Il 28 marzo è stato diffuso il Rapporto 2022-2023 sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Il contesto nel quale sono stati letti non poteva prescindere dalla guerra che si sta svolgendo alle porte dell’Europa: «L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia ha dato luogo a numerosi crimini di guerra, ha generato una crisi energetica globale e ha favorito un’ulteriore frattura di un sistema multilaterale già indebolito. Ha anche messo in evidenza l’ipocrisia degli stati occidentali, che hanno reagito con forza all’aggressione russa ma hanno condonato, o ne sono stati complici, gravi violazioni dei diritti umani altrove».
Il Rapporto stigmatizza come le contraddizioni, «i doppi standard e le risposte inadeguate alle violazioni dei diritti umani nel mondo abbiano alimentato impunità e instabilità», e che troppi paesi siano protagonisti di palesi violazioni.
Amnesty International non risparmia giudizi pesanti e amare riflessioni.
I doppi standard
Il conflitto ucraino ha causato una dolorosa crisi umanitaria e gravi emergenze nei diritti umani, ma la risposta degli stati occidentali è stata rapida. Il Rapporto fa osservare però che «questo robusto e apprezzabile approccio è risultato in profondo contrasto con precedenti risposte a massicce violazioni dei diritti umani commesse dalla Russia e da altri stati e con la vergognosa risposta in atto a conflitti come quelli in Etiopia e Myanmar»: se la risposta fosse stata altrettanto vigorosa sarebbero state risparmiate migliaia di vite.
Le violazioni dei diritti
Il Rapporto presenta alcune situazioni problematiche. Dal 2006 l’ONU monitora il numero delle vittime palestinesi nella Cisgiordania occupata, e il 2022 è stato tra i peggiori con 151 persone uccise dalle forze israeliane, tra le quali decine di minorenni. Proseguono poi le espulsioni di cittadini dalle loro case, allo scopo di espandere gli insediamenti israeliani: «Invece di chiedere la fine del sistema israeliano di apartheid, molti stati occidentali hanno scelto di attaccare i promotori di tale richiesta».
Mentre vengono accolti, giustamente, decine di migliaia di uomini e donne in fuga provenienti dall’Ucraina gli USA hanno espulso, tra il settembre 2021 e il maggio 2022, oltre 25.000 persone fuggite dalla martoriata Haiti. Anche alcuni degli stati europei che hanno ospitato ucraine e ucraini, non si sono comportati allo stesso modo con chi fuggiva dalla repressione o dalla guerra in Siria, Afganistan e Libia.
Questi atteggiamenti ambivalenti, secondo Amnesty International, hanno rafforzato politicamente alcuni stati, come la Cina, e consentito ad altri, come l’Egitto e l’Arabia Saudita, di «ignorare o respingere le critiche sulla loro situazione dei diritti umani».
Il commento della segretaria generale è severo: «Gli stati applicano le norme sui diritti umani caso per caso, mostrando in modo sbalorditivo la loro clamorosa ipocrisia e i doppi standard. Non possono criticare le violazioni dei diritti umani in un luogo e, un minuto dopo, perdonare situazioni analoghe in un altro solo perché sono in ballo i loro interessi. Tutto questo è incomprensibile e minaccia l’intera struttura dei diritti umani universali».
Le repressioni
Uno dei diritti fondamentali è quello di espressione, ma in molte parti del mondo i dissidenti pagano care le loro opinioni. In Russia sono stati portati in tribunale e condannati, organi d’informazione sono stati chiusi solo per aver parlato di “guerra” in Ucraina. Giornalisti sono finiti in carcere in Afganistan, Etiopia, Myanmar, Bielorussia e in altri paesi dove vi sono dei conflitti.
«In Australia, India, Indonesia e Regno Unito le autorità hanno introdotto nuove leggi per limitare le manifestazioni, mentre lo Sri Lanka ha fatto ricorso ai poteri dello stato d’emergenza per stroncare le proteste di massa contro la crescente crisi economica. Le norme entrate in vigore nel Regno Unito hanno dato alle forze di polizia poteri molto ampi, compreso quello di vietare “proteste rumorose”, compromettendo così la libertà di espressione e di protesta pacifica». L’uso della forza si è manifestato anche in Iran, Perù, Zimbabwe e Mozambico.
Le donne pagano un prezzo più alto
«La repressione del dissenso e gli approcci incoerenti ai diritti umani hanno avuto un profondo impatto anche sui diritti delle donne».
In Pakistan pur di fronte al fenomeno dei femminicidi in famiglia il parlamento non ha approvato una legge sulla violenza domestica in discussione dal 2021; in India sono rimasti impuniti casi di violenza contro le donne. In Afganistan il regime dei talebani ha emesso una serie di editti che hanno significato un pesante arretramento nei diritti delle donne, dall’autonomia personale all’istruzione, da lavoro all’accesso agli spazi pubblici. Il caso più eclatante ha riguardato Mahsa Amini, una giovane arrestata poiché aveva una ciocca di capelli fuori dal velo e morta qualche giorno dopo a causa delle torture subite. Le proteste scatenate hanno portato a ulteriori arresti, ferite e uccisioni di donne iraniane.
Crisi economica e dei diritti
Nel 2022 le conseguenze della pandemia da Covid-19 sono proseguite, insieme ai problemi economici, del clima e dei conflitti, accrescendo i rischi per i diritti umani.
Si stima che il 97% della popolazione afgana viva in povertà, contro il 47% del 2020; le ragioni prima accennate, insieme all’instabilità politica e alla diffusa violenza delle bande criminali, ha fatto sì che il 40% della popolazione haitiana sia alla fame; in diversi stati dell’Asia meridionale e dell’Africa subsahariana soprattutto le condizioni metereologiche estreme hanno provocato malattie e scarsa alimentazione: «ad esempio, in Nigeria e in Pakistan le alluvioni hanno avuto un impatto catastrofico sulla vita e sui beni di sussistenza delle popolazioni e hanno contribuito alla diffusione di malattie trasmesse dall’acqua, che hanno ucciso centinaia di persone».
E in Italia…
Il Rapporto diffuso dalla sezione italiana di Amnesty affronta anche la situazione del nostro paese. Nel novembre 2022 105 agenti penitenziari e altri funzionari sono stati processati per dei fatti accaduti due anni prima con l’accusa di molteplici reati, tra i quali la tortura per la repressione di una rivolta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere; un mese dopo un agente di polizia è stato posto agli arresti domiciliari con la stessa accusa nei confronti di un rom con disabilità durante un’ispezione non autorizzata e altri quattro agenti sono stati sospesi con l’accusa di false dichiarazioni. Sempre alcuni agenti di polizia hanno fatto un uso eccessivo della forza contro dei manifestanti in diverse occasioni, come a gennaio a Torino nel corso di una protesta per la morte sul lavoro di uno studente.
Lo scorso dicembre il parlamento ha approvato l’introduzione di un nuovo reato per punire l’invasione della proprietà privata allo scopo di organizzare raduni musicali o altri intrattenimenti, ritenuti pericolosi per la salute o l’incolumità pubblica. Nello stesso mese il governo ha approvato una legge con lo scopo di limitare le attività di salvataggio in mare delle Ong. «Il sostegno dell’Italia alla Libia per il contenimento delle persone è proseguito, nonostante le persistenti e gravi violazioni da parte delle autorità e delle milizie libiche».
Sono continuati i femminicidi, ma il «parlamento non ha adottato un disegno di legge presentato nel 2021 volto a rafforzare le salvaguardie per combattere la violenza contro le donne».
Sono continuate le denunce per lo sfruttamento del lavoro dei migranti, soprattutto in agricoltura, con paghe risibili e ospitati in alloggi scadenti e pericolosi.
«A ottobre, il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali (Cescr) ha manifestato preoccupazione per l’aumento dei livelli di povertà, compresa la povertà infantile, e per il livello sproporzionatamente elevato di povertà assoluta tra gli stranieri. Il Comitato ha evidenziato le condizioni di vita e di lavoro disumane sostenute dai lavoratori nell’economia informale».
Un sistema internazionale da ripensare
La segretaria generale di Amnesty International ha dichiarato «Se la guerra di aggressione russa ha dimostrato qualcosa per il futuro del mondo, è l’importanza di un ordine internazionale basato su regole efficaci e applicate in modo coerente. Tutti gli stati devono raddoppiare gli sforzi nella direzione di un nuovo ordine basato sulle regole a beneficio di tutte le persone, ovunque».
È fondamentale quindi che «le istituzioni e i sistemi internazionali che dovrebbero proteggere i nostri diritti siano rafforzati piuttosto che indeboliti. La prima cosa da fare è finanziare appieno i meccanismi sui diritti umani delle Nazioni Unite in modo che le indagini e l’accertamento delle responsabilità proseguano e si arrivi alla giustizia».
L’Organizzazione chiede in particolare una riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU, perché possa diventare la voce degli stati e delle realtà più deboli e ignorate e non solo lo strumento dei membri permanenti per mantenere i loro privilegi grazie al diritto di veto; è necessaria una maggiore trasparenza nei processi decisionali e una superiore efficacia delle risoluzioni. I diritti umani dovrebbero essere collocati al primo posto.
In conclusione
Amnesty International ricorda che «Nel 2023 ricorre il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, un documento nato dalle ceneri di una guerra mondiale. Non aspettiamo che il mondo bruci ancora una volta per vivere davvero secondo le libertà e i princìpi che abbiamo conquistato al prezzo di milioni di vite. Il 2023 deve essere il punto di svolta per la difesa dei diritti umani: se i leader mondiali non andranno in questa direzione, sarà un tradimento che potrebbe portare il mondo verso l’abisso».