Nella notte del 24 febbraio la realtà della guerra è incredibilmente rientrata nello scenario geografico europeo. Sì, incredibilmente, perché ancora oggi stentiamo a credere ciò che osserviamo: carri armati, colpi di artiglieria, bombardamenti e sterminio barbaro di popolazioni civili inermi. Tutte immagini che la civiltà europea credeva potessero appartenere al passato del Novecento. Eppure il “secolo breve” pare essere ritornato di scena, con divisioni storiche e geopolitiche che, comunque, non hanno nulla a che vedere con le ideologie che avevano contraddistinto l’epoca della Guerra Fredda.
Guerra e una speranza di pace
L’invasione russa rischia quindi di cambiare il futuro prossimo del Vecchio Continente, stretto in una morsa, da un lato, dal conflitto in Ucraina, e dall’altro lato, dal desiderio di condurre le danze, in chiave di politica estera, da parte degli Stati Uniti. In tutto questo a fare le spese più alte, in termini di vite umane e della possibilità di vivere in pace e nella propria terra sono proprio i civili ucraini.
Le guerre sono sempre, qualsiasi esse siano, fonte di sterminio, distruzione, morte e paura. Sembra inoltre difficile intravedere dei reali propositi di pace, tanto che i (flebili e freddi) tavoli negoziali avviati nelle scorse settimane sembrano essersi arenati e trovarsi in una fase di sostanziale stallo. Nella lunga notte della guerra diventa davvero difficile intravedere la luce della pace. Eppure, rimango convinto, che ogni credente debba coltivare e alimentare la speranza della pace, proprio quando le vie d’uscita non sembrano profilarsi nell’orizzonte. Anzi, lo spettro di un potenziale allargamento del conflitto oltre i confini dell’Ucraina, rischia di terrorizzarci a tal punto da rimanere inermi e in attesa che, magicamente, gli eventi possano mutare da soli. Abbiamo la responsabilità tutti, laici e credenti, di diventare operatori di pace e di restituire questa condizione agli ucraini e al nostro continente.
La sofferenza della democrazia
Ma nel dibattito, fervente, accesso e spesso, come avviene nel nostro Paese, dettato dalle tifoserie, ci pare manchi la consapevolezza di quale battaglia ci sia dietro la guerra in Ucraina. Si tratta di un tema strategico per la sopravvivenza dell’architettura istituzionale che siamo riusciti a garantire, seppur con molte imperfezioni, ai nostri paesi: la democrazia. Osservando la mappa dei sistemi politici del nostro Pianeta si nota, con estrema preoccupazione, come la maggior parte dei paesi sia governato da regimi autocratici o da sistemi ibridi (che mescolano elementi democratici con aspetti autoritari), mentre una minoranza di paesi possano definirsi democrazie in senso stretto.
Questo elemento, rinvenibile da una lettura geopolitica della carta geografica, ci aiuta a fare due considerazioni.
Democrazia da difendere
La prima è l’estrema mancanza di diffusione dei valori democratici nel nostro globo, nel quale (ed ecco le nostre grandi responsabilità) abbiamo immaginato che la globalizzazione delle economie comportasse automaticamente anche quella dei sistemi politici a matrice democratica. Si è clamorosamente sottovalutato che crescita economica e benessere possano essere disgiunti dall’assetto politico democratico (in questa la Cina fa da apripista). L’errore strategico, dopo il crollo del sistema sovietico (e della sua carica ideologica), ha fatto credere a noi occidentali che la storia fosse davvero finita e che, grazie ai processi di internazionalizzazione e interdipendenza delle economie, si potessero creare, di conseguenza, i presupposti per il fiorire delle democrazie, sulla scorta dei nostri modelli. Nulla di più errato, tanto che la guerra causata da Putin e dal suo sistema di potere mira a sconfiggere l’idea di democrazia esistente nell’Occidente. Al netto della propaganda (appartenete a ogni contesto bellico), tra le cause scatenanti c’è proprio il rischio dell’allargamento della democrazia liberale e della sua implementazione in Ucraina, ai confini della federazione Russa. Un affronto intollerabile per coloro che credono che i sistemi democratici siano deboli e immorali.
Democrazia da rilanciare
La seconda questione appartiene all’inesorabile crisi dei sistemi democratico-liberali proprio nei paesi occidentali. I nostri sistemi politici sono in lenta, ma costante decadenza da qualche decennio, bombardati dai colpi che hanno attinto le proprie argomentazioni dalla cultura antipolitica, dal culto della personalità e dell’uomo solo al comando, dalla crisi dei corpi intermedi, dalle critiche spietate alla lentezza delle democrazie, dalla crisi degli organi di rappresentanza (parlamenti) per il rafforzamento di quelli esecutivi (governi) e alla sfiducia generale nei confronti della politica. I grandi fenomeni culturali possono essere riassunti sotto le etichette del populismo e del sovranismo, venti che spirano e hanno attraversato le democrazie occidentali; basti pensare che il campione più rappresentativo di ciò, Donald Trump, è stato fino a poco tempo fa il presidente degli Stati Uniti. Populismo e sovranismo hanno fatto il gioco (forse anche involontario) di tutti i regimi autoritari, compreso quello putiniano, con i quali i valori della democrazia liberale sono messi fortemente in discussione. È importante ricordare che Y. Mounk, politologo tedesco, qualche anno fa ha pubblicato un testo dal titolo Popolo vs democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, nel quale ha affrontato il tema del populismo, come una delle minacce più serie alla cultura democratica, in quanto esso non si presenta mai come antidemocratico, bensì come antitetico alla dimensione liberale delle stesse democrazie, tanto da coniare un nuovo paradossale accostamento e definire alcuni regimi politici come democrazie illiberali.
Sempre Mounk, nel testo sopracitato, nel 2018, scriveva «oggi, al contrario, diventa ogni giorno più chiaro che viviamo in tempi straordinari: tempi, cioè, in cui le decisioni che prendiamo potrebbero seminare un caos terrificante, scatenare una crudeltà indicibile, minacciare la sopravvivenza di un sistema politico – la democrazia liberale – che più di ogni altro nella storia dell’uomo si è impegnato a diffondere la pace e la prosperità». La guerra di Putin è anche, se non soprattutto, un conflitto aperto nei confronti delle democrazie, tanto (e forse troppo) vituperate anche nei nostro contesti.
Democrazia condizione per la pace
Questo tragico conflitto, oltre alla incommensurabile tragedia umanitaria, cela questa volontà di cambiare l’ordine geopolitico mondiale, non solo nella contestazione dell’unilateralità occidentale a guida prevalentemente americana, bensì come il proseguimento di una feroce critica ai sistemi liberal-democratici. Un tema che non va per nulla sottovalutato e per il quale vale la pena rimanere assai attenti, a partire dalle vicende che attraversano i nostri sistemi politici perché una vera cultura della pace passa per un’autentica cultura della democrazia.