Rosa Louise Parks: con un no ha fatto la storia

Il 1955 vide molte donne nere arrestate a Montgomery, la capitale dell’Alabama, per non aver lasciato il posto a un passeggero bianco su un autobus di linea, contraddicendo le ordinanze di segregazione: la più famosa è stata Rosa Parks. I fatti diedero origine al boicottaggio dei mezzi pubblici e a una causa legale volta a far cessare tale segregazione che si svolse l’anno seguente e vide il riconoscimento di incostituzionalità da parte dei giudici il 13 giugno 1956, in quanto contraddiceva il quattordicesimo emendamento della costituzione statunitense. Il successivo 13 novembre la Corte Suprema, con una decisione di portata storica, confermò la sentenza, per poi respingere il ricorso e ordinare all’Alabama di eliminare la segregazione sugli autobus.

A quel punto anche il boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery cessò.

Le leggi di segregazione razziale vennero abolite definitivamente solo il 19 giugno 1964.

La vita

Rosa Louise McCauley, questo il cognome della famiglia, nacque a Tuskegee, un piccolo centro dell’Alabama il 4 febbraio 1913, da James Henry, di professione falegname e scalpellino, e da Leona Carlie Edwards, insegnante di scuola elementare. Durante il periodo del primo conflitto mondiale sua madre lavorò a Detroit e Rosa, da bambina, poté constatare la maggiore libertà della quale godevano gli afroamericani del nord rispetto a quelli del sud. Tornata in Alabama crebbe in un ambiente contraddistinto da un forte razzismo, norme segregazioniste, minori diritti e continue umiliazioni.

Nel 1932 sposò Raymond Parks, un barbiere impegnato nel movimento per i diritti civili. Rosa, nel frattempo, lavorava come sarta e si dedicava sempre di più all’attività politica, divenendo nel 1943 segretaria della sezione locale dell’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore, la NAACP, trovandosi anni dopo, nel 1954, a collaborare con Martin Luther King, all’epoca giovane e sconosciuto pastore della chiesa di Dexter Avenue. Poco prima, nel 1941, fu assunta nella base militare di Maxwell Field, grazie a dei provvedimenti che prevedevano l’integrazione all’interno delle basi militari, promossi dal presidente Roosvelt. Parlando di quel periodo Rosa amava ripetere: «Si potrebbe dire che Maxwell mi abbia aperto gli occhi. […] Potevo salire su un tram integrato all’interno della base, ma quando ne uscivo dovevo tornare a casa su autobus in cui vigeva la segregazione».  

Infatti, il primo giorno di dicembre del 1955, a Montgomery, Rosa stava tornando a casa in autobus dopo il lavoro e non avendo trovato posto a sedere nella zona riservata ai neri occupò un sedile nell’area accessibile a tutti, ma con l’obbligo per i neri di cederlo nel caso in cui salisse un bianco. Arrivato quindi un bianco Rosa si rifiutò di lasciare il posto. L’autista fermò il bus e chiamò la polizia che la arrestò per condotta impropria e per aver violato le norme sulla segregazione. Poche ore dopo venne scarcerata per l’intervento dell’avvocato Clifford Durr, bianco e da sempre impegnato per i diritti civili, che pagò la cauzione. La notizia dell’ennesimo arresto, vi erano stati eventi simili anche nei mesi precedenti a carico di altre donne di colore, scatenò una forte reazione che provocò la decisione di effettuare una protesta decisa ma nonviolenta, il boicottaggio dei mezzi pubblici, durato 381 giorni, e appoggiato non solo dalla popolazione afroamericana, ma anche dall’opinione pubblica più sensibile e, in particolare, anche da alcune categorie di lavoratori, come i tassisti, che abbassarono le tariffe al costo del biglietto dei bus per venire incontro a chi protestava.

Dopo la sentenza della Corte Suprema Rosa Parks divenne uno dei simboli del movimento per i diritti civili. Per questo fu malvista dagli ambienti segregazionisti, ricevette numerose minacce, non riuscì più a trovare lavoro e decise quindi di trasferirsi a Detroit, occupandosi sempre come sarta, per poi diventare segretaria di John Conyers, un membro del Congresso, dal 1965 al 1968.

Nel febbraio del 1987 fondò, insieme a Elaine Eason Steele, il Rosa and Raymond Parks Institute for Self-Development, in onore del marito scomparso nel 1977, un’organizzazione che aveva lo scopo di aiutare economicamente gli studenti meno abbienti. Nel 1999 ottenne la Medaglia d’oro del Congresso, una delle massime onorificenze americane, dalle mani del presidente Clinton, che la definì: «La madre del movimento per i diritti civili (The Mother of the Civil Rights movement). La donna che mettendosi a sedere, si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell’America».

Morì a Detroit il 24 ottobre 2005 per cause naturali.

Il commento

I grandi cambiamenti nella storia non sempre sono provocati dai grandi personaggi, a volte si devono a persone semplici che neppure percepiscono l’importanza di quanto loro accaduto. È anche vero, però, che i gesti sono sempre il frutto di convinzioni, percorsi di crescita e di consapevolezza, non eventi estemporanei. Rosa Parks non aveva certo previsto le conseguenza dell’atto di rimanere seduta su quel bus, ma fu il frutto di una militanza politica convinta.

Non da soli

Militanza cresciuta grazie anche all’Associazione per i diritti civili alla quale aderì. Ecco un elemento importante: contano le persone, ma è indispensabile che collaborino, si aiutino, contribuiscano alla formazione di altri attivisti. In un periodo caratterizzato dall’individualismo, dalla ricerca solitaria dei risultati questo è un messaggio da recepire; è solo insieme che si affrontano e si risolvono i problemi. È il significato profondo dei partiti, oggi tanto vituperati, quello di aggregare, di essere rappresentativi di valori, modi di vivere e progetti per il futuro. L’uomo o la donna sola al comando non rispondono a tali esigenze.

Leggi ingiuste

Una riflessione va fatta sulle leggi. Non tutte sono “buone” ed è necessario smascherarle e premere perché siano cambiate. Rosa ha avuto il coraggio di sfidare non solo normative ingiuste, ma anche una cultura diffusa, modi di pensare, e di vivere, radicati e apparentemente immutabili. Ha fatto un gesto controcorrente, di rottura delle consuetudini, semplice, in apparenza, ma profondamente significativo. Ma il segnale non basta. È necessario che seguano altre azioni, organizzate, progettate, in grado di ampliare il raggio d’azione del semplice gesto: devono creare movimento, individuare obiettivi e perseguirli, solo così si raggiungono.

Il prezzo da pagare

Agire, impegnarsi spesso ha delle conseguenze. Rosa ha dovuto, insieme ad altri, affrontare un lungo e difficile percorso, con dei contraccolpi personali. Abbiamo visto che dovette trasferirsi poiché era diventata oggetto di serie minacce e perse il lavoro senza possibilità di trovarne un altro. Va messo nel conto, quindi, di dover pagare dei prezzi, di avere la vita cambiata.

Per fronteggiare tutto ciò serve coraggio, ma anche perseveranza, poiché non bastano le scintille per avere un bel fuoco, ci vuole legna e tempo.

Un messaggio

Una provocazione che Rosa lancia ancora oggi è nel cercare e affrontare le discriminazioni, i limiti alla libertà delle persone presenti nella nostra realtà, avendo il coraggio di impegnarsi per superarle, e cercarne di nuove. Un mondo più giusto si costruisce a partire dalla nostra situazione, da quanto ciascuno può fare per migliorare quanto ci sta attorno, chi ci sta attorno.

La sua esperienza ricorda a ciascuno le nostre responsabilità nel difendere ciò che è giusto e la passione per sostenere l’impegno.

Rosa Parks ha detto: «Finché ci sono disoccupazione, guerra, criminalità e tutte le cose che vanno a infliggere la disumanità dell’uomo all’uomo, a prescindere – c’è molto da fare e le persone devono lavorare insieme».

Le fonti

Un importante riferimento per conoscere Rosa Parks è la biografia, realizzata con il contributo di Jim Haskins, intitolata La mia storia. Una vita coraggiosa, pubblicata in italiano nel 2021; cui si devono aggiungere Rosa Parks scritto da Mariapaola Pesce e illustrato da Matteo Mancini, nonché La rivoluzione in autobus. Vita di Rosa Parks di Gianni Maritati, da poco uscito nelle librerie.

In rete si possono trovare alcuni video che presentano la sua storia e nei quali sono accessibili delle sue interviste, per vederla e ascoltare la sua voce, nonché le riprese della consegna dell’Essence Award nel 1993. È anche disponibile un film intitolato The Rosa Parks Story.

A Montgomery la strada nella quale era presente la fermata dell’autobus di Rosa, Cleveland Avenue, è stata ribattezzata Rosa Parks Boulevard.

Dopo la morte della donna, la nipote ha scelto di salvare la casa in cui Rosa dovette rifugiarsi dopo il celebre gesto e di donarla all’artista contemporaneo Ryian Mendoza. L’edificio, minuscolo e fatiscente, sarebbe stato demolito a breve a causa della crisi immobiliare del 2008, ma grazie all’intervento della nipote è stato salvato e Mendoza ne ha creato una riproduzione esatta. Inizialmente l’opera d’arte è stata esposta in Germania e poi nel cortile del Palazzo Reale di Napoli, poiché negli Stati Uniti non era stato possibile trovare una sistemazione permanente.

Concludiamo con una serie di sue citazioni.

«Una sera all’inizio del dicembre 1955 ero seduta in uno dei posti anteriori della sezione Colored di un autobus di Montgomery, in Alabama. I bianchi sedevano nella sezione riservata a loro. Salirono altri bianchi, occupando tutti i sedili nella loro sezione. A questo punto, noi neri avremmo dovuto cedere i nostri posti. Ma io non mi mossi. L’autista, un bianco, disse: “Liberatemi i posti davanti”. Non mi alzai. Ero stanca di cedere ai bianchi.

“Ti faccio arrestare” disse l’autista.

“Ne ha facoltà” risposi.

Arrivarono due poliziotti bianchi. Chiesi a uno di loro: “Perché ci maltrattate in questo modo?”.
Rispose: “Non lo so, ma la legge è legge e tu sei in arresto”».

«Dicono sempre che non ho ceduto il posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente, non più di quanto lo fossi di solito alla fine di una giornata di lavoro […]. No, l’unica cosa di cui ero stanca era subire».

«Quando mi rifiutai di cedere il posto sull’autobus, a Montgomery, non avevo idea che quel piccolo gesto avrebbe contribuito a mettere fine alle leggi segregazioniste del Sud. Sapevo soltanto che ero stanca di essere maltrattata. Ero una persona come le altre, valevo quanto chiunque altro».

«Non devi mai avere paura di quello che stai facendo quando sei nel giusto».

«Nella mia vita c’erano state alcune, poche occasioni in cui i bianchi mi avevano trattato come una persona qualsiasi, quindi sapevo come ci si sentiva. Era tempo che altri bianchi cominciassero a trattarmi allo stesso modo».

«Trovo che se sto pensando troppo ai miei problemi, e al fatto che a volte le cose non sono come desidero che siano, non faccio alcun progresso. Ma se mi guardo attorno e vedo cosa posso fare, e lo faccio, io progredisco».

«Credo che siamo qui sul pianeta Terra per vivere, crescere e fare il possibile per rendere questo mondo un posto migliore in cui tutte le persone possano godere della libertà».

«Per metà della mia vita, nel Sud ci sono state leggi e usanze che tenevano gli afroamericani separati dai bianchi e permettevano ai bianchi di trattare i neri senza il minimo rispetto. Non ho mai pensato che fosse giusto, e fin da bambina ho cercato di protestare contro questo trattamento irrispettoso. Ma era molto difficile fare qualcosa, qualsiasi cosa, contro la segregazione e il razzismo, dal momento che i bianchi avevano la legge dalla loro parte. Dovevamo cambiare le leggi, in qualche modo. E per riuscirci dovevamo avere dalla nostra parte un buon numero di bianchi».

«Ogni persona deve vivere la propria vita come modello per gli altri».

«Vorrei essere ricordata come una persona che voleva essere libera […] così anche altre persone potranno essere libere».