L’osservazione e lo studio della politica affonda le sue radici nei filosofi greci, e in particolare nelle prime ricerche condotte da Aristotele. In Europa, in epoca moderna, la scienza politica si è sviluppata grazie alle opere di Macchiavelli, Guicciardini, Hobbes, Locke, Kant, Montesquieu, e altri pensatori, fino alle riflessioni di Hegel, Comte e Marx. L’approccio di questi personaggi non è, però, quello contemporaneo.
La nascita della nuova scienza politica viene fatta risalire al lavoro di un professore italiano, anzi siciliano essendo nato nel 1858 poco prima dell’unità del Paese.
Nel 1883, infatti, Gaetano Mosca, fresco di laurea in giurisprudenza, pubblicò il suo primo libro, Sulla teoria dei governi e sul governo parlamentare. Studi storici e sociali, gettando le basi del metodo, degli obiettivi e dell’oggetto della scienza politica in quanto disciplina distinta dal diritto costituzionale, dalla filosofia politica e dalla sociologia. I contenuti furono ripresi, ampliati e sistematizzati nell’opera che viene considerata la prima della scienza politica moderna: Elementi di scienza politica, edita a Torino nel 1896 e sviluppata in una seconda edizione del 1923.
Nel lavoro Mosca porta a compimento il percorso di fondazione metodologica e di definizione della nuova materia, come disciplina empirica, obiettiva analizzabile storicamente, avente per oggetto l’individuazione delle «leggi o tendenze costanti» che regolano la vita dei regimi politici e come fine la guida dell’azione politica. Presenta i criteri dello studio dei fenomeni politici, allo scopo di andare oltre le ideologie che le «classi politiche» utilizzano per legittimare il proprio potere, e di guardare ai fenomeni sociali che stanno dietro le forme delle istituzioni, a cominciare dallo Stato.
Ma, chi era questo personaggio?
La vita
Gaetano Mosca nacque a Palermo il primo giorno di aprile del 1858, secondo dei sette figli, tre femmine e tre maschi, di Luigi e Maria Camilla Gulì. Il padre fu prima segretario generale al Municipio di Palermo e in seguito divenne ispettore delle Poste nello stesso capoluogo siciliano, la madre, che si occupò dei figli e della casa, era figlia di un medico.
La sua famiglia era quindi della media borghesia, con una forte connotazione culturale, dimostrata dalla ricca biblioteca alla quale il giovane Gaetano poté accedere e crescere sul piano intellettuale.
Nel 1877 si iscrisse all’università della sua città dove si laureò quattro anni dopo, cui fece seguito il trasferimento a Roma allo scopo di approfondire gli studi presso la Scuola economico-amministrativa, seguendo corsi di storia, statistica, economia politica e analisi comparata delle istituzioni.
Tornato a Palermo insegnò per un breve periodo storia e geografia al locale Istituto tecnico, per poi ottenere l’abilitazione alla libera docenza in diritto costituzionale presso l’ateneo palermitano.
Tentò poi di percorrere la carriera universitaria partecipando a una serie di concorsi per la cattedra di diritto costituzionale in diverse università, ma senza risultato. Deluso dagli esiti negativi nel 1887 si iscrisse e vince il concorso per revisore dei resoconti parlamentari della Camera di deputati, pubblicando, nel contempo, la sua seconda opera di rilievo: Le costituzioni moderne. Saggio.
Trasferitosi quindi a Roma nello stesso anno, nel febbraio 1888 sposò Maria Giuseppa Salemi e due anni dopo nacque la loro prima figlia, Maria Camilla. I coniugi ebbero in seguito un’altra figlia, Graziella, nel 1893 e due figli, Luigi, l’anno seguente e Bernardo, nato nel 1897.
Nel 1891 divenne segretario particolare dell’allora presidente del consiglio Antonio Starabba di Rudinì, fornendo un importante contributo alla riforma dell’amministrazione statale. Nel periodo romano tenne anche per due anni un corso di diritto costituzionale e approfondì i suoi studi culminati nella pubblicazione del già citato Elementi di scienza politica, in una primissima edizione nella tipografia della Camera.
In virtù di tale lavoro divenne professore straordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, ove il suo volume ebbe la vera e propria edizione. Abbandonò quindi l’incarico di funzionario parlamentare e si trasferì con la famiglia a Torino.
Iniziò una collaborazione con la rivista La Riforma sociale, diretta prima da Francesco Saverio Nitti e Luigi Roux, quindi da Luigi Einaudi, e con il quotidiano L’Opinione di Roma, nel quale curò la rubrica Finanza ed economia.
Nel 1899 divenne professore ordinario e gli furono affidati anche i corsi di storia della scienza politica e di economia politica. L’anno precedente entrò nel comitato direttivo del Congresso delle società economiche e nel 1902 assunse la presidenza dell’Associazione per la libertà economica del capoluogo piemontese. Sempre in quell’anno ottenne l’incarico d’insegnamento di diritto costituzionale e amministrativo e di storia delle dottrine politiche nella appena costituita Università commerciale Bocconi di Milano, che conservò fino all’anno accademico 2017-18.
Nel 1905 si candidò alle elezioni amministrative di Torino per l’Unione liberale-monarchica Umberto I; l’anno successivo fu eletto componente del Consiglio superiore della pubblica istruzione, di cui fece parte fino al 1910. Ricoprì la carica di preside della facoltà di giurisprudenza di Torino tra il 1907 e il 1909.
Nel 1924 si trasferì nuovamente a Roma per insegnare nella locale Università prima diritto pubblico interno presso la facoltà di giurisprudenza e successivamente storia delle istituzioni e delle dottrine politiche presso la facoltà di scienze politiche, cattedra che conservò fino al 1° maggio 1933, data del suo collocamento a riposo.
Oltre all’insegnamento, il suo impegno più rilevante, Mosca fu un attivo collaboratore di importanti testate, quali La Stampa, Il Corriere della Sera, La Gazzetta del Popolo, Il giornale di Sicilia, la citata L’Opinione, e altre.
L’attività politica a livello nazionale iniziò dopo la morte di di Rudinì, avvenuta nel 1908. Fu deputato dal 1909 al 1919, eletto nel collegio siciliano di Caccamo e ricoprì l’incarico di sottosegretario al ministero delle Colonie nei due governi presieduti da Antonio Salandra, tra il 1914 e il 1916. Il 6 ottobre del 1919 venne nominato senatore del Regno.
Nel 1922 con la salita a potere del fascismo il suo atteggiamento fu in un primo momento attendista, per poi opporsi al regime dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, aderendo nel 1925 al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e prendendo decisamente le distanze dal progetto mussoliniano in un discorso pronunciato al Senato il 19 dicembre dello stesso anno. Dal 1927 la sua attività parlamentare divenne sempre più saltuaria, mentre divenne l’oggetto di rilevanti attacchi da parte della stampa fascista.
Conclusa l’attività politica si dedicò intensamente al perfezionamento dei contenuti delle sue opere più significative e allo studio della storia del pensiero politico.
Morì a Roma l’8 novembre del 1941.
Il commento
Il problema del potere e delle élite costituisce uno dei nodi più complessi dell’analisi politica. Sociologi e politologi continuano a porsi degli interrogativi sull’inevitabilità della creazione di oligarchie al vertice delle organizzazioni di grandi dimensioni, sul rapporto tra tale fenomeno e la democrazia.
La teoria che presuppone l’esistenza del fenomeno elitista come struttura stabile della società in generale, e di quelle politiche in particolare, è nata da una matrice intellettuale e politica conservatrice: una critica «da destra» dei regimi liberaldemocratici. Gaetano Mosca ne è stato uno dei fondatori. Il suo approccio alla scienza politica è stato definito «realista», vale a dire una lettura dei fenomeni che ha come criterio la lotta per il potere.
A più di settant’anni dalla scomparsa vi sono degli elementi del pensiero di Gaetano Mosca che sono quantomai attuali. Ad esempio affermando: «Quando si dice che gli elettori scelgono il loro deputato si usa una locuzione impropria; la verità è che il deputato si fa eleggere dagli elettori», attraverso amicizie influenti e costose campagne pubblicitarie. È una delle ragioni che lo spingono a criticare il parlamentarismo e, addirittura, la democrazia rappresentativa. Ma, come già visto, la triste esperienza del regime fascista, e l’età, lo spinsero ad auspicare un ritorno a un vero regime rappresentativo, convinto che il pluralismo parlamentare sia il sistema migliore e, seppure in una dimensione elitaria, la democrazia sia indispensabile. La sua affermazione pone in evidenza un aspetto contraddittorio della relazione tra elettore ed eletto, amplificato oggi dalla potenza dei mezzi di comunicazione: è un nodo certo oggi molto presente.
Mosca fu un severo osservatore del funzionamento dello stato, del quale analizzò le disfunzioni, e della politica. In merito a essa egli pone in risalto l’elemento oligarchico, la constatazione che in ogni regime politico il potere è sempre detenuto da una minoranza organizzata, che lo esercita su una maggioranza disorganizzata. La storia conferma tale opinione.
Non solo, una discriminante importante è legata alla disponibilità di risorse. Per lui erano soprattutto economiche, oggi si può sostenere che contano anche quelle dell’informazione, degli strumenti connessi con le tecnologie informatiche, delle reti di conoscenze, di tempo. Ecco un ulteriore elemento da considerare.
Mosca fu critico anche nei confronti del suffragio universale, per ragioni molto «moderne»: i candidati per guadagnare il consenso sono disposti a utilizzare i pregiudizi e le idee che possono renderli accettabili dagli elettori: è una critica oggi applicabile ai populismi e a un certo uso delle indagini demoscopiche. Un rischio da lui paventato è che i criteri di scelta basati sulla qualità delle persone e sulla rappresentatività, siano sostituiti da canoni legati alla pura ricerca di un facile sostegno. Queste considerazioni stimolano a riflettere sulla rappresentatività, sui meccanismi del consenso, sugli strumenti per affrontare tali problematiche.
La sua concezione elitista del potere prevede che la minoranza dei governanti sia capace di interpretare i valori, la mentalità e le esigenze della maggioranza di governati. Inoltre con il suo «normativismo» propone un sistema di controlli, equilibri e contrappesi che se, da un lato, dovrebbe garantire «la difesa giuridica» della libertà, dall’altro, si pone di fatto a salvaguardia dello status quo e di un potere sostanzialmente statico e poco permeabile.
Per Mosca coloro che si trovano al potere non è detto siano i migliori, ma semplicemente i «vincenti» di quella fase storico politica.
Gli spunti sono diversi. I governanti sono in grado di realizzare tale interpretazione e con quali strumenti? Come è possibile far emergere leader capaci, quali meccanismi di selezione è necessario utilizzare? Sono interrogativi estremamente importanti.
La sua posizione nei confronti della democrazia è anch’essa da meditare. A suo parere la democrazia, cioè il governo di tutti, è un’illusione, poiché, come già evidenziato, ci sarà sempre una minoranza che esplicherà l’amministrazione della cosa pubblica. Quali allora le modalità per affrontare tale limite? Seguendo alcune sue osservazioni, un primo elemento è far crescere la consapevolezza e il senso di responsabilità del maggior numero di persone. Poi è necessario vi siano strutture e spazi di informazione e partecipazione, per consentire anche alla maggioranza disorganizzata di organizzarsi.
In conclusione e in sintesi Gaetano Mosca può essere definito un «conservatore illuminato» e il suo pensiero, seppure datato e non condivisibile in larga parte, è significativo per la spinta fornita alla scienza politica, alla necessità di una lettura profonda e critica dei meccanismi e delle strutture politiche perché rispondano sempre meglio all’esigenza di un buon governo e della crescita della democrazia.
Le fonti
La figura di Gaetano Mosca non è certo particolarmente conosciuta, ma è stato un personaggio importante per le scienze politiche, delle quali è considerato un caposcuola. Informazioni su di lui sono facilmente reperibili in rete e in molti testi dedicati al suo pensiero; le sue opere sono poi ancora disponibili.
In estrema sintesi la sua concezione della politica può essere definita come elitista. Mosca sostiene che esiste una sola forma di governo e di classe politica: l’oligarchia. Egli sostiene che in ogni società vi siano due classi di persone: i governanti, le élite che detengono il potere politico, e i governati, cioè il resto della società. L’élite al potere è organizzata in modo da mantenere a lungo la propria posizione e tutelare i propri interessi, anche utilizzando i mezzi che derivano dal ruolo pubblico. Ritiene quindi che la democrazia e il parlamentarismo, siano solo delle utopie, delle teorie politiche per legittimare e mantenere un potere che è sempre in mano a pochi; sostiene inoltre che vi sia una riproduzione del potere per via democratica, quando l’oligarchia la permette, ai membri di qualsiasi classe sociale, mentre vi è una riproduzione del potere per via aristocratica quando il ricambio avviene sempre all’interno della élite. Tali situazioni dipendono anche dalla situazione dello stato in quel momento: ad esempio in una condizione di guerra l’accesso alla classe politica sarà facilitato per i militari di alto grado.
Nella sua concezione vi sono due casi ricorrenti della vita politica, che però sono solo fenomeni apparenti: un uomo solo al comando, oppure l’élite che si fa scalzare dalla massa spinta dal malcontento. Nel primo caso l’autocrazia si basa su una classe politica, e chi è al governo non può certo muoversi contro la classe politica stessa. Nel secondo caso, nonostante creda di poter scalzare definitivamente un’élite, la massa emanerà una nuova ristretta classe politica, perché senza classe politica non si governa.
Mosca affermava: «È vero, come ci ha insegnato Karl Marx che la storia dell’umanità è una storia di lotta, ma non si tratta di lotta economica, bensì di lotta politica. È lotta tra una minoranza che vuole continuare ad essere classe politica e un’altra minoranza che aspira a diventarlo». Per lui questa lotta non avviene tra più gruppi diversi per pensiero o per censo, ma tra due tipologie di persone: quella che detiene il potere «materiale», quella che detiene il potere «intellettuale». Quest’ultima aspirerebbe ad ottenere quello «materiale», mentre chi lo detiene ha la necessità di giustificarlo «mercé il sussidio di qualcuna almeno delle forze intellettuali o morali», e quindi mediante compromessi e concessioni al gruppo «intellettuale». L’insieme di questi due gruppi viene definito da Mosca come «classe politica».
Secondo la sua idea in ogni sistema politico è possibile individuare una «classe politica», definita come «l’insieme delle gerarchie che materialmente e moralmente dirigono una società» e una «formula politica»: «la dottrina o le credenze che danno una base morale al potere dei dirigenti».
La regola fondamentale proposta dalla Teoria della classi politiche è che alla modifica della «formula politica» consegue una trasformazione dell’organizzazione della «classe politica». In altre parole, qualunque sistema politico si basa su un consenso di fondo, e quando viene meno ne consegue prima di tutto un cambiamento della «formula politica», perché sia adatta al nuovo consenso. Parallelamente avverranno adeguamenti sia nella composizione dei gruppi intellettuali e burocratici che formano la classe politica, sia nella sua forma organizzativa.
Da questa principio deriva anche una conseguenza sul piano storico: «È impossibile studiare la storia delle dottrine politiche senza studiare contemporaneamente quella delle istituzioni politiche».