Il personaggio
Torniamo indietro di tre secoli e incontriamo un personaggio che può essere considerato uno dei fondatori della moderna scienza economica: Antonio Genovesi. Egli detiene anche un particolare primato, è stato infatti il primo docente di una cattedra di economia, nel 1754 a Napoli.
Gli anni della formazione
Nacque a Castiglione, oggi chiamato Castiglione dei Genovesi, in provincia di Salerno, il primo di novembre del 1713, dal padre Salvatore, artigiano, e Adriana Alfenito. La famiglia, un tempo benestante, era decaduta e viveva del lavoro di calzolaio del genitore e dei proventi derivanti da una piccola proprietà. È per tale ragione che il giovane Antonio venne instradato verso la carriera ecclesiastica, che accettò di buon grado, come l’unica strada possibile per accedere a studi superiori e a un impegno intellettuale per i quali era portato, motivato altresì da una religiosità profondamente sentita. Si impegnò quindi in un percorso formativo caratterizzato dallo studio delle lettere latine, della scolastica e della filosofia cartesiana, della storia e della letteratura, soprattutto i poemi cavallereschi e le opere di Dante e Petrarca, nonché naturalmente della teologia e del diritto civile e canonico. Le due autobiografie, entrambe incompiute, fanno emergere il ritratto di un giovane vivace, intelligente e ricettivo, motivato e impegnato nello studio, ambizioso e abile nella dialettica. Notato e apprezzato dal vescovo di Salerno gli fu assegnato l’insegnamento della retorica presso il locale seminario e nel 1737 fu ordinato sacerdote. L’anno seguente, grazie anche a una modesta somma ereditata da uno zio materno, si trasferì a Napoli, dove approfondì gli studi filosofici, seguendo anche le lezioni di un anziano Giambattista Vico, e si avvicinò alla cultura anglo-olandese, al neoplatonismo, al pensiero di Newton e Locke, al giusnaturalismo (una corrente filosofico-giuridica fondata su due principi: l’esistenza di un diritto naturale, conforme alla natura dell’uomo e quindi intrinsecamente giusto, sulla cui struttura dovranno essere modellati i diversi diritti positivi).
Insegnante di filosofia
Nel 1939 aprì una scuola privata nella quale applicare i suoi «nuovi piani di filosofia e di teologia», in particolare il «piano di un’etica», come ricorda in una delle autobiografie, frutto delle riflessioni di quegli anni. L’esperienza gli consentì di maturare una vocazione pedagogica che caratterizzò tutta la sua attività didattica, contraddistinta da un metodo di insegnamento dinamico, con un’interazione costante con i giovani. Il carattere innovativo e il successo della scuola gli procurarono l’amicizia e la protezione di importanti personaggi dell’epoca, soprattutto dell’abate generale dell’ordine dei Celestini, arcivescovo di Taranto e cappellano maggiore del Regno di Napoli dal 1732, Celestino Galiani, riformatore dell’Università del capoluogo e divulgatore della nuova cultura newtoniana. Grazie a lui Genovesi ottenne nel 1745 il primo incarico universitario come professore straordinario di materie metafisiche.
Nel frattempo elaborò l’ambizioso progetto di un corso completo di filosofia in più volumi: il primo venne pubblicato nel 1743 col titolo Elementa metaphysicae. Il suo approccio, che integrava la filosofia classica con i portatori di un pensiero innovativo, come sopra accennato, fu criticato da alcuni ambienti ecclesiastici, malgrado l’approvazione del regio revisore e la sostanziale ortodossia. L’appoggio del Galiani e la disponibilità a chiarire meglio le proprie posizioni in una Appendix pubblicata nel 1744 lo salvarono da una denuncia al Sant’Uffizio. La polemica ebbe anche degli esiti positivi, accrescendone la popolarità nel Regno e fuori, aprendogli le porte del prestigioso salotto letterario del bibliotecario del primo segretario di Stato, il marchese di Montealegre.
L’insegnamento universitario ebbe subito successo, in particolare il corso di etica, con un notevole afflusso di studenti, come pure proseguì la produzione bibliografica, nella quale si misurò con tematiche legate alle idee scientifiche, con la logica e, ovviamente, con la metafisica, pubblicando nel 1747 il secondo volume del corso citato; elaborò anche un manuale di teologia, per il quale lavorò tutto il decennio, intitolato Universae theologiae elementa. Le polemiche intorno alla possibilità di una sua pubblicazione convinsero Genovesi a rinunciarvi e ad abbandonare gli studi teologici.
Il nostro continuò a insegnare etica fino al 1753 e a completare il corso di metafisica fino al quarto volume uscito nel 1752, dedicato al giusnaturalismo. Tale studio lo avvicinò a temi che avrebbero caratterizzato l’ultima parte della sua vita. Infatti Genovesi vide nel giusnaturalismo l’approccio per rinnovare l’etica, su basi razionali e scientifiche, allo scopo di definire il quadro dei valori di una società mercantile, come stava evolvendo quella a lui contemporanea.
Un intellettuale innovatore
Anche i problemi collegati al suo impegno teologico ebbero sviluppi favorevoli: entrò a far parte di una cerchia di intellettuali che desideravano essere una forza propulsiva nel processo di cambiamento e modernizzazione del Regno. Il manifesto del programma riformatore del gruppo, fondato sul legame tra teoria e prassi, che ne costituì la novità subito percepita dai contemporanei, fu il Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze, sviluppato proprio da Genovesi durante una villeggiatura nell’autunno del 1753 e pubblicato all’inizio dell’anno seguente. Egli operava così una precisa scelta di campo, presentandosi come l’interprete più convinto di quel programma e il più attivamente impegnato nella sua elaborazione e realizzazione. Il requisito indispensabile per il progetto era la diffusione di una nuova cultura scientifica, economica, tecnologica, posta al centro degli interessi degli intellettuali impegnati nel rinnovamento e della proposta formativa per i giovani studenti.
Docente di economia
A tale scopo fu costituita, nell’Ateneo napoletano, una cattedra di «Meccanica e commercio», come detto la prima di economia, affidata a Genovesi e finanziata da un ricco esponente del gruppo sopra citato, a condizione che fosse affidata a lui e l’insegnamento venisse effettuato in lingua italiana e non in latino, com’era consuetudine, allo scopo di renderlo più accessibile. L’inaugurazione avvenne il 5 novembre del 1754, con un forte seguito di pubblico e la presentazione del nuovo corso da parte del suo docente con una prolusione che avrebbe poi sviluppato nel Ragionamento sul commercio in universale, pubblicato in estratto nel 1756 e poi in apertura della Storia del commercio della Gran Brettagna scritta da John Cary, edito l’anno seguente. Allo stesso tempo si impegnò alla stesura di Elementi del commercio, con i contenuti del suo corso.
Il lavoro di ricerca rappresentò lo sforzo di informazione e acquisizione di nuove competenze, per definire contenuti e linguaggi della nuova disciplina e indicare le direttrici di un programma di politica economica per il governo, caratterizzato da un assolutismo illuminato, non comune al tempo, motivato a operare delle riforme. Genovesi si impegnò in un’analisi sperimentale e statisticamente fondata delle reali condizioni del Regno (andamento demografico, natura, produttività e proprietà dei terreni, vie di comunicazione, ecc.), dando vita a una rete di società agrarie e scientifiche diffuse sul territorio, allo scopo di possedere i dati necessari a formulare proposte operative. Il quadro che emerse era di un paese povero di materie prime e marginale nel commercio internazionale, che doveva puntare allo sviluppo qualitativo e quantitativo della produzione agricola, da far crescere a partire da un mercato interno libero da vincoli.
Le riforme si scontrarono sulla concentrazione delle terre possedute dalla nobiltà feudale, detentrice ancora di poteri giurisdizionali, e di un clero numericamente sovrabbondante e ancorato ai propri privilegi, ostacoli che impedivano la formazione di una diffusa proprietà contadina; questa appariva a Genovesi una condizione necessaria per la crescita dell’iniziativa economica e per un’auspicabile mobilità sociale. La sua attenzione si allargò dunque dalle problematiche economiche e del mercato a quelle della società civile e del suo assetto.
Gli ultimi anni
Tra il 1764 e il 1769, all’attività di ricerca, scrittura e insegnamento, affiancò un impegno politico e culturale, consistente in una serie di funzioni e responsabilità pubbliche, di consulenze sui problemi più rilevanti, senza rinunciare alla pubblicazione di opere proprie e alla divulgazione di altri autori. In questo contesto emergono le tre edizioni delle Lezioni di commercio e sia di economia civile, probabilmente il suo testo più famoso, pubblicato e letto ancora oggi, una vera e propria summa del suo pensiero.
Nelle pagine dell’opera Genovesi inserisce le questioni economiche in un quadro più ampio di analisi e riflessioni sulla società e sulle sue dinamiche, mettendo in risalto gli aspetti antropologici e psicologici, nonché l’evoluzione della sua riflessione su temi quali la popolazione, le tasse, il lusso, arrivando a un’aperta polemica contro il feudalesimo e i privilegi curiali. Modernissima è poi la sua attenzione all’importanza della comunicazione e, di conseguenza, del linguaggio e della formazione dell’opinione pubblica, protagonisti dei ragionamenti teorici contenuti nel volume dedicato alla Logica. Fu questa l’ultima sua fatica, in quanto morì a Napoli il 12 settembre del 1769.
Anche dopo la sua scomparsa proseguirono gli attacchi e le difese in relazione alle sue idee, come pure la diffusione delle sue opere grazie alle traduzioni in tedesco, spagnolo e portoghese. I paesi nei quali quest’ultima lingua era utilizzata videro l’uso dei suoi corsi di filosofia come base dell’insegnamento della disciplina per tutto il XIX secolo.
Il commento
Una rivalità a distanza
Genovesi fu contemporaneo di un “collega” ben più famoso, quell’Adam Smith da sempre reputato il padre dell’economia come la si intende oggi. Ci sono interessanti parallelismi tra i due, come l’essere stati in primo luogo filosofi, e poi economisti, critici del sistema feudale, convinti del ruolo del mercato per la costruzione di un mondo più egualitario e più libero, dotati di un pensiero moderno. Li divide l’aver teorizzato lo scozzese l’economia politica e il campano l’economia civile, e il successo postumo. Differenti furono i contesti nei quali vissero, una cultura calvinista il primo, un ambiente intellettuale illuminista e borbonico il secondo; il forte legame con il suo retroterra filosofica per Smith, un pensiero fondato sull’umanesimo classico, ma contaminato da autori contemporanei per Genovesi.
Queste differenze ebbero un’influenza decisiva sulla loro concezione dell’economia. Per lo scozzese il protagonista è l’individuo, certo virtuoso, prudente, ma guidato e alla ricerca dell’interesse, seppure definibile come “illuminato”, ma sempre interesse privato, non attento al bene comune; anzi, agendo nel mercato ci si deve muovere ispirati da tali presupposti, gli unici validi. Del bene comune si devono occupare la “mano invisibile” del mercato e i governi. Come si vede è una visione pessimistica, utilitarista e un po’ cinica.
Antropologia ed economia
Genovesi fu, come Smith, un conoscitore dell’animo umano, dei suoi sentimenti e delle sue passioni, ma era ispirato da una visione più articolata e positiva dell’umanità. Per lui nella persona convivono due tipi di forze contrapposte, quelle chiamate «concentritive», legate all’interesse individuale, e quelle denominate «diffusive», sensibili alla dimensione sociale: il soggetto è dunque per sua natura un essere relazionale, aperto ai legami e alla reciprocità. Da ciò deriva la sua idea del mercato come luogo di mutua assistenza, di reciprocità, appunto. Genovesi affronta le dinamiche economiche e di mercato all’interno di un orizzonte che si apre alla società e alla vita civile. Egli ha una visione positiva dell’economia, come strumento di sviluppo per tutti, lontano dall’individualismo, come pure ha la convinzione della bontà della natura umana, ben diversa da quella, ad esempio, di Thomas Hobbes per il quale vera è l’affermazione «homo homini lupus».
L’economia politica di Smith prevalse allora e continua a farlo ancora oggi; la seconda si eclissò, pur mantenendosi come fiammella accesa.
Una diversa concezione dell’economia
L’economia civile ha però qualcosa da dire a noi contemporanei. L’idea di mercato di Genovesi come «mutua assistenza» è un’intuizione originale e la sua visione non riduttiva della scienza economica accetta di superare i propri confini aprendosi a un più ampio discorso sulla vita e sul mercato, visto come espressione delle leggi che regolano la società e non possono prescindere dalle virtù civili e dal bene comune. Per sintetizzare, le parole chiave del suo pensiero economico sono reciprocità, socievolezza, fraternità, soccorso, e le relazioni di mercato sono paragonate a quelle umane.
Un approccio moderno
Genovesi appartiene al mondo illuminista, ma rifiuta l’atteggiamento ostile alla religione, tipico dei suoi esponenti, pur auspicando la distinzione tra potere civile e potere della Chiesa, considerata infallibile solo in materia di fede. Egli fa proprio un metodo positivista, sperimentale, scientifico alle discipline, ma non caratterizzandole come una religione, considerandole strumenti. In questo approccio, come in altri aspetti della sua personalità, appare estremamente moderno, laico nel senso autentico e positivo del termine, di credente che accetta la sfida di misurarsi, come tutti, col mondo.
Da professore universitario e intellettuale, studioso di problemi metafisici e di retorica, come abbiamo visto, inizia a interessarsi di etica e soprattutto di economia, attraverso un approccio rigoroso, ma diremmo oggi, sul campo, raccogliendo informazioni, innanzitutto. Giunse infatti alla convinzione di una certa inutilità di tante ricerche accademiche, lontane dai problemi concreti della realtà e delle persone. La sua riflessione sull’economia e il mercato non è solo teorica, è orientata ad affrontare la piaga dell’arretratezza e delle conseguenze sulla vita della gente; egli ritiene che per favorire un benessere più diffuso e un aumento dei consumi sia necessario promuovere in primo luogo la cultura e la civiltà, che i progressi siano conseguibili attraverso l’autonomia della ragione e l’affermazione della libertà. Questo per tutti, anche per i contadini e le donne, allo scopo di favorire lo sviluppo in generale della civiltà e delle singole famiglie.
Per questo si spende nell’insegnamento, convinto della rilevanza dell’educazione nella formazione delle persone, auspica lo sviluppo delle scienze e delle arti: insomma un sano progresso. Genovesi esalta anche l’importanza del lavoro per il bene dei singoli e della società, denunciando i mali portati da una situazione nella quale troppi vivono di rendita sulle spalle del lavoro altrui e dalle troppe differenze di censo. A suo parere è necessario supportare coloro che lavorano e producono.
Si misura poi con questioni importanti, e di grande attualità ancora oggi, come il credito pubblico, la tassazione, l’inflazione e la circolazione monetaria.
Tenta di conciliare l’etica con gli inevitabili mutamenti sociali conseguenti al progresso economico, anzi lasciandosi guidare da essa per elaborare le teorie e le proposte.
Forse è questo l’elemento centrale del lascito di Antonio Genovesi: occuparsi di tutto, ma in modo etico. Un’etica che affonda le radici nella fede, per i credenti, e su un umanesimo civile.
In un momento nel quale da più parti si auspica un cambiamento di paradigma in economia e nel modello di sviluppo l’esempio di Antonio Genovesi e l’economia civile possono essere riferimenti importanti.
Le fonti
Le opere di Genovesi sono disponibili ancora oggi e in edizioni contemporanee. Ad esempio Vita e Pensiero nel 2013 ha pubblicato Lezioni di economia civile, che presentano i contenuti del suo corso all’ateneo napoletano e la summa della sua riflessione sui temi economici. Ancora sono reperibili Dialoghi e altri scritti intorno alle “Lezioni di commercio”, stampato dall’Istituto Italiano di Studi Filosofici nel 2019, nel quale sono inclusi anche scritti inediti; Lettere familiari dell’editore Carabba, sempre del 2019, utili per la conoscenza dell’abate salernitano, il suo pensiero filosofico, le valutazioni del mondo agrario e le critiche alla vita della capitale dei Borboni.
Avvicinarsi alla moderna economia civile è facile, molto materiale è a disposizione.
Nel nostro Paese è attiva una Scuola di economia civile, nata nel 2012 sull’intuizione che «è civile o non è economia» come si legge nella pagina iniziale del sito. L’economia viene insegnata come un pensiero economico che si misura con le persone, le relazioni e i luoghi, che va oltre la supremazia del profitto, per andare verso «un mercato generativo e a relazioni umane che lo trascendono, fatte di reciprocità e gratuità. Un pensiero che si anima di queste parole», di fiducia, per produrre beni relazionali e generare felicità pubblica e benessere collettivo, prendendosi cura del lavoro, ma che dell’ambiente, attraverso imprese sociali.
Due tra i principali esponenti dell’economia civile sono i professori Stefano Zamagni e Luigino Bruni, autori di molti testi sull’argomento, come L’economia civile uscita nel 2015 per i tipi del Mulino. Altri libri sono stati scritti da entrambi o da uno dei due.
Altri autori è utile incontrare per prospettive economiche alternative, come Amartya Sen, Luc Boltansky, Robert Michels, Alain Caillé.
Un’esperienza che fa riferimento all’economia civile è quella dell’economia di comunione, ispirata da Chiara Lubich: qui è consultabile il sito italiano.
Come spesso succede concludiamo con alcune frasi del nostro testimone, questa volta di una lettura un po’ più faticosa per il linguaggio “antico”.
«Mi piace che il giureconsulto sappia le lingue, sappia la storia: ma se non sarà filosofo riempirà i suoi commentari di ciarle».
«Il mutuo è contratto di pura beneficeuza e di sincerissirua amicizia: è dunque un beneficio. Ora i beneficj non si apprezzano, ne si danno ad interesse. Chi adunque esige usura del puro mutuo, distrugge la natura del beneficio; converte l’amicizia e l’umanità in mercanzia, e per sì fatto modo si studia di sbarbicarla da’ cuori umani. Questo è contro il sistema del genere umano, e con ciò contro la legge naturale. Se Platone, Aristotele, Catone, Varrone insegnavano questo, essi avevano senza dubbio nessuno la ragione dal canto loro».
«La marea del pubblico trascina fino i giganti».
«Tutti i contratti e tutti i patti, che hanno nome e causa, discendono dal jus naturale e hanno forza per la legge di natura; perché nel jus di natura e sotto la natural legge tutti gli uomini si considerano come eguali. I sovrani medesimi, in tutti i patti e i contratti di jus gentium con i loro sudditi, contraggono da privati».
«Il più grande ostacolo alla perfezione delle cose umane è il credere che siano perfettissime».
«Molti non hanno capito e non capiscono ancora che si voglia dire questa parola Aequitas, che i Greci chiamano epiìcia. L’aequitas in tutta la lingua Latina non suona altrimenti che Justitia, e laequum e ‘l justum in tutte le leggi de’ Romani son parole sinonime. AEquitas è dunque così parola di rapporto, come Justitia. Or Justitia è il perfetto combaciamento, l’esatta giustezza di qualche cosa col suo regolo».