sul «quando» e la convinzione è che partirà dagli USA per contagiare Europa.

3. Dopo le proteste del 2019 in molte parti del mondo il 2020 potrebbe essere l’anno della repressione? I movimenti hanno visto scendere in piazza persone da Hong Kong al Libano, da Santiago del Cile all’Iraq, da Barcellona all’Iran, e sono allo stesso tempo simili e diversi per cause ed effetti: simili per il disagio che esprimono, diversi per gli eventi che li hanno provocati e per la risposta del potere.  

4. Chi sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti? L’esito delle elezioni avrà ripercussioni globali.

5. Quale sarà il futuro della jihad dopo la sconfitta dell’ISIS? Il movimento si è trasformato e, con modalità differenti, è presente dalla Nigeria alle Filippine passando per il Medio Oriente: si svilupperà nel 2020 una leadership globale?

6. Nel 2020 potrebbe esserci una svolta, o almeno una tregua nell’aspro confronto tra Arabia Saudita e Iran?

7. Sarà anche l’anno della distensione tra Russia e Ucraina? I due presidenti si sono incontrati per tentare un accordo, che può avere delle ripercussioni anche sui rapporti tra Europa e Nato con Mosca.

8. Cosa porterà il 2020 alle popolazioni dell’America Latina? Le zone centrali e meridionali del Continente sono state scosse da profonde tensioni. Al di là delle singole questioni all’origine delle proteste vi è la richiesta di un radicale cambiamento economico e sociale, una nuova coscienza dei diritti in una situazione di deterioramento complessivo nella qualità democratica del subcontinente.

9. Il 2020 vedrà una svolta per il clima? Le manifestazioni del 2019 di un movimento globale sono il segnale di una crescente consapevolezza: sfocerà in scelte politiche conseguenti?

10. Come sarà il mercato internazionale nel 2020? La guerra commerciale in atto tra Cina e USA lo ha reso più anarchico, il mondo è diviso. L’Organizzazione Mondiale del Commercio che ne monitora e regola lo sviluppo cosa farà?

Il 2020 ha messo tra parentesi tali interrogativi, pur continuando a essere presenti, ed è, e sarà ricordato, come l’anno della pandemia da Covid 19.

Ognuno di noi provi dunque a rispondere a queste domande e a formularne di nuove alla luce dalla situazione attuale.