L’indice DESI: l’Italia in coda

L’indice DESI: l’Italia in coda

Lo scorso mese di giugno è stato diffuso dall’UE l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società: il DESI 2020 (Digital Economy and Society Index).

Quella che segue è una rapida presentazione del rapporto: per approfondire è disponibile il testo integrale inglese in questa pagina e il profilo nazionale dedicato all’Italia qui.

La classifica

La valutazione tiene contro di cinque elementi, ai quali viene attribuito un valore: connettività, capitale umano, uso dei servizi internet, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali.

A questo link è disponibile una versione interattiva del grafico.

Il dato generale è un progresso di tutti gli stati membri rispetto agli anni precedenti, con un miglioramento nei principali settori misurati dall’indice, insieme alla necessità di potenziare la copertura delle reti ad altissima capacità.

Negli ultimi cinque anni i progressi più significativi sono stati registrati in Irlanda, Paesi Bassi, Malta e Spagna, con punteggi nettamente superiori alla media UE.

La situazione italiana

Il nostro Paese non ne esce bene: siamo al venticinquesimo posto tra i ventotto stati dell’UE (considerando ancora il Regno Unito) con il punteggio di 43,6, decisamente inferiore al 52,6 della media UE e lontano dagli oltre 70 della Finlandia, la prima nella graduatoria, e dopo di noi ci sono solo Romania, Grecia e Bulgaria. Il dato si riferisce, ovviamente, all’anno 2019.

Nel merito dei cinque settori, sulla connettività l’Italia è al posto 17, poco sotto la media UE; per il capitale umano il dato è invece disarmante poiché siamo ultimi; non molto meglio è la situazione nell’uso dei servizi digitali, siamo terz’ultimi; nell’integrazione delle tecnologie digitali va un po’ meglio col ventiduesimo posto, come pure per i servizi pubblici (diciannovesimi): il dato generale è che siamo sempre lontanissimi dai migliori e sotto la media europea, a volte con uno scarto significativo.

Qualche dato in più

Entrando in qualche dettaglio emerge che siamo scarsi nella digitalizzazione delle imprese, nell’uso dei servizi pubblici digitali e nella formazione; ma il problema più importante è legato alle competenze dei cittadini, che sono “molto basse” e aggravate dal numero di esperti e laureati del settore ICT, decisamente al di sotto della media UE. Nei servizi digitali siamo al diciannovesimo posto con 67,5 punti (media UE 72), ma negli ultimi anni sono stati incrementati, infatti l’Italia supera l’UE per quanto riguarda il livello di completezza di tali servizi, sia per i cittadini sia per le imprese, e per i dati aperti, ma il loro uso è limitato dalla mancata fruizione da parte della collettività: gli utenti che li utilizzano sono solo il 32%, meno della metà della media europea che è al 67%. Tra le persone di età compresa tra i 17 e i 74 anni il 42% possiede competenze digitali di base, a fronte di una media UE al 58%, e il 22% ha competenze superiori (33% nell’UE), il 17% della popolazione non ha mai usato Internet (quasi il doppio della media).

Sulla connettività le cose vanno meglio, occupiamo infatti il 17° posto con il punteggio di 50, molto vicino a quello medio (50,1), in calo rispetto al 12° posto del 2019 (48 punti contro i 44,7 della media) e in miglioramento in rapporto al 2018 (25° posto con 35,1 rispetto a 39,9). La diffusione della banda larga fissa (almeno 100 Mbps) è passata dal 9% a 13%, però sempre distante dalla media UE.

Le imprese italiane vendono su Internet meno della media europea, 10% contro 18% e sono in ritardo nell’utilizzo di tecnologie quali il cloud e i big data.

Il confronto

Se si paragonano i dati italiani con quelli della Finlandia la situazione è decisamente problematica e dovrebbe spingere a scelte e investimenti importanti. Qualche esempio. Il 76% dei finlandesi possiede competenze digitali di base o superiori (media UE 58%), gli specialisti ICT rappresentano il 7,2% della forza lavoro (UE 3,9%) e i laureati sono il 6,3% (UE 3,6%).

Constatare che al secondo e terzo posto seguono altre due nazioni del nord Europa, Svezia e Danimarca, spinge a considerare la relazione tra condizioni di benessere generali, elevati e stabili livelli di sviluppo sociale ed economico con la diffusione del digitale.

Lo sviluppo tecnologico è un fattore importante del successo di un sistema, e del paese, così come il ritardo rappresenta un fattore di crisi.

Novità del 2019 del 2020 in Italia

Il rapporto mette in evidenza come lo scorso anno sia cresciuta l’attenzione politica «verso il potenziamento della digitalizzazione dell’economia e della società italiana. L’anno è stato contrassegnato dal lancio di nuove iniziative e, in particolare, dall’istituzione di un nuovo Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, con funzioni di coordinamento. Nel dicembre 2019 il Ministero ha presentato la strategia “Italia 2025”, un piano quinquennale che pone la digitalizzazione e l’innovazione al centro di “un processo di trasformazione strutturale e radicale del Paese”». Questa comprende l’iniziativa “Repubblica Digitale”, volta a costruire un’alleanza tra organizzazioni pubbliche, private e cittadini, invitando i soggetti coinvolti a intraprendere azioni concrete per promuovere le competenze digitali. Tre sono le linee d’azione: potenziare le competenze digitali di base; promuovere il miglioramento delle competenze e la riqualificazione della forza lavoro; sviluppare le competenze in materia di TIC e tecnologie emergenti.

L’emergenza Covid-19 ha evidenziato la centralità di Internet e ha imposto un processo di potenziamento della digitalizzazione dei servizi pubblici e delle attività economiche. Si tratta di perseguire un’effettiva svolta digitale per realizzare un’efficace strategia di modernizzazione del Paese, allo scopo di costruire una nuova visione di futuro che sfrutti le opportunità collegate al settore digitale.

Qualche considerazione

C’è una contraddizione evidente tra l’essere nel novero delle nazioni più industrializzate e fra le ultime nell’innovazione, fattore già preoccupante, ma che in prospettiva potrebbe aggravarsi ulteriormente, se non risolto.

Si tratta di percorrere strade di crescita parallele e importanti, legate alle infrastrutture, alla diffusione degli strumenti digitali, ma in particolare al loro utilizzo, e quindi alla formazione per appropriarsi delle necessarie competenze.

Non si tratta solo di puntare alla crescita purché sia, accelerare nell’innovazione vuol dire fare in modo che i cittadini siano più consapevoli e attrezzati ad affrontare le sfide del mondo di oggi e del futuro, mettere tutti nelle condizioni di utilizzare i vantaggi della società digitale, possedere gli strumenti per competere nei settori chiave che determineranno lo sviluppo: intelligenza artificiale, robotica, internet delle cose, ecc.

La debolezza nelle competenze ha bisogno di risposte, potenziando la formazione scolastica come pure quella durante tutto l’arco della vita, ad esempio nei percorsi di riqualificazione, oppure tramite il servizio pubblico radiotelevisivo che potrebbe svolgere un ruolo significativo in tal senso, attivando iniziative di collaborazione tra generazioni.

L’Italia sta avviando iniziative volte a rafforzare le competenze digitali e affrontare il tema dell’inclusione digitale. Intensificare e concentrare gli sforzi contribuirebbe a ridurre il divario digitale tra la popolazione e a garantire la diffusione delle capacità digitali di base e un rafforzamento delle competenze digitali avanzate in particolare nel mondo del lavoro.

Per quanto riguarda le infrastrutture è essenziale completare in fretta i “cantieri digitali” aperti e programmare i successivi interventi.

Il Piano nazionale Impresa 4.0, varato nel 2016, è stato uno strumento utile per sostenere la trasformazione digitale delle imprese italiane. Le detrazioni fiscali per gli investimenti in beni strumentali sono state tra le misure più significative e si sono dimostrate efficaci nello stimolare gli investimenti. Tuttavia tali misure sono state utilizzate principalmente dalle medie e grandi imprese, soprattutto per investimenti in beni materiali (cioè macchinari) piuttosto che immateriali.

È indispensabile mettere al centro dell’attenzione una logica di “diritti digitali”: connessioni veloci, diffusione dei pc nelle famiglie e nelle scuole, servizi pubblici di facile accesso e utilizzo, percorsi di formazione, certamente di tipo tecnico, cui deve affiancarsi un’educazione più ampia all’uso, alle potenzialità e ai rischi, all’etica, al rispetto delle persone.

La responsabilità personale

Tutto questo significa mettere a punto le condizioni per una vita migliore per tutti. Ma per fare ciò è essenziale l’impegno di ciascuna persona. Non basta rimproverare a chi ci governa ritardi e carenze, ognuno deve impegnarsi innanzitutto per colmare il divario nelle competenze digitali.

Il DESI boccia anche noi singoli cittadini, non solo le istituzioni, e ci sprona a informarci, studiare, appropriarci delle abilità informatiche, utilizzare i servizi, essere più consapevoli e responsabili.