Allarmano i dati provenienti dall’indice della variazione dei prezzi internazionali dei prodotti alimentari elaborato dalla FAO, l’organizzazione dell’ONU dedicata al cibo e all’agricoltura.
Mensilmente viene calcolata la media di cinque tipologie alimentari, e la rilevazione diffusa il 4 novembre mostra una situazione complessivamente preoccupante.
È opportuno ricordare, infatti, che nel 2011 un pesantissimo aumento del prezzo del pane provocò rivolte popolari e l’avvio delle cosiddette Primavere arabe.
L’indice di ottobre 2021
La media dell’indice è di 133,2 punti, in aumento di 3,9 punti rispetto al mese precedente e di 31,8 in rapporto all’ottobre 2020: si tratta del livello più alto raggiunto dal luglio 2011. L’incremento è dovuto principalmente alla salita dei costi dei cereali e degli oli vegetali.
Qualche dettaglio
I cereali hanno raggiunto un punteggio di 137,1: + 4,3 punti rispetto a settembre e 25,1 in relazione al dato dell’ottobre 2021. Il grano, ad esempio, ha manifestato una crescita annuale dal prezzo del 38,3 %, provocata anche da una disponibilità più ridotta a causa della diminuita produzione in alcuni importanti paesi quali Canada, Federazione Russa e USA.
L’indice dei prezzi dell’olio vegetale a ottobre è stato di 184,8 punti, con un aumento di 16,3 punti (il 9,6%) in un mese, segnando il massimo storico. L’aumento è stato trainato dalle quotazioni in rialzo dei prezzi per gli oli di palma, soia, girasole e colza. I prezzi dell’olio di palma sono aumentati per il quarto mese consecutivo, in gran parte sostenuti dalle persistenti preoccupazioni per la produzione debole in Malesia a causa della continua carenza di manodopera. Nel frattempo, i prezzi mondiali degli oli di palma, soia e girasole hanno ricevuto sostegno dal rilancio della domanda.
I prezzi dei prodotti lattiero-caseari hanno registrato una media di 120,7 punti, in aumento di 2,6 punti (2,2%) rispetto a settembre e 16,2 punti (15,5%) al di sopra del livello del mese corrispondente di un anno fa. Le quotazioni dei prezzi per burro, latte scremato in polvere e latte intero in polvere sono aumentate vertiginosamente per il secondo mese consecutivo, sostenute da una solida domanda globale di importazioni, grazie agli sforzi degli acquirenti per assicurarsi le forniture per aumentare le scorte. Al contrario, i prezzi del formaggio sono rimasti sostanzialmente stabili, poiché le forniture dei principali produttori sono state adeguate a soddisfare la domanda globale.
L’indice FAO dei prezzi della carne si è assestato a 112,1 punti in ottobre, con un calo di 0,8 punti (0,7%) rispetto al valore di settembre, segnando il terzo calo mensile, sebbene ancora 20,3 punti (22,1%) al di sopra del valore dell’ottobre 2020. Le quotazioni della carne bovina e suina sono diminuite, mentre quelle della carne di pollame sono aumentate, spinte dall’elevata domanda globale, mentre le espansioni della produzione sono rimaste deboli a causa degli elevati costi dei mangimi e delle epidemie di influenza aviaria, soprattutto in Europa.
L’indice dei prezzi dello zucchero ha registrato una media di 119,1 punti in ottobre, in calo di 2,1 punti (1,8%) rispetto a settembre, segnando il primo calo dopo sei aumenti mensili consecutivi. Le quotazioni sono tuttavia rimaste oltre il 40% al di sopra dei livelli dello stesso mese dello scorso anno, principalmente sostenute dalle preoccupazioni per le ridotte prospettive di produzione in Brasile. Il recente calo mensile dei prezzi dello zucchero è stato innescato dalla limitata domanda globale di importazioni e dalle prospettive di grandi forniture di esportazione dall’India e dalla Thailandia; anche l’indebolimento del Real brasiliano rispetto al dollaro USA ha contribuito alla riduzione dei prezzi.
Conseguenze per l’Italia
Ciò che può preoccupare è che i rincari non sono ancora arrivati nella vendita al dettaglio, cioè “scaricati” sui consumatori, ma non c’è dubbio che sarà così tra poco. L’inflazione ha raggiunto livelli elevati col 2,9% fatto registrare a ottobre, dato più elevato dal 2012, ma la crescita dei prezzi degli alimentari, che pesa per quasi un quinto sul paniere Istat, è alll’1,3%.
Sono pochi i prodotti alimentari che hanno segnato ingenti rincari sul prezzo finale: gli oli di semi soprattutto con un +17,7%, l’olio d’oliva (+4,7%), la pasta (+4,6%) e il pesce (+3,1%). Per quanto concerne la carne bovina o i salumi (entrambi +1,3%) l’aumento c’è, ma modesto, il prezzo della frutta risulta in calo dello 0,9%, quello dei vegetali in aumento dello 0,6%. Lungo la filiera gli osservatori rilevano una tensione tra produttori e distributori su chi deve farsi carico di contenere la crescita dei prezzi finali. Solo nei prossimi mesi si capirà davvero quanto la corsa dei prezzi globali si farà sentire alla cassa dei nostri negozi e supermercati. La continua crescita delle vendite dei discount (+6,5% da gennaio, contro il +0,6% dei supermercati tradizionali) conferma però che per molte famiglie il problema dei rincari è già presente.